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Onde di plastica: i rifiuti del lockdown galleggiano in mare

Mascherine e guanti monouso finiscono negli oceani, aggravando una situazione già problematica

L’urgenza impone delle priorità. Non pensiamo all’acqua sprecata mentre tentiamo di spegnere un incendio. Né abbiamo riflettuto sul consumo eccessivo di plastica negli ultimi mesi. Mascherine e guanti usa e getta sono stati un modo per limitare il contagio; gli imballaggi dei pacchi e le confezioni in plastica per il cibo d’asporto hanno permesso di mantenere il distanziamento sociale. Ora però alcuni studiosi che monitorano l’inquinamento in mare hanno rilevato un aumento preoccupante nella quantità di plastica nelle nostre acque. Ma hanno anche qualche soluzione da proporre per continuare a prevenire contagi pur inquinando meno.

Plastica da pandemia

La plastica continua a dimostrarsi un alleato essenziale durante la pandemia di Covid-19. Di plastica sono molte delle mascherine che portiamo sul volto: contengono infatti polipropilene. Questo materiale ha una composizione idrorepellente che permette di avere uno strato protettivo che blocca la saliva vaporizzata, abbassando il rischio di contagio. Altre maschere più elaborate includono l’uso di poliuretano e poliacrilonitrile, altre due sostanze plastiche.

Sono di qualche polimero di plastica anche i guanti usa e getta in nitrile e polietilene, che non possono essere riciclati con gli imballaggi plastici. Ed indovinate di che materiale sono la maggior parte di bottiglie e dispenser di gel igienizzante per le mani?

Inoltre sono di plastica i contenitori nei quali il cibo ordinato arriva a casa. Una pratica molto aumentata nell’ultimo periodo, che ha permesso di godersi il cibo da ristorante nella sicurezza di casa e ha dato modo ai ristoratori di continuare a lavorare. E che noi abbiamo testato con “4 ristoranti a domicilio“.

Cattive abitudini

Se l’uso di plastica in questo periodo è stato essenziale in questo periodo, il lockdown ha però cambiato in peggio le nostre abitudini sul riciclo. Soprattutto nella cosidetta “Fase 2”, in cui siamo tornati a muoverci fuori casa. Thames21, un’associazione che monitorare l’inquinamento del Tamigi, ha notato che i ritrovi sociali sono sempre più fuori casa piuttosto che in bar e locali. Se questo ha un impatto positivo sulla curva dei contagi, aumenta il numero di rifiuti che si lasciano in parchi, campeggi e spiagge. E lo si può vedere dal numero di confezioni di cibo e bottigliette che stanno trovando nei canali intorno a Londra.

plastica spiaggia mare
(PHOTO CREDIT: RitaE)

La paura del contagio blocca anche chi solitamente fa il “buon samaritano” raccogliendo la spazzatura che trova per strada. E ci sono molti studi (come quello di Cialdini e colleghi del 1990) che testimoniano come siamo portati a preoccuparci meno di inquinare un posto quando lo troviamo già sporco. Se anche normalmente siamo persone che mettono il sacchetto del pranzo vuoto nello zaino per riciclarlo a casa, vedere il sentiero montano pieno di spazzatura ci spinge ad essere meno attenti e magari anche ad inquinare.

Impatto della plastica sul mare

La plastica impiega all’incirca 450 anni per degradarsi. E non lo fa mai del tutto: con il passare degli anni si frammenta in pezzi piccolissimi, le microplastiche. Questi pezzetti, di una grandezza fra i 330 micrometri e i 5 millimetri, vengono ingerite da plancton, invertebrati, pesci ed uccelli. Tanto che secondo uno studio dell’Ispra fino al 15-20 percento delle specie marine che mangiamo a tavola contiene microplastiche.

Secondo OceanAsia, le acque intorno ad Hong Kong, una delle prime nazioni a prendere misure preventive contro la pandemia, sono intensamente inquinate. Nelle acque di fronte l’isola di Lantau, OceanAsia ha trovato 70 mascherine su un’area lunga appena 100 metri, con un’altra trentina di maschere sulla spiaggia.

Ma non c’è bisogno di allontanarsi tanto da casa. In Costa Azzurra la non-profit Opération Mer Propre raccoglie dozzine di guanti, mascherine e bottigliette di gel igienizzante.

13 milioni di tonnellate di plastica in mare. Ogni anno.

Se anche le testimonianze di alcune associazioni non possono essere usate per uno studio statistico, questo inquinamento da pandemia” si innesta su una situazione grave per i nostri oceani. Secondo il programma ambientale delle Nazioni Unite, ogni hanno 13 milioni di tonnellate di plastica finiscono in mare. Il Mediterraneo da solo, stando al WWF, riceve 570.000 tonnellate di plastica ogni anno. Per avere un’idea, è come se gettassimo in mare 33.800 bottiglie di plastica ogni minuto.

the great pacific garbage patchCosa possiamo fare?

La soluzione per questo problema non è smettere di utilizzare i dispositivi sanitari consigliati dagli esperti. Però non possiamo nemmeno “pensarci dopo”. Operazioni come quella di rimuovere 130 tonnellate di plastica dalla “grande isola di rifiuti” nel Pacifico sono lodevoli ma non bastano da sole. Ci sono alcune piccole misure da tenere in conto per ridurre l’impatto della plastica nel mare.

Ad esempio, l’utilizzo di mascherine lavabili e riutilizzabili. Comprare l’igienizzante per mani in contenitori ecologici. Non gettare rifiuti quando si è all’aperto e differenziare bene in casa (leggendo le etichette e controllando sul sito della stazione ecologica o del Comune di residenza). Una possibilità è anche quella di richiedere contenitori biodegradabili per il cibo che ordinate (se possibile) o anche solo dire che non vi servono forchette e bicchieri di plastica. Continuando a costruire una “cultura del riciclo“, che influenza anche chi ci sta attorno (non c’è bisogno di diventare antipatici, basta il buon esempio).

Rimane poi necessario restare attenti all’argomento dal punto di vista politico, specie in vista dell’approvazione dell’European Green Deal. Le misure prese singolarmente sono importanti ma, se non ci sono azioni decise anche da parte dei legislatori e delle aziende, rimangono una goccia nel mare. Un mare che continua a riempirsi di plastica, se non interveniamo.

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Stefano Regazzi

Il battere sulla tastiera è la mia musica preferita. Nel senso che adoro scrivere, non perché ho una playlist su Spotify intitolata "Rumori da laptop": amo la tecnologia, ma non fino a quel punto! Lettore accanito, nerd da prima che andasse di moda.

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