Uno studio portato avanti dall’University of Washington, dalla UC Davis, dalla UC Irvine e dalla Northeastern University suggerisce che Alexa, l’assistente vocale di Amazon, sia solita ascoltare gli utenti per perfezionare la dinamiche della pubblicità mirata.
La gestione della privacy da parte di Alexa è ambigua?
Lo studio, che potete leggere integralmente qui, è stato condotto utilizzando uno stratagemma decisamente artigianale: la creazione di profili fasulli per testare lo strumento.
Tutti gli account sono partiti da uno stato virginale, privo di informazioni pregresse, quindi ciascuno di loro è stato adoperato mimando atteggiamenti di consumo profondamente divergenti. Da una parte poteva esserci un amante del fitness, dall’altra una casalinga oppure un gamer incallito. Nel giro di poco tempo ogni “utente” ha iniziato a vedere pubblicità affini agli interessi discussi con Alexa.
Alexa ci ascolta? La risposta di Amazon
I tecnici coinvolti nella faccenda sono chiari su un punto: la loro indagine fa riferimento alle interazioni intrattenute con l’assistente vocale.
Questo significa che non ci sono indizi che suggeriscano che gli smart speaker possano spiarci senza sosta.
A confermarlo poi è l’azienda stessa, con un portavoce che ha dichiarato a The Verge quanto segue:
“L’esperienza è simile a quel che accade quando effettuate un acquisto su Amazon o richiedete una canzone su Amazon Music; se chiedi ad Alexa di ordinare della carta assorbente o di riprodurre una canzone da Amazon Music, la registrazione di quell’acquisto e di quella canzone può portare alla selezione di precisi prodotti su Amazon o sui siti web che contengono gli annunci di Amazon.”
Insomma, in realtà Alexa non fa nulla di diverso né rispetto alle altre property del colosso americano né rispetto ad altri competitor. I risultati della ricerca effettuata dalle 4 università americane non fa che confermare un meccanismo già noto e universalmente utilizzato.
La privacy è messa alla prova dalle “skill” di Alexa?
Nel mirino di questo studio sono finite anche le “skill” dell’assistente vocale. Secondo la ricerca, solo il 47,6% delle applicazioni prese in analisi dagli accademici riportano dati puntuali su come i programmatori abbiano intenzione di monetizzare i dati raccolti dagli utenti.
“Gli sviluppatori ricevono le informazioni necessaria a rispondere alle richieste fatte dagli utenti alle loro skill, ad esempio le risposte quando giochi a un quiz o il nome della canzone che vuoi riprodurre – ha chiarato il portavoce di Amazon, Lauren Raemhild – Non condividiamo i dati personali dei clienti con skill di terze parti senza il consenso esplicito degli utenti.
Dunque che fare?
Prima di tutto niente panico. Da un lato infatti Amazon ha chiarito in maniera chiara e cristallina la sua posizione, dall’altro l’UE è dotata di leggi molto forti in rapporto alla riservatezza dei cittadini quindi siamo adeguatamente tutelati dalle attività delle multinazionali.
In secondo luogo vi ricordiamo che c’è la possibilità di negare il consenso alla pubblicità mirata, con un’intera pagina dedicata ad Alexa e la privacy che include anche lo storico delle vostre interazioni.
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