«Ciò che è straordinario, è la potenza di tutti nell’intera produzione. Che cosa è stato? Cinque o sei anni di lavoro? Il modo in cui i produttori, gli scrittori, i registi, i direttori della fotografia, tutti i reparti e il casting sono riusciti a mantenere la disciplina e il controllo dall’inizio alla fine è (termine inflazionato) meraviglioso», scriveva Anthony Hopkins a Bryan Cranston in una celeberrima lettera a proposito di Breaking Bad. Ciò che già sembrava incredibile, è riuscito addirittura a trovare una sorprendente prosecuzione in Better Call Saul, serie prequel/spin-off di cui abbiamo potuto ammirare lo strepitoso finale. Merito di interpreti straordinari come Bob Odenkirk e Rhea Seehorn, di un universo pieno di criminalità e squallore ma allo stesso tempo intriso di dirompente umanità, ma soprattutto dei creatori Vince Gilligan e Peter Gould, capaci di mantenere per anni un invidiabile livello di qualità e compattezza.
Nel corso di sei intense e struggenti stagioni, abbiamo vissuto l’ascesa, la caduta e la redenzione dell’avvocato e faccendiere di Walter White, ma abbiamo anche ammirato la crescita e la maturazione della Kim Wexler di Rhea Seehorn, uno dei migliori personaggi della serialità recente. Tutto questo mentre la narrazione di Gilligan e Gould allargava continuamente i propri orizzonti, prendendosi tutto il tempo necessario per raccontare personaggi e vicende apparentemente marginali, ma in realtà fondamentali per il caleidoscopio di emozioni e umanità alla base di questo universo. Prima di procedere oltre nella nostra disamina del finale di Better Call Saul, vi avvisiamo però che nel prosieguo della nostra recensione ci saranno numerosi spoiler sull’epilogo della serie. Vi raccomandiamo quindi di proseguire con la lettura solo dopo aver visto il finale della sesta e ultima stagione Saul Gone, in modo da non incappare in sgradite anticipazioni.
Better Call Saul: la nostra recensione (con spoiler) del finale della serie
«L’hai fatto solo per soldi», dice la vedova di Hank Schrader, Marie, a Saul Goodman, inevitabilmente finito nelle mani della giustizia al termine di un tragicomico tentativo di fuga. Un’affermazione che richiama il finale di Breaking Bad e in particolare quel lacerante “L’ho fatto per me” detto da Walter White alla moglie Skyler durante il loro ultimo confronto, suggerendoci contemporaneamente una possibile interpretazione della parabola di Saul Goodman/Jimmy McGill/Gene Takavic, adorabile canaglia sempre in bilico fra legge e crimine che abbiamo imparato a conoscere e ad amare. Anche prima del finale di Better Call Saul, abbiamo sempre saputo che per Jimmy non è mai stata una questione di soldi, o almeno non solo.
Come una valanga che accumula neve e detriti sul suo cammino, procedendo sempre più grande e spedita verso valle, nel tentativo di ottenere una rivalsa nei confronti dell’arroganza intorno a lui e di fare il minimo sforzo, anche a costo di aggirare la legge, Jimmy ha innescato un effetto domino che ha travolto la sua vita, la sua carriera, suo fratello Chuck e persino il suo rapporto con Kim, l’unica persona a cui ha mai tenuto per davvero.
Non è un caso che proprio al termine del suo matrimonio con Kim, troppo integra moralmente per seguirlo nel suo viaggio verso la totale perdizione, le azioni di Saul Goodman diventino sempre più pericolose e abiette, fino a costringerlo alla fuga e all’anonimato a Omaha, in Nebraska. Qui lo ritroviamo con lo pseudonimo di Gene Takavic, in sequenze fotografate in bianco e nero fin dall’inizio della serie, per descrivere una vita priva del colore di Saul Goodman, l’istrionico e irresistibile avvocato che ogni furfante vorrebbe avere dalla sua parte.
Viaggi nel tempo e rimpianti
Ma in tutto questo c’è possibilità di redenzione? È possibile tornare indietro e cambiare strada? La puntata finale di Better Call Saul si concentra proprio su questo tema, soprattutto attraverso tre flashback con le vecchie conoscenze Mike Ehrmantraut, Walter White e Chuck McGill, tutti incentrati sul tema del viaggio nel tempo o, come esplicita il protagonista di Breaking Bad, sul rimpianto. Mentre Mike e Walter, in due dei pochi momenti di radiosa umanità all’interno di questo universo sinistro e angosciante, esprimono l’irrealizzabile desiderio di tornare all’inizio della loro strada verso il male per prendere una scelta auspicabilmente migliore, Saul è sinceramente convinto del suo percorso. I suoi ideali viaggi nel tempo sarebbero infatti focalizzati su un investimento capace di renderlo un multimilionario, come un Biff Tannen qualsiasi, e sulla rottura per eccesso di entusiasmo di un ginocchio, che ancora lo tormenta.
Ci accorgiamo così che il tema di Saul Gone non è tanto il destino di questo splendido personaggio, quanto piuttosto la ricerca dell’umanità ben nascosta all’interno del suo animo truffaldino. Tutto sembra volgere verso il peggio in questo senso, dal momento che lo vediamo addirittura mettere in scena uno dei suoi classici show per giurie davanti a una vedova, con il chiaro intento di rendere evidente la possibilità di una clamorosa assoluzione per le sue malefatte. Una volta patteggiata una generosissima pena di 7 anni e mezzo di prigionia, Saul si spinge ancora oltre, arrivando addirittura a proporre la verità sul presunto suicidio di Howard Hamlin in cambio di un gelato settimanale recapitato a domicilio nel carcere più morbido di sua conoscenza. Tutto però cambia quando Saul scopre che Kim ha già confessato a sua volta la verità sulla fine del loro ex collega.
Saul Gone: l’episodio finale di Better Call Saul
Il baricentro emotivo di Jimmy/Saul è sempre stata Kim, unica capace di connettersi con la sua contorta mente, almeno fino a quando è diventato evidente il percorso autodistruttivo intrapreso da entrambi come coppia. È un breve flashback con il fratello scomparso Chuck, appassionato lettore de La macchina del tempo di H. G. Wells, a mostrarci uno sprazzo di umanità di Jimmy, che si prende cura di lui nonostante anni di rimproveri ricevuti. Ed è proprio Chuck a ricordargli una verità che spesso tendiamo a dimenticare: non è mai troppo tardi per cambiare strada e per cercare di riparare ai nostri errori. Ma per uno showman prestato alla legge come Saul Goodman questo percorso non può che passare da un’irresistibile arringa in tribunale, con la quale rompe di fatto il patteggiamento, condannandosi a 86 anni di carcere ma ripulendo la reputazione di Kim.
Il più alto gesto possibile per una persona che ha vissuto tutta la sua vita rimanendo a galla attraverso imbrogli, sotterfugi, piccole e grandi truffe, riciclaggio di denaro sporco e favoreggiamento di efferati omicidi. Una persona per cui una vita da uomo libero non è assolutamente possibile, ma al tempo stesso troppo scaltra per spingere il piede sul pedale dell’autodistruzione fino alla fine, come il suo ex socio Walter White. Siamo sicuri che Saul Goodman, accolto trionfalmente già al suo arrivo in carcere dai suoi nuovi compagni, in qualche modo se la caverà, e farà tornare quei colori cancellati dalla sua vita dopo la fine dell’avventura con Walter White. E magari a dargli una mano in questo senso sarà l’unica sua possibile compagna di vita, con cui giustamente lo ritroviamo nella toccante scena finale di Better Call Saul.
Il finale di Better Call Saul
Una sigaretta accesa e condivisa come nel primo episodio della serie, unico elemento colorato all’interno di una fotografia ancora in bianco e nero, a sottolineare la vita e l’amore che si celano dietro quel semplice gesto. Anche un uomo come Saul, che si è fatto letteralmente strada attraverso le parole e l’affabulazione, non può che rimanere in silenzio in un momento del genere. «Con la buona condotta, chissà», gli sentiamo abbozzare in risposta all’osservazione di Kim sulla sua abilità nel patteggiare a 7 anni e mezzo di pena. Il suo modo per dire grazie. E non servono le parole neanche per l’ultimo commovente sguardo fra i due, che si conclude con l’inconfondibile gesto delle pistole con le dita, marchio di fabbrica di Saul.
Anche stavolta Gilligan, con la preziosa collaborazione di Gould (regista dell’episodio finale) trova per il suo protagonista il finale più giusto possibile, concludendo un’opera capace di essere sempre coerente con se stessa nonostante le tantissime apparenti divagazioni, che in realtà erano solo occasioni per approfondire ulteriormente i personaggi (memorabile in questo senso il calice di vino sorseggiato da Gus Fring davanti al suo amore impossibile). Mentre Walter White doveva completare la sua parabola precipitando a terra in un laboratorio, a emblema della sua irresistibile ascesa e della sua rovinosa caduta nel mondo del crimine, la fine di Saul è più sfumata e per certi versi sospesa.
Sta a noi decidere quanto durerà la sua permanenza in carcere, e soprattutto tocca allo spettatore immaginare il suo futuro: Kim ricambierà il gesto delle pistole con le dita? Vincerà ancora il male o, almeno per una volta, Saul sarà capace di imboccare la strada giusta?
L’universo di Vince Gilligan
L’epilogo di Better Call Saul ci lascia con la consapevolezza di aver assistito alla migliore conclusione possibile di un ciclo narrativo lungo ben 14 anni, che non teme eguali all’interno del panorama seriale contemporaneo per solidità narrativa, tensione emotiva e capacità di mettere in crisi tutte le nostre certezze, portandoci a parteggiare apertamente per potenziali galeotti e spietati criminali.
L’inevitabile confronto fra Breaking Bad e Better Call Saul diventa così poco più che un pretesto per parlare di altro, proprio come le domande di Saul sulla macchina del tempo. Breaking Bad e Better Call Saul sono semplicemente l’una lo specchio dell’altra, ed è difficile, se non impossibile, trattarle come due serie separate.
I cammini di Walter White/Heisenberg e Saul Goodman/Jimmy McGill/Gene Takavic sono in fondo gli stessi. Due professionisti cresciuti in un ambiente con regole ben precise, ma incapaci o impossibilitati a sottostare a questi principi. Due persone disposte a tutto per migliorare la propria condizione, anche a prendere una serie di decisioni sbagliate e a distruggere l’impero da loro creato. Due personaggi umani e perciò fallibili; fantocci in mano a un burattinaio invisibile e dall’ironia macabra; pedine di una scacchiera oscura in cui è dolce muoversi e perdersi, e che da oggi mancherà profondamente a tutti gli appassionati di serialità moderna.
Ultimo aggiornamento 2024-10-06 / Link di affiliazione / Immagini da Amazon Product Advertising API
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Il finale mi ha lasciato deluso. Non capisco perché Jimmy abbia voluto andare di fronte alla corte per difendere Kim, ma da cosa ? E poi perché tutti quei anni di condanna? Perché ha smesso di fare l’avvocato ? In fondo, fino ai ultimi episodi,non aveva commesso crimini. Anche il modo come è stato arrestato, poteva uscire e salire sul taxi, o uscire da dietro, dove era entrato, o togliere il salvavita alla signora. E poi, che fine hanno fatto Fring e Schwarztraut ?
E poi che c’entra Breaking Bad , hanno fatto un mix senza senso. Finale completamente illogico. Una delusione.