La realtà virtuale (che si parli di Meta Quest, Apple Vision Pro, PlayStation VR o una delle tante altre versioni) è un tema che affascina da anni. Come tanti argomenti del mondo tech ha avuto un’accelerata iniziale fortissima dove sembrava essere The Next Big Thing e poi ha frenato, ma ha il merito di non essere sparita. È sempre lì e giorno dopo giorno conquista fan e appassionati, che si approcciano a questo mondo che sembra essere ancora in formazione. In versione beta se vogliamo, se non alpha. Ma la verità è che in pochi, anche tra gli appassionati, hanno davvero visto cosa possono offrire queste tecnologie. Perché la vera realtà virtuale la si vede in un posto inaspettato: a Venezia.
Il trucco è cambiare la prospettiva
Ogni volta che si parla di questo argomento, le questioni che ritornano sono grossomodo sempre le stesse. Chi l’ha provato, chi no, come si può applicare sui videogiochi esistenti, la motion sickness, quale dei vari visori funziona meglio o peggio… In questo modo il discorso si avvita su sé stesso e non riesce davvero ad andare oltre i suoi confini.
Confini che peraltro sono tracciati direttamente da come la realtà virtuale è tuttora presentata: una novità tecnologica, una periferica che può servire ad ampliare l’esperienza di gioco, al massimo – in alcuni timidi ma interessanti tentativi – a portare un passo oltre il concetto di tridimensionalità nel cinema che abbiamo messo da parte qualche anno fa.
Tutto questo si riflette nell’esperienza comune, come ciascuno ha fatto le sue prove con il VR, se le ha fatte. Lo abbiamo testato a una fiera di videogiochi, dove si poteva mettersi alla prova nella demo di qualche titolo, magari abbiamo visto un corto in una sala cinema, se abbiamo beccato il museo giusto potremmo aver visto una qualche esperienza immersiva.
Ma troppo spesso questo ci porta a focalizzarci solo sull’aspetto tecnologico della realtà virtuale. E perdiamo tempo ad analizzarne i lati tecnici, la qualità o meno della modellazione software, l’integrazione con device per il motion control, peso, batteria, audio/video… Dimenticandoci o più probabilmente direttamente ignorando il fatto che la realtà virtuale è un linguaggio artistico che si sta formando ora e non stiamo sfruttando in pieno. Anzi, qualcuno sì o quantomeno ci sta provando.
La lungimiranza di Venezia sulla realtà virtuale
La Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia è uno dei festival più importanti al mondo dedicato al cinema. Ed è uno dei primi ad avere capito il potenziale di questo settore. Otto anni fa infatti apriva le porte Venice Immersive, l’area di Venezia dedicata alla realtà virtuale o, meglio, extended reality, perché le possibilità esplorate vanno anche oltre il VR tradizionale.
Se è la prima volta che ne sentite parlare, è abbastanza normale. È difficile che i media parlino di questa sezione, per ragioni totalmente comprensibili. I progetti che si trovano qui non hanno l’attrattiva di un film che si prepara a sconvolgere i botteghini o fare incetta di Oscar. Non c’è neanche un red carpet dove gigioneggino George Clooney e Brad Pitt.
E poi, siamo onesti, è molto difficile restituire nei report un’esperienza in realtà virtuale come quelle che si vedono in questa area di Venezia. Come spieghi a chi non l’ha vissuta l’emozione di spostare luci colorate o di ritrovare le persone al tuo fianco in un mondo completamente nuovo? E poi, siamo ancora più onesti, Venice Immersive è scomoda da raggiungere rispetto all’area principale. Anche se nei giorni di sole offre dei cuscinoni dove spiaggiarsi e riprendersi dalle mille proiezioni che sono molto consigliati.
Tuttavia, questo è il posto dove davvero possiamo capire quale sia il potenziale del VR. Perché qui finalmente si lascia da parte tutto l’aspetto tecnico, tecnologico e anche commerciale, per esplorare in profondità quello che questo linguaggio permette. Ogni artista è un avventuriero lasciato in una terra selvaggia e inesplorata, che cerca di tracciare nuovi sentieri e percorsi.
La realtà virtuale a Venezia ti fa dire “Ah, ma non sapevo che si potesse…“
Il punto è che sganciandosi da tutti i paletti di cui sopra, possiamo davvero vedere nuove applicazioni di questi strumenti. Non ci sono i limiti di dover rendere questa esperienza replicabile per cui si possono creare strutture apposite. Non serve che sia accattivante per un pubblico ampio, come un videogioco. E alla fine si possono abbandonare anche cose apparentemente fondamentali, a partire dalla trama.
Ovviamente non tutto è per forza disruptive e rivoluzionario. In Venice Immersive si trovano progetti semplici, come cortometraggi a 360° o filmati tridimensionali. Volendo fare un passo oltre, ci sono esperienze immersive e interattive. Un esempio è lo straordinario What if…? An immersive story, che è indubbiamente il migliore episodio della serie animata mai realizzato (e non lo diciamo solo perché abbiamo combattuto al fianco di Wong).
Ma da qui si fanno balzi in avanti incredibili. In un’occasione ci siamo fatti trasportare in un giardino zen sovrapposto alla nostra realtà, dove interagire con sfere virtuali. In un’altra abbiamo vissuto un documentario sui campi di prigionia ritrovandoci nel mezzo di quegli ambienti. E ancora, abbiamo potuto vivere i panni di una persona ipovedente, provare escape room totalmente virtuali, scoprire angoli nascosti del cosmo, sognare la nascita di un universo passo dopo passo, entrare in spazi allucinogeni…
Tutto questo in un continuo saltare da una parte all’altra della barriera del reale. Anzi, forse le esperienze più straordinarie sono quelle che abbiamo vissuto nei punti in cui fisico e virtuale si toccano. L’emozione unica che è stata stringere la mano di un’altra persona, che vedevamo solo come un avatar, e sentirla davvero è qualcosa che va oltre le parole.
Non è semplicemente il cinema in 3D plus
Usciti dal viaggio nella realtà virtuale di Venezia, si capisce davvero quello che dicevamo all’inizio, cioè che questa tecnologia non è solo l’ampliamento di qualcosa che già esiste. Ha molto in comune con il cinema, chiaro, e forse ancora di più con il videogioco, ma non è solo un’evoluzione di questi due medium. È qualcosa di proprio che sta costantemente sviluppando un suo linguaggio personale, delle proprie regole che ancora devono essere scritte. Ed è un momento incredibile da vivere.
Che siate addetti ai lavori o semplici appassionati di tecnologia, di videogiochi o di cinema, se ne avete la possibilità dovreste davvero fare un giro a Venice Immersive. Pur essendo parte della Mostra di Venezia è assolutamente accessibile anche al pubblico non accreditato, con un biglietto dedicato. Vi aprirà una finestra totalmente nuova su quello che è davvero la realtà virtuale, al di là di semplici video a 360.
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