Capcom ha appena annunciato Street Fighter 6, il nuovo capitolo numerato del celebre picchiaduro che ha fatto la storia del genere. In occasione di questo succoso annuncio, noi di Tech Princess abbiamo pensato di approfittarne per ripercorrere la storia del franchise di Street Fighter, dal primo gioco uscito nel lontanissimo 1985, fino alle sue ultime incarnazioni.
Street Fighter: una storia nata nei cabinati
Il primissimo Street Fighter, che come vi abbiamo anticipato uscì nel 1985 per cabinati arcade, era molto diverso da quello che la saga sarebbe diventata di lì a poco. L’unico personaggio giocabile infatti era Ryu, allora un semplice karateka dai capelli rossi, che doveva affrontare una serie di livelli che simulavano un torneo combattendo vari guerrieri rivali nel processo.
Nonostante il gioco lasciasse molto spazio a perplessità di vario genere, come il fatto che le combo cambiavano a seconda della foga con cui il giocatore premeva i tasti, cosa che rendeva i comandi estremamente imprecisi, il gioco ebbe un ottimo successo grazie al suo comparto grafico accattivante e la possibilità di giocare contro un altro giocatore.
Certo c’era il piccolo dettaglio che i giocatori si facevano discretamente male colpendo i tasti per fare le combo, ma era un problema che Capcom avrebbe risolto poco dopo con la distribuzioni di nuovi cabinati con più tasti. A quel punto i fan chiedevano a gran voce un sequel e, dopo alcuni passi falsi che portarono alla pubblicazione di uno spin off chiamato Final Fight, i lavori di sviluppo iniziarono.
Lo sviluppo di Street Fighter 2
La squadra messa in piedi da Capcom per lo sviluppo di Street Fighter 2 era un team a dir poco sopra le righe. Il producer era Yoshiki Okamoto, reduce di una bizzarra esperienza lavorativa per Konami, dalla quale si era fatto licenziare per aver sviluppato uno sparatutto al posto di un gioco di guida come gli era stato richiesto dai piani alti.
Il suo braccio destro invece era Akira Yasuda, altra personalità d’eccezione, nota per essersi presentata al colloqui di lavoro per Capcom in pigiama e cravatta, riuscendo anche a farsi assumere nel processo. A completare questo dream team c’era Akira Nishitani, un vero e proprio genio del game design che grazie alle idee pazze dei primi due poté dare fondo a tutto il suo potenziale creativo.
Fu proprio Nishitani ad ideare per primo il sistema delle combo, aumentando la finestra temporale in cui il gioco registrava gli input delle mosse eseguite dal giocatore e che poi divennero la spina dorsale per praticamente ogni altro gioco picchiaduro uscito da Street Fighter 2 in poi.
Non è un caso che quando Street Fighter 2 uscì nel 1991 ebbe un successo strepitoso, dato che fino a quel momento non esisteva un vero corrispettivo nel panorama videoludico dell’epoca. Il titolo era diventato quasi del tutto incentrato sui combattimenti trai giocatori e tutti i personaggi erano giocabili, ognuno dei quali andava usato in modo diverso e unico nel suo piccolo.
Senza contare poi l’art direction ispiratissima, la cura per le animazioni e il divertimento nel provare tutto quello che il gioco aveva da offrire: non a caso Capcom fu costretta ad aumentare la produzione dei cabinati.
Il successo e il primo passo falso
Ryu e l’allegra compagnia di combattenti Capcom erano ormai ovunque e sembra ormai che la serie avesse la strada spianata verso il successo. In questo periodo la software house pubblicò una lunga serie di versioni migliorate di Street Fighter 2, in cui venivano introdotti nuove meccaniche di gioco, come le Super: mosse speciali di enorme potenza, eseguite al costo di una barra di energia ad esse dedicata.
Nel 1996 Capcom decise di commissionare uno spin off in 3D, Street Fighter EX, che tuttavia non ebbe minimamente il successo sperato, diventando all’atto pratico il primo vero e proprio passo falso per il franchise, anche a causa di un gameplay non all’altezza del capitolo principale.
Proprio in questo contesto non esattamente disteso iniziò lo sviluppo di Street Fighter 3, che costituiva un sequel molto conservativo rispetto all’esperienza precedente, cosa che i fan non videro per niente di buon occhio quando uscì nel 1997. Intendiamoci, le novità c’erano tra nuovi personaggi e meccaniche di gioco, ma non abbastanza da destare l’interesse di tutti coloro che avevano giocato fino allo sfinimento Street Fighter 2.
I danni vennero limitati con una nuova versione del terzo capitolo chiamata Third Strike, ancora oggi ricordato come la parentesi più tecnica del picchiaduro, ma a quel punto era chiaro che al franchise serviva una svecchiata e passarono diversi anni prima dell’arrivo di Street Fighter 4.
Il quarto e il quinto capitolo
Al timone di Street Fighter 4 ci fu Yoshinori Ono, personalità bizzarra almeno quanto le tre originali, che riuscì a creare una cristallizzazione di quello che ha reso il franchise grande, implementando anche una valanga di novità nel processo per accontentare anche i fan storici più esigenti. Quando il gioco uscì nel 2008 fu accolto con grande entusiasmo da tutti, critica e pubblico.
Anche qui abbiamo assistito alla solita valanga di riedizioni, fino all’arrivo del quinto capitolo, nel 2016 quasi un decennio dopo. L’ultimo Street Fighter che abbiamo avuto il piacere di giocare ha recuperato come sempre l’anima del franchise, modernizzando tuttavia il modello di business: non più tanti edizioni diverse dello stesso gioco, ma un singolo software aggiornato costantemente tramite update.
A differenza del suo predecessore il lancio di Street Fighter 5 non è stato privo di polemiche, dato che il gioco è uscito un roster particolarmente risicato di lottatori, ma con il tempo il picchiaduro Capcom ha saputo fare breccia nei cuori anche dei fan più caustici e al momento si configura come un capitolo di tutto rispetto nella serie.
Ora non ci resta che attendere novità su Street Fighter 6, che Capcom ha già promesso per questa estate.
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