La ministra dell’Interno britannico, Priti Patel, ha approvato la richiesta di estradizione negli Stati Uniti del cofondatore di WikiLeaks, Julian Assange. Restano ancora due settimane di tempo per un appello, che però sembra improbabile, e un ultimo appello a Strasburgo. Per WikiLeaks, questo è “Un giorno buio per la libertà di stampa”.
Julian Assange, vicina l’estradizione negli Stati Uniti
Una nota dell’Home Office britannico fa sapere che la ministra “deve firmare un ordine di estradizione se non ci sono basi che lo vietino”. Quindi il quasi 51enn (il 3 luglio) Assange rischia di dover tornare negli Stati Uniti. Dove lo attende processo per 18 diversi capi di accusa connessi a reati di spionaggio che potrebbe sfociare in una condanna fino a 175 anni di carcere.
Assange era detenuto nel carcere di Belmarsh nella periferia londinese, dove era finito con l’accusa di aver violato le condizioni di libertà vigilata rifugiandosi nell’ambasciata dell’Ecuador. Che aveva poi consegnato Assange agli UK.
Ora Assange può tentare un ultimo appello alla corte inglese, entro 14 giorni. Altrimenti, l’unica possibilità diventa la orte Europea dei Diritti Umani di Strasburgo, organismo che fa capo al Consiglio d’Europa di cui il Regno Unito fa tuttora parte.
L’hacker e giornalista è accusato di aver rivelato centinaia di migliaia di documenti riservati, anche militari. Informazioni sui conflitti armati degli USA in Afghanistan e Iraq. Il materiale fini su WikLeaks e su tre grandi testate internazionali, dimostrando quelli che definì crimini di guerra delle forze armate americane e britanniche.
Washington ha assicurato che Assange non rischierebbe oltre sei anni di detenzione per violazione dei segreti di Stato. Ma gli avvocati di Assange temono che la richiesta di estradizione abbia ragioni politiche e non giudiziarie.
La situazione resta quindi complessa. Con la famiglia di Assange che teme che il giornalista possa suicidarsi pur di evitare il processo negli USA. Vi terremo informati sull’evolversi della situazione.
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