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Fotografia

Samuele Pellecchia ospite di #fotointerviste

Ritorna sul canale Twitch di Tech Princess #fotointerviste, l’appuntamento più amato dagli appassionati di fotografia. Questa settimana i due artisti dello scatto, max&douglas, hanno intervistato Samuele Pellecchia, fotografo documentarista e fondatore dell’agenzia fotografica Prospekt.

Samuele Pellecchia inizia la sua carriera nel ’99 dopo gli studi in Filosofia. Nel 2004 fonda Prospekt, un’agenzia fotografica che rappresenta autori internazionali che vivono e lavorano in tutto il mondo. Diversi sono i premi per i suoi lavori fotografici e per i suoi reportage, pubblicati sulle maggiori riviste internazionali. Attualmente è in mostra come co-autore e curatore artistico dell’esposizione “Chian Goes Urban” presso il MAO di Torino.

Samuele Pellecchia ospite di #fotointerviste

Durante l’intervista Samuele Pellecchia ci ha parlato di Prospekt, dei suoi progetti, della serie di fotografie Close to me e della cosiddetta Documentary Intimacy Photography. “Il mestiere del fotografo è un mestiere tendenzialmente solitario. La tipologia di fotografia che facevamo noi, o che facciamo, la documentary, è un lavoro in cui tu cammini, incontri, conosci e hai relazioni con le persone. Questa però è solo una parte del lavoro, non è solo scattare, è tanto altro, tra cui vendere le fotografia, che trasforma l’essere fotografo nel fare il fotografo, nel diventare qualcuno che vive di fotografia”.

#fotointerviste: Samuele Pellecchia ospite di max&douglas

“La parte del lavoro collettivo è una parte che io ho sempre amato molto, mi piace lavorare con gli altri, scambiare idee. Ed è utilissimo sulla documentary, poiché da sempre potersi confrontare sia in itinere e poi a fine lavoro con persone che stimi con le quali hai un buon rapporto è fondamentale. Spesso e volentieri il lavoro viene guardato da altre persone, discusso con altre persone, che ti chiedono il perché anche di certe scelte”. 

“Poi c’è la parte della costruzione di un gruppo che è il motivo per il quale all’inizio ho pensato di fare Prospekt, assieme a Massimo Di Nonno, che è un bravissimo fotografo; con lui abbiamo pensato fosse necessario avere più persone, più pensieri, più sguardi, considerato che facevamo fotogiornalismo e quindi inseguivamo le news, piccoli reportage, e andavamo anche contro dei colossi delle agenzie fotografiche. Da lì è nata l’agenzia che per tanti anni è stata un’agenzia vera e propria con lavori commissionati, autoprodotti, che poi noi poi vendevamo ai giornali. Con il tempo e il declino del rapporto della stampa con i fotografi le cose sono cambiate, considerato che i fotogiornalisti non lavorano più all’interno del giornali in Italia, quindi i fotografi hanno sempre lavorato da esterni nelle redazioni”. 

Il mondo è cambiato e bisogna capire come inventarlo

© Samuele Pellecchia

“Ad un certo punto abbiamo cominciato a lavorare fuori dai giornali, intorno agli anni ’90. La maggior parte dei lavori erano storie che trovavamo noi e che passavamo i giornali, quindi i fotografi da un certo punto di vista hanno fatto un lavoro giornalistico, di ricerca anche. Secondo me, nella difficoltà di andare avanti bisogna inventare qualcosa di nuovo. Oggi se vai a fare un reportage quando riesci a venderlo lo vendi più o meno a un quarto o un quinto di quel che ti davano solo dieci anni fa, quindi non lo fa quasi più nessuno: questo sicuramente è un problema, ed è un problema per il giornalismo perché racconta sempre meno storie, è sempre più indirizzato verso problemi utilitaristici della narrazione. Però il mondo è cambiato e bisogna capire come fare a inventarlo, non solo a seguirlo”. 

“Quello che è successo nel nostro collettivo è stato pensare a una modalità di rapportarsi con la parte più economica mettendo insieme la parte narrativa, di ricerca, per questo abbiamo iniziato a lavorare in direzioni diverse. Siamo 22 quindi tante modalità di lavorare e tanti paesi differenti. Stiamo lavorando sempre di più su progetti singoli o di piccoli gruppi o collettivi, che vengono finanziati o trovano uno sbocco che non è legato alla stampa, ma che riguarda la parte espositiva e la possibilità di raccontare con diversi soggetti. La stampa non è scomparsa: a seconda delle situazioni, i siti e i giornali sono utili, talvolta come i social network, che servono e possono servono a farti pubblicità e a fare da vetrina”. 

L’intimacy photography è derivata anche dall’osservazione di grandi maestri

© Samuele Pellecchia

“La fotografia da un punto di vista quantitativo sta vivendo il suo momento di maggior gloria: la usano tutti, abbiamo una macchina fotografica sempre in tasca. La fotografia professionale ha vissuto un po’ di anni di sbandamento dovuto dalla precarizzazione del lavoro, e di impoverimento, e non perché non si è andati alla ricerca, ma c’è stato o è in atto un processo di semplificazione linguistico dato dai social, dato anche dal giornalismo e dalla lettura del reale, che sicuramente va a scapito della fotografica. Ma se c’è un momento di declino è conseguente anche a una nuova modalità di ricerca: ad esempio oggi buona parte della fotografia ragiona direttamente sul media che utilizzerà, che può essere una mostra, un social, o un giornale”.

“L’intimacy photography, in cui mi ci ritrovo, è derivata anche dall’osservazione di grandi maestri, che ho anche conosciuto. Secondo me c’è qualcosa che manca nel racconto del reale: tutti oggi raccontano qualcosa, ma non necessariamente vogliono prendere il posto di un racconto collettivo che è un giornale. Fotografare spesso significa scegliere un punto di vista, significa raccontare in un modo che non sostituisca l’altro modo, quello giornalistico, ma che dà un pezzo in più, e toglie quella patina data dalla grande quantità di notizie, di immagini che vengono prodotte rispetto alla stessa notizia. Per necessità poi ci schermiamo, e i nostri sentimenti non sono più così forti nel vedere immagini tragiche”. 

La fotografia è un processo di negazione della realtà

© max&douglas

“Prima di fare il fotografo facevo l’educatore. Mi piace insegnare e non ho mai smesso; dopo i primi anni di cronaca, ho ricominciato a insegnare e uso tantissimo la fotografia. Stiamo sviluppando anche con diverse associazioni e gruppi l’utilizzo della fotografia in forma pedagogica soprattutto per il racconto di sé. Abbiamo fatto questo lavoro all’Istituto Verga di Monza che è un istituto oncologico per minori e usiamo video e foto per l’autonarrazione. Io imparo tantissimo e mi piace tantissimo insegnare”. 

“La fotografia di per sé è un processo di negazione della realtà; quello che sta li dentro, dentro quell’inquadratura, non è la realtà, è la trasposizione della realtà su un mezzo che ha determinate caratteristiche. Ad esempio come mettere le luci, come scegli di selezionare l’immagine, come scegli di tagliarla, di lavorarla, di postprodurla. La fotografia è il prodotto di una tua visione”. 

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