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Creati i primi robot che sanno costruirsi da soli

Si chiamano xenobot e sono fatti con cellule di rana

I nostri lettori sanno come, ormai, gli approdi della tecnologia stiano superando quelle che sino a qualche anno fa erano le fervide fantasie di romanzieri e cineasti.

Se è vero che i taxi volanti, ad esempio, popoleranno i nostri cieli nel futuro prossimo, Blade Runner non sarà più fantascienza ma realtà.

Ora ci si spinge un po’ più oltre: è stato creato xenobot, il primo robot in grado di costruirsi da solo. Nonostante la loro somiglianza piuttosto palese con Pac-Man, i piccoli organismi-robot capaci di replicarsi aprono a nuovi orizzonti scientifici, ancor più che tecnologici.

Cosa sappiamo degli xenobot? Chi e perché li ha creati? Quale sarà il loro ambito di utilizzo?

Proviamo a rispondere a tutte queste domande.

Cosa sono gli xenobot

Occorre subito spiegare la stupefacente definizione, secondo cui gli xenobot sarebbero dei robot capaci di replicarsi da sé.

Il nome, come spesso accade, ci aiuta non poco a districarci. Partiamo dalla seconda e più facile parte, il suffisso “-bot” che sta per “robot”, la parte tecnologica degli xenobot.

Il prefisso “xeno-” (che in greco significa “straniero”, basti pensare al tristemente attuale aggettivo “xenofobo”) identifica invece un tipo di rana. Sì, avete capito bene, la Xenopus laevis, dalle cui cellule sono stati realizzati i sorprendenti xenobot. È un tipo di rana spesso utilizzata come modello animale in biologia.

Gli xenobot si presentano come sfere che ricordano da vicino il mitico Pac-Man. Hanno un diametro di pochi millimetri e sono in grado non solo di muoversi autonomamente, ma anche di riprodursi da sé.

xenobot

Il progetto

La notizia è freschissima, ma in realtà il progetto era stato avviato da un’équipe delle due Università statunitensi del Vermont e di Tuft già due anni fa. Al progetto di ricerca iniziale si è poi aggiunta anche l’Università di Harvard.

Uno dei quattro coordinatori dello studio, Michael Levin dell’Università di Tuft, aveva a suo tempo spiegato che “il DNA dell’organismo realizzato è al 100% quello della rana ma non è una rana. Non sono né robot tradizionali né nuove specie animali”.

Gli xenobot sono dunque una nuova classe di artefatti, ma allo stesso tempo organismi viventi e programmabili. Infatti le contrazioni del loro muscolo cardiaco producono movimenti, che si allineano a quanto è stato definito in fase di progettazione.

Come sono stati creati gli xenobot

Gli xenobot sono stati progettati grazie ai computer dell’Università del Vermont, e poi assemblati e testati all’università di Tuft.

Una volta prelevate dagli embrioni di rana, le cellule staminali sono state separate, fatte crescere e moltiplicate in laboratorio. Poi l’équipe di ricerca le ha modellate e assemblate, creando così cellule dalla forma inesistente in natura, ma capaci di funzionare insieme. E cioè di muoversi, inglobare altre cellule e soprattutto di autoreplicarsi.

La replicazione cellulare

Uno degli obiettivi del progetto xenobot è proprio quello di studiare il movimento fatto dalle cellule per riprodursi. E soprattutto progredire nell’affascinante (e forse anche un po’ inquietante) ambito dell’autoreplicazione.

I supercomputer dell’Università di Vermont hanno impiegato un algoritmo di intelligenza artificiale capace di testare miliardi di configurazioni possibili delle cellule. E hanno addirittura individuato le forme ideali che permettono di osservare la replicazione delle cellule.

Gli ambiti di utilizzo

A cosa potranno servire gli xenobot lo spiega Josh Bongard, informatico ed esperto di robotica della University of Vermont, anche lui a capo del progetto. Ha detto Bongard: “Se riusciamo a sviluppare tecnologie, apprendendo dagli xenobot, per cui possiamo dire rapidamente all’intelligenza artificiale: ‘abbiamo bisogno di uno strumento biologico che produca X e Y ed elimini Z’, questo potrebbe portare un grande vantaggio. Oggi, tale processo richiede tempi molto lunghi”.

Poi l’informatico ha specificato: “È un passo avanti verso l’uso di organismi creati dal computer per l’invio intelligente di farmaci”.

Gli xenobot potrebbero anche essere usati per rimuovere le microplastiche dai mari. E nella medicina rigenerativa, per ripristinare tessuti danneggiati o malfunzionanti.

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Le implicazioni etiche

Inutile aggiungere che simili ibridazioni tra organismi viventi e robot possano far storcere il naso. A spaventare non sono tanto gli xenobot, quanto possibili implicazioni future di ben altra portata.

Ma Michael Levin ha detto: “Questa paura non è irragionevole. Proprio questo studio fornisce un contributo diretto per comprendere meglio ciò di cui le persone hanno paura, ovvero le conseguenze indesiderate”.

Ovvero: manipolando sistemi complessi che non si conoscono è possibile avere effetti indesiderati. Per questo si comincia lavorando a sistemi semplici.

Sarà. Ma chiunque abbia visto Blade Runner non riesce a non avere qualche piccola perplessità.

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Claudio Bagnasco

Claudio Bagnasco è nato a Genova nel 1975 e dal 2013 vive a Tortolì. Ha scritto e pubblicato diversi libri, è co-fondatore e co-curatore del blog letterario Squadernauti. Prepara e corre maratone con grande passione e incrollabile lentezza. Ha raccolto parte delle sue scritture nel sito personale claudiobagnasco.com

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