Quanto è importante la tua privacy? Cosa sei disposto a sacrificare per la comodità di determinati strumenti? Sei preoccupato da quante informazioni le web company raccolgono su di te? Oggi 28 gennaio l’Europa celebra la Giornata europea della protezione dei dati personali e queste sono le domande che dovremmo porci per l’occasione. Pensieri che sempre più persone stanno facendo negli ultimi tempi, peraltro. Esempio principe di questa tendenza è il caso della nuova policy di privacy di WhatsApp: una variazione che sta spingendo sempre più utenti lontani dalla celeberrima app di messaggistica istantanea. Con tutta probabilità non è che la prima conseguenza evidente di un processo in atto da lungo tempo nella nostra società e che potrebbe cambiare nuovamente il nostro rapporto con il web.
Abbiamo rinunciato alla privacy per usare WhatsApp, Facebook, YouTube, Google…
Quello che le aziende hanno scoperto negli ultimi anni, soprattutto quelle ad alta vocazione tecnologica, è la potenza dei dati. Le informazioni sul pubblico si possono definire “l’oro del 2000” considerato l’incredibile valore che possono avere. Chi le raccoglie per scopi pubblicitari può vendere spazi a un prezzo premium. Chi acquista pubblicità può investire in maniera più precisa e oculata, ottenendo migliori risultati dalle proprie spese. E chi sa sfruttare al meglio i dati può adattare al meglio il proprio prodotto, la propria comunicazione e qualsiasi altro aspetto del proprio business.
Questa realizzazione è avvenuta parallelamente all’evoluzione degli strumenti tecnologici per la raccolta dei dati. Due processi che si sono influenzati a vicenda: più si comprendeva il valore delle informazioni, tanto più diventavano efficaci le tecniche per scoprirle e viceversa.
L’efficacia degli strumenti non è migliorata solo dal lato tecnico, con algoritmi sempre più precisi, ma anche dal lato dell’attrattiva. I social network ci hanno spinto a spostare sempre più in là i nostri limiti. Per usare Instagram, YouTube, WhatsApp, Facebook e molto altro ancora abbiamo dovuto rinunciare a una piccola parte della nostra privacy. E quanto più questa “piccola parte” si faceva grande, tanto più questi strumenti si radicavano nelle nostre vite. Oggi rinunciare ai social network è diventato un sacrificio non indifferente.
E così, complice anche la capacità crescente di queste piattaforme di creare dipendenza (provate a guardare “solo un video o due” su TikTok se ci riuscite), scegliere di proteggere la nostra privacy è sempre più difficile. Una spirale che non poteva durare per sempre e ora potrebbe essere giunto il momento di fermarla.
La rivolta dei prodotti
Il mantra ripetuto allo sfinimento “Se non lo paghi, il prodotto sei tu” sembra finalmente aver attecchito. Scandali particolarmente clamorosi, a partire da quello di Cambridge Analytica, hanno mostrato non solo quante informazioni su di noi siano effettivamente raccolte dalle aziende, ma anche l’influenza che possono esercitare sul mondo in mano a soggetti esperti. L’attenzione del pubblico si è risvegliata e si è interessata sempre di più a questo argomento, come dimostrano il successo del documentario The Social Dilemma e la reazione avversa alla nuova privacy policy di WhatsApp che citavamo in apertura.
Questi potrebbero essere i primi ‘colpi d’avvertimento’ per il prossimo grande scontro che vedremo svolgersi in questo 2021. È proprio questo lo scenario che gli esperti di Kaspersky in termini di privacy evidenziano nelle previsioni per il prossimo anno. Valutazioni che partono dall’analisi dal panorama degli ultimi mesi e che promettono un aumento dell’attenzione sulla riservatezza.
Una prima conseguenza potrebbe riguardare l’atteggiamento delle aziende. La capacità di rispettare la privacy dell’utente di un device o di un servizio diventerà un costo, perché comporta l’introduzione di meccanismi di protezione e al contempo la rinuncia ai guadagni che (anche indirettamente) derivano dalla raccolta dei dati. Tuttavia sarà anche una fonte di valore non indifferente. Riuscire a posizionarsi come ‘il servizio sicuro che non ti vuole rubare i dati’ potrebbe avere enormi effetti economici.
Dall’altra parte ci sono ovviamente le aziende che hanno costruito il proprio business sulla raccolta di informazioni. Queste dovranno trovare nuovi modi per portare avanti le proprie analisi, per compensare la tendenza alla protezione del pubblico. Serviranno tecniche originali e un ruolo chiave potrebbero giocarlo strumenti smart del mondo healthcare o in generale i dispositivi indossabili. Questi possono offrire già un grande numero di dati chiave e la loro maggiore diffusione, combinata con l’interesse crescente per la salute pubblica, potrebbe avere effetti importanti.
E il Governo che fa?
Forse l’aspetto più affascinante di tutto questo sarà nel ruolo che giocheranno i Governi in questo scontro. Gli enti pubblici sono già attivi da tempo in questo ambito, in particolare a livello europeo con il celeberrimo Regolamento generale sulla protezione dei dati o GDPR. Tuttavia, la loro posizione è estremamente complessa, perché sono presenti su tanti fronti differenti di questo scontro ed è difficile bilanciare i conflitti di interessi. Anche dando per scontata la buona volontà, che in certi casi scontata non lo è affatto.
È pacifico infatti che un compito degli enti pubblici su questo tema sia quello di difendere la privacy dei cittadini. Davanti a società (spesso transnazionali) che insidiano la riservatezza della popolazione, tocca ai Governi gestire i limiti all’accesso dei dati. Il problema è che quegli stessi dati possono essere utilissimi ai Governi.
Non immaginatevi controlli distopici di orwelliana memoria. Ci sono innumerevoli utilizzi che una Nazione può fare di informazioni dettagliate sulla popolazione, che vanno oltre quelli preoccupanti di 1984. Pensate a quanto i dati sugli spostamenti dei cittadini possono migliorare la gestione del traffico ad esempio. O ancora, quanto possono servire alle forze dell’ordine per sventare operazioni criminali. E a questo punto la domanda è: “Dove tracciamo la linea?“.
La sicurezza e la privacy, eterne rivali
Perché è giusto anche smentire l’idea “tutta la privacy è buona“. Uno strumento particolarmente protetto dall’esterno può essere un veicolo per operazioni illecite. È giusto che esistano (e siano diffusi) canali di comunicazione inaccessibili dall’esterno e quindi dalle forze dell’ordine? Una domanda che non ha una risposta (o quantomeno non una semplice) e che affonda le radici nell’eterno trade-off tra bisogno di sicurezza e di privacy.
Una sfida tra due fronti che risale in qualche modo all’alba dei tempi e che probabilmente nei prossimi mesi avrà un’evoluzione fondamentale. Nel frattempo, i consigli restano sempre gli stessi: verificare costantemente le impostazioni di privacy delle piattaforme che utilizziamo (che si tratti di Facebook, WhatsApp, YouTube, TikTok e così via) e non condividere informazioni oltre il necessario.
Rinunciare a utilizzare i social network è un sacrificio non indifferente e nessuno suggerisce sia il caso di farlo. Queste piattaforme non costituiscono solo intrattenimento, ma anche un importante strumento per informarsi, mettersi e tenersi in contatto e hanno innumerevoli altri utilizzi positivi. Quello che è importante però è farlo in maniera consapevole, sapendo esattamente quali informazioni si condividono con il web. È un diritto di cui stiamo comprendendo solo ora l’importanza forse e non dobbiamo rinunciarci.
- Archiviazione crittografata, sicura
- Sincronizzazione su tutti i dispositivi
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