Cari lettori, a noi potete confidarlo: siete tra quelli che hanno già avuto una conversazione con ChatGPT, o appartenete alla categoria di persone che inorridiscono solo all’idea di pronunciare il suo nome, come capitava ad Hogwarts per Voldemort?
È infatti notevole non solo la quantità di articoli e servizi che continuano a uscire sul più avanzato chatbot conversazionale di OpenAI, per non parlare dell’ingente investimento in denaro da parte di Microsoft (e delle aziende concorrenti, che si stanno spicciando a sviluppare intelligenze artificiali il più possibile simili).
Ma ciò che è altrettanto evidente è il fatto che, per dirla in modo spiccio, ChatGPT ci fa paura e ci attrae, ed entrambe le emozioni che ci suscita sembrano irrefrenabili. È un po’ il medesimo effetto che fa il buio con i bambini. Come mai?
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Per rispondere, iniziamo dal constatare la clamorosa (e forse unica) accoglienza che ChatGPT ha avuto e sta avendo.
Dopo di che, addentrandoci nelle sue caratteristiche, proviamo a capire perché ChatGPT ci fa paura e ci attrae allo stesso tempo.
Arriva ChatGPT. Ed è subito ban
Da quando ChatGPT è stato lanciato (ufficialmente il 30 novembre 2022) e ha preso piede, si è ingenerato il panico.
In un altro articolo abbiamo brevemente elencato la serie di divieti che il chatbot conversazionale ha dovuto subire. Parliamo di istituti scolastici e università di mezzo mondo. Il ban è iniziato dalle scuole di New York e ha poi coinvolto diversi Paesi, dalla Francia all’Australia all’India.
Per non parlare di altre nazioni in cui ChatGPT non è mai stato accessibile: Cina, Afghanistan, Bielorussia, Iran, Russia, Ucraina e Venezuela.
La novità spaventa. Ma è tutto qui?
Nel nostro già citato articolo dicevamo che un atteggiamento di chiusura aprioristica, così come quello opposto di adesione incondizionata, dividono da sempre la popolazione all’arrivo di uno strumento tecnologico nuovo e dirompente.
Così ad esempio è stato, a suo tempo, prima per la radio e poi per la televisione.
Ma forse, a ripensarci, questo è un punto di vista parziale, che non entra nella specificità di ChatGPT. Il chatbot che, ricordiamolo, nelle ultime settimane ha dimostrato di saper comporre poesie e canzoni (beccandosi peraltro una sgridata dal grande cantautore Nick Cave).
Cos’ha, quindi, di peculiare ChatGPT, che fa così paura e che allo stesso tempo attrae tutti noi?
ChatGPT e il problema del plagio
Ci possiamo avvicinare alla risposta partendo da un problema, che è poi una delle cause per cui il chatbot è stato vietato in molte scuole e università: parafrasare un testo con un’intelligenza artificiale è reato?
Risponde per noi il sito di consulenza legale La legge per tutti, secondo cui “ChatGPT non è in grado – almeno per il momento – di creare un’opera originale, seppur ispirata a un’altra. ChatGPT, quando parte da un altro testo – che è l’utente stesso a fornire chiedendo di fare un riassunto o una parafrasi – realizza una vera e propria violazione del copyright.”
Wikipedia no, ChatGPT sì
Ma a interessarci, nel nostro ragionamento, non è tanto l’aspetto legale quanto quello, per così dire, intimo.
Abbiamo appena visto come ChatGPT violi il diritto d’autore dei testi, perché non è in grado di rielaborarli distaccandosi sufficientemente dall’originale.
Ecco il punto: l’azione di violare. Ci torneremo.
Il timore è che il chatbot di OpenAI possa ingenerare una rivoluzione copernicana nel mondo della comunicazione, del reperimento delle informazioni, dello studio e della ricerca.
Ma perché, ai tempi dell’uscita di Wikipedia, in molti hanno magari sorriso sulla scarsa scientificità di alcune voci, ma nessuno si è preso lo spavento che in molti si stanno prendendo oggi con ChatGPT? E nessuno ha imposto divieti a Wikipedia?
Il vero timore nei confronti di ChatGPT
ChatGPT, è vero, può plagiare testi altrui, produrre fake news e addirittura virus malevoli.
Ma ciò che, in fondo, di ChatGPT fa paura e attrae, va nuovamente riportato al concetto di violazione. Siamo noi, per la prima volta, a sentirci violati in ciò che di più intimo e peculiare possediamo, qualcosa che ci fa gonfiare il petto e ci illude di essere i padroni del mondo. Stiamo, naturalmente, parlando della coscienza. Della possibilità, cioè, di prendere decisioni autonome basate su un senso morale.
Dunque, quando dialogando con una macchina ci sembra che anche lei possa ragionare in autonomia, ci sembra di avere di fronte una sorella e insieme un’antagonista.
ChatGPT siamo noi
Ma c’è un passo ulteriore da fare, per completare il ragionamento. Va da sé che i chatbot sono “nutriti” con le informazioni che noi essere umani diamo loro. Possiamo dunque stabilire come educarli, a seconda di ciò che mostriamo loro. Una macchina non è né buona né cattiva, e presumerlo serve solo a deresponsabilizzarci.
Ecco allora da dove derivano la paura e l’attrazione perversa verso ChatGPT. Il chatbot conversazionale di OpenAI può essere modellato in modo da apparire come straordinariamente simile a noi umani. E noi umani, si sa, siamo capaci dei più elevati gesti e dei più turpi abomini.
Leggi anche: Ecco ChatGPT, il chatbot conversazionale del futuro
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