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The Good Mothers: la storia delle donne che hanno sfidato la ‘ndrangheta

Essere donna in terra criminale è complesso. Amare, baciare, fare un sorriso, può essere fatale: “Dove tutto è legge terribile, i sentimenti e le passioni che non conoscono regole condannano a morte”.

Le storie delle donne in terra criminale si somigliano, eppure ognuna svetta per il suo sacrificio, per il suo coraggio, per i vincoli e le regole asfittiche a cui sono sottoposte. La nuova serie Disney+, The Good Mothers, è una nobile prova di come queste storie si somiglino e di come in terra criminale il ruolo di una donna possa ispirare le altre a sovvertire la sintassi mafiosa, a scavalcare la tradizione, a disarcionare la gabbia moralistica e familiare per non vivere come un essere a metà, ma come un intero.

The Good Mothers: la recensione della serie disponibile su Disney+

The Good Mothers recensione

The Good Mothers è disponibile da oggi su Disney+, dopo aver partecipato alla 73° edizione del Festival Internazionale del Cinema di Berlino dove ha vinto il Berlinale Series Award. Basato sull’omonimo libro del giornalista Alex Perry, il progetto vede la regia di Julian JarroldElisa Amoruso, ed è interpretato da Gaia Girace (Lamica geniale), Valentina Bellè (Catch-22I Medici), Barbara Chichiarelli (Suburra – La serieFavolacce), Francesco Colella (ZeroZeroZeroTrust), Simona Distefano (Il Traditore), Andrea Dodero (Non odiare) e Micaela Ramazzotti (La pazza gioiaLa prima cosa bella).

Basata su una storia vera, The Good Mothers ripercorre le vicende di Denise, figlia di Lea Garofalo, Maria Concetta Cacciola e Giuseppina Pesce, tre donne che hanno sfidato la ‘ndrangheta. Ad aiutarle la P.M. Anna Colace che ha un’intuizione: per poter abbattere i clan della ‘ndrangheta, è necessario puntare alle donne. Nel loro tentativo di affrancarsi dal potere criminale e collaborare con la giustizia, devono combattere contro le loro stesse famiglie per il diritto di sopravvivere e di costruire un nuovo futuro per se stesse e per i loro figli. 

The Good Mothers è disponibile da oggi su Disney+

The Good Mothers recensione

Siamo nel cuore pulsante della Calabria ndranghetista e il potere maschile, il sistema mafioso patriarcale, determina in maniera molto simile la vita di tutte le donne. La storia di Lea Garofalo è innestata nel nostro immaginario, nella nostra storia, è l’esempio di come alla vita si può rispondere con la vita, con la testimonianza, con la parola. Il suo coraggio è stato ispirazione per altre donne che, dopo di lei, hanno trovato la forza di denunciare e contrapporsi alla gabbia che quel potere ha costruito attorno a loro, una gabbia fatta di obblighi, vincoli e silenzio.

La vita delle donne in terra criminale è legata indissolubilmente a quella degli uomini, senza di essi non esistono, non hanno potere decisionale, sono solo il tramite di qualcuno o qualcosa, sono esseri inanimati, a metà. Niente gli appartiene, neppure la loro immagine: quando si sposano, spesso giovanissime, il matrimonio trasferisce loro l’unica identità che possono ricoprire, ovvero quella di essere madri. Indossare vestiti eleganti, avere capelli tinti e truccarsi, fa parte di un codice visivo stretto e vincolato: significa che l’uomo comanda, perché comandando riflette sulla sua donna il suo potere. Se l’uomo è in carcere, anche l’immagine che rimandano le loro donne cambia in automatico, e l’immagine che devono restituire è quella di una donna in castigo, funerea, a lutto.

Un grande lavoro di scrittura e di ricerca

The Good Mothers recensione

La ‘ndrangheta è una struttura fortemente familistica, strutturata come una società aristocratica, e il sangue è centrale nella mentalità criminale. Non a caso, durante tutto l’arco della serie, se ne fa un’accezione continua: il sangue è una condanna a vita. “Una famiglia è il posto dove essere sangue del sangue significa essere l’uno la ferita dell’altro.” In questo contesto e a queste condizioni, vivere non è semplice, convivere con la mentalità e il potere mafioso meno che mai: appartenenza, gerarchia, controllo, sono i codici d’onore a cui corrispondere.

Ma come dicevamo poc’anzi, questa da cui è tratta la serie Disney+ è una storia vera. La storia di Lea Garofalo viene perfettamente incarnata attraverso la sincera e appassionante interpretazione di Micaela Ramazzotti, la cui vita e le cui decisioni tessono una rete di libertà, una rete di autoconservazione e autodeterminazione in cui le altre donne, dopo di lei, imparano a conoscere e a scegliere. Sua figlia Denise Cosco, come anche Maria Concetta Cacciola e Giuseppina Pesce, comprendono quanto sia necessario affrancarsi dal potere criminale e collaborare con la giustizia, anche se per farlo devono combattere contro le loro stesse famiglie, solo per il diritto di sopravvivere.

The Good Mothers è una serie lucida e intelligente

Quel che convince di questa serie è l’unicità di prospettiva, e allo stesso tempo anche la pluralità di narrazione. Da un lato siamo abituati ad osservare come le storie crime siano prevalentemente storie a trazione maschile, in cui i protagonisti sono uomini e vengono raccontati attraverso la lente del potere, dell’ascesa del controllo e della gerarchia dei ruoli, del controllo del territorio. Non c’è niente di tutto questo in The Good Mothers, che ritrae le vite delle donne intrappolate nell’inferno dominato dagli uomini.

Attraverso sei episodi avvincenti, gli uomini sono marginali dal punto di vista narrativo: sono le donne i personaggi su cui si pone lo sguardo, figure complesse, conflittuali, intraprendenti e talvolta tragiche. Ma sarebbe ingenuo pensare che tutte le donne della storia, di queste storie, siano persone eroiche che cercano di ribellarsi. Perché per ogni donna c’è una nonna, una madre, una zia, che non si divincolano mai dal loro ruolo di ancelle del patriarcato mafioso.

The Good Mothers è una serie lucida e intelligente, alla cui base c’è un enorme lavoro di scrittura e di ricerca, una serie claustrofobica che riproduce con grande enfasi e coerenza la vita asfittica che le donne abitano nei contesti criminali, una vita fatta di fuga, di ricerca della verità, di dolore, di emancipazione, di violenza e abuso, ma soprattutto una vita che cerca di divincolarsi anche dal senso colpa di chi non vuole essere additata di egoismo perché cerca di salvare se stessa.

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Lucia Tedesco

Giornalista, femminista, critica cinematografica e soprattutto direttrice di TechPrincess, con passione ed entusiasmo. È la storia, non chi la racconta.

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