“C’era una volta il West”. Una frase che rappresenta l’ideale incontro fra il mondo delle favole, con quell’incipit indelebilmente scolpito nell’immaginario collettivo, e l’epopea western, pietra angolare del cinema narrativo classico. Ma allo stesso tempo “C’era una volta il West” ha il sapore malinconico dell’addio, dell’ineludibile fine di un’epoca. Un doppio binario tematico e narrativo su cui si sviluppa lo straordinario C’era una volta il West di Sergio Leone, servendosi proprio del treno come simbolo di un progresso che ci porta in nuove direzioni, lasciando dietro di sé un carico di storie e personaggi consegnati al mito e alla leggenda.
Un fondamentale momento di passaggio per il cinema, per il western e per lo stesso Sergio Leone, che non a caso arriva nel 1968, lo stesso anno di 2001: Odissea nello spazio e di un’altra crepuscolare storia del West come Il grande silenzio (a cui abbiamo dedicato il precedente appuntamento con la nostra rubrica cinematografica Il filo nascosto), ma soprattutto l’anno della grande rivoluzione mancata, in cui i contestatori hanno vanamente alzato la testa per l’ultima volta contro il sistema. Il momento giusto e la collocazione giusta per l’ideale chiusura di un genere e di un immaginario, affidata a un appassionato cantastorie e a un lucido uomo di cinema, capace di rielaborare archetipi e stilemi di un intero filone in un’opera unica e impareggiabile, imperitura fonte di ispirazione per cineasti del calibro di Quentin Tarantino, Martin Scorsese e John Carpenter.
C’era una volta il West: il malinconico canto del cigno di un genere firmato da Sergio Leone
Tutto nasce dall’incontro fra il regista, reduce dal clamoroso successo della Trilogia del Dollaro con protagonista l’uomo senza nome di Clint Eastwood, con due giovani uomini di cinema dal luminoso futuro, ovvero Bernardo Bertolucci e Dario Argento. Nel corso di una serie di riunioni andate avanti per alcuni mesi, i due alimentano il fuoco del maestro, spingendolo verso alcune soluzioni fino a quel momento inedite nel suo cinema. La più importante di queste è sicuramente una figura femminile forte e centrale, ovvero l’indomita prostituta Jill, pensata in un primo momento per Sophia Loren e successivamente affidata a Claudia Cardinale, in una delle scelte di casting più azzeccate del cinema leoniano. Fra i meriti di Bertolucci e Argento c’è inoltre quello di avere spinto il regista in direzione di un’esplorazione della storia del western, nonché verso una riflessione sull’epoca del West, fondamentale per la nascita degli Stati Uniti di oggi.
Una volta elaborato un trattamento iniziale di circa 300 pagine, i due giovani allievi abbandonano il maestro per altri progetti con cui fare spiccare il volo alle rispettive carriere, spingendolo così verso il fidato Sergio Donati, già co-sceneggiatore (non accreditato) di Per qualche dollaro in più e Il buono, il brutto, il cattivo. Una volta completata la sceneggiatura, è poi il turno del co-autore di tutti i film di Sergio Leone, cioè Ennio Morricone, che compone una memorabile colonna sonora utilizzata come traccia già durante le riprese, dedicando un tema specifico a ognuno dei personaggi principali, interpretati dalla già citata Claudia Cardinale, Jason Robards, Charles Bronson (dopo l’inaspettato rifiuto di Clint Eastwood, che ha sancito la fine dell’amicizia con Leone) ed Henry Fonda, convinto ad accettare un per lui insolito ruolo di cattivo dal regista e dall’amico Eli Wallach, il memorabile Tuco de Il buono, il brutto, il cattivo.
Vendette e tradimenti
Più che da una trama, C’era una volta il West è caratterizzato da una moltitudine di trame, intrecciate fra loro dal passato, dagli interessi e dal destino dei protagonisti. Quella principale verte su Jill McBain (Claudia Cardinale), ex prostituta di New Orleans che dopo essersi sposata in gran segreto con un proprietario terriero arriva a Sweetwater, con l’intenzione di vivere il suo matrimonio e costruirsi un’esistenza migliore. Una volta giunta sul posto, vicino all’unica fonte d’acqua della regione, scopre amaramente che il marito è stato brutalmente assassinato insieme ai suoi figli dallo spregevole Frank (Henry Fonda), assunto dal magnate delle ferrovie Morton (Gabriele Ferzetti). L’esecuzione è dovuta al fatto che la terra è strategica per l’imminente passaggio della ferrovia transcontinentale: tuttavia, se al momento della costruzione della ferrovia nei pressi di Sweetwater non sarà stata edificata una stazione, la vedova Jill perderà il terreno e ogni possibilità di guadagno.
Intorno a Jill, ruotano tre uomini. Il primo è il già citato Frank, che dopo aver rapito Jill la costringe a vendere il terreno all’asta. Il secondo è il bandito Cheyenne (Jason Robards), che viene incastrato da Frank per addossargli la colpa dei suoi crimini, ma si rivela invece un prezioso alleato di Jill. Infine c’è il misterioso Armonica (Charles Bronson), soprannominato così per il suo vizio di suonare il caratteristico strumento musicale, anche nei momenti più inopportuni. L’uomo è alla caccia di Frank per una questione personale risalente a un lontano passato, e diventa di conseguenza un valido sostegno per Jill nella lotta contro il temibile sicario. Mentre si snodano le vicende di questo bizzarro quadrangolo, si avvicina sempre di più la ferrovia, a ribadire che le loro ormai anacronistiche figure stanno per essere spazzate via dal tempo e dal progresso.
C’era una volta il West e la riflessione sul tempo
C’era una volta il West si apre con una sorta di rilettura di Mezzogiorno di fuoco, e nello specifico con un lungo incipit che Sergio Leone trasforma in una lezione di regia e di utilizzo del sonoro, utilizzando i suoi caratteristici primissimi piani, ma anche i rumori ambientali, i cigolii e persino i ronzii, per trasmettere la sensazione della più opprimente attesa. La prima di una lunga serie di riflessioni sul tempo da parte del regista, nonché una delle tante dilatazioni temporali di Leone, capace di trasformare un’istante in un’intera vita o al contrario di riassumere un’esistenza in una singola immagine. A differenza del capolavoro di Fred Zinnemann, l’uomo in cui stanno per imbattersi i tre loschi figuri in attesa alla stazione non è il cattivo, bensì l’antieroe del film Armonica, figura in continuità con il pericoloso fascino emanato da Clint Eastwood nella Trilogia del Dollaro.
Dopo questa folgorante introduzione, che termina immancabilmente con uno scontro a fuoco vinto da Armonica («Ci siamo proprio dimenticati un cavallo», gli dicono. «Ce ne sono due di troppo», risponde lui), facciamo la conoscenza della sfortunata famiglia McBain e del pericolosissimo Frank, che grazie alla prova aspra e spigolosa di Fonda si rivela uno dei villain più riusciti dell’intera filmografia leoniana. Una performance fortemente voluta e cercata da Leone, che volò fino a New York per convincere l’attore, restio ad accettare una parte da cattivo. Il primissimo piano sui suoi inconfondibili occhi azzurri, che rivelano l’identità del feroce assassino, è un pezzo di storia del cinema, ma rischiò di essere parzialmente indebolito.
L’attore si presentò infatti sul set con lenti da contatto scure e barba, secondo lui più in sintonia col personaggio. Leone fu però inflessibile e chiese immediatamente la loro rimozione, regalando agli spettatori dell’epoca, abituati al Fonda eroico, una notevole sorpresa.
L’indimenticabile Jill di Claudia Cardinale
Di presentazione in presentazione, arriviamo a quella di Jill, nella celeberrima scena del suo arrivo alla stazione. Il connubio fra la regia di Leone e le musiche di Morricone tocca una delle sue vette, regalando un momento dolce e struggente allo stesso tempo, nonché una pregevole introduzione del personaggio chiave di C’era una volta il West. Le note del tema scelto dal compositore per Jill, che qualche anno più tardi John Carpenter vorrà addirittura al posto della classica marcia nuziale per il suo matrimonio con Adrienne Barbeau, evoca la malinconia del personaggio, perennemente in fuga dai pericoli e dalle delusioni, ma suggerisce anche la sua grande umanità, accompagnata da una sensualità capace di fare girare la testa a tutti gli uomini che incontra.
Sergio Leone indugia sul suo volto deluso nel momento in cui la donna si accorge che nessuno è venuto a prenderla (primo sentore di sventura), la segue nel caos della stazione e poi alza verso il cielo la telecamera, scoprendo la bellezza dei suggestivi paesaggi della Monument Valley, tanto cari al suo maestro John Ford. Da attrice raffinata e poliedrica, Claudia Cardinale fa il resto, trasformando uno speranzoso sorriso in timorosa cupezza ma mantenendo un portamento fiero ed elegante per tutto il tragitto verso il suo defunto marito.
Una comunicazione non verbale che definisce perfettamente un personaggio in grado di resistere a tutti i colpi bassi che la vita gli riserva, e che pochi minuti dopo sputerà queste amarissime parole: «Se ti piace puoi sbattermi sul tavolo e divertirti come vuoi, e poi chiamare anche i tuoi uomini. Beh, nessuna donna è mai morta per questo. Quando avrete finito mi basterà una tinozza d’acqua bollente e sarò esattamente quella di prima, solo con un piccolo schifoso ricordo in più».
C’era una volta il West: l’elogio funebre al western
Arriva poi il turno di Cheyenne, classico outsider leoniano in bilico fra bene e male, fra buoni e cattivi. Animato dal mero istinto di sopravvivenza, lo vediamo circuire Jill, entrare in rotta di collisione con Armonica e cominciare una sfida a distanza con Frank (i due sono gli unici dei quattro protagonisti a non incontrarsi mai). Il cinismo e la mediocrità di Cheyenne lasciano però ben presto spazio a una disillusa e ironica umanità, che affiora soprattutto nei suoi confronti con Jill, come quando la omaggia con le parole «Sai Jill, mi ricordi mia madre. Era la più grande puttana di Alameda e la donna più in gamba che sia mai esistita. Chiunque sia stato mio padre, per un’ora o per un mese è stato un uomo molto felice». Una delle più toccanti e allo stesso tempo bizzarre dichiarazioni di impossibile amore mai viste sul grande schermo.
L’intreccio più tipicamente western comincia a dipanarsi, portando con sé il suo carico di scontri a fuoco e verbali, gli assalti al treno, i tradimenti e i doppi giochi. Ma a differenza di quanto visto nelle avventure dell’uomo senza nome, l’atmosfera è più amara e crepuscolare, e ogni risvolto della trama evidenzia che i tre uomini che ruotano intorno a Jill fanno tutti parte, ognuno a suo modo, di un’epoca di eroismo, vendetta e violenza destinata a lasciare spazio a un’altra totalmente diversa. Come farà Martin Scorsese con The Irishman nei confronti del gangster movie più di 50 anni dopo, Sergio Leone declama l’elogio funebre del genere western, giunto al termine della sua fase più propulsiva e inventiva e ormai prossimo a essere superato dai giovani ribelli e sfrontati della New Hollywood.
Riferimenti e citazioni
Nel portare avanti questo canto del cigno di un intero genere, Sergio Leone non manca però di omaggiarne la storia. Fra le più o meno sottili citazioni a Quel treno per Yuma (città che viene esplicitamente menzionata), Vera Cruz (Charles Bronson che suona l’armonica) e Il cavaliere della valle solitaria (il funerale dei McBain), il riferimento più evidente è ancora una volta un nume tutelare del western come Sentieri selvaggi. Il capolavoro di John Ford funge da palese ispirazione per l’angosciante scena che anticipa il massacro dei McBain, costellata da allarmanti rumori ambientali e spostamenti sospetti di animali, ma soprattutto per le frequenti allusioni al finale di Sentieri selvaggi, e a quella porta di casa che separa una vita di avventure e pericoli da una tranquilla esistenza casalinga.
La struggente uscita di scena di John Wayne nella pietra miliare fordiana viene evocata ogni volta che un personaggio attraversa la porta della casa di Jill, unico personaggio ad avere un futuro nella turbolenta Sweetwater. Il western in fondo è basato su orizzonti che si aprono e che si chiudono (a volte nel peggiore dei modi), e su soglie fisiche e simboliche che separano da una vita irraggiungibile. C’era una volta il West non fa eccezione: dove Ethan Edwards si fermava, conscio di non poter restare con la famiglia Jorgensen, Armonica e Cheyenne compiono più volte il percorso inverso, lasciando intravedere a Jill un sereno futuro ma preferendo invece il West più oscuro e selvaggio («Ma non sono quello giusto. E nemmeno lui», dice il personaggio di Jason Robards).
Aneddoti e curiosità di C’era una volta il West
Come in tutti i lavori di Sergio Leone, non mancano episodi e aneddoti avvenuti dietro le quinte, che si saldano al racconto dando vita a una miscela inestricabile di realtà e fantasia. L’evento più celebre e triste è indubbiamente il suicidio compiuto sul set da Al Mulock, interprete di uno dei tre pistoleri che attendono Armonica alla stazione nella scena iniziale che si gettò da una finestra dell’hotel in cui soggiornava il cast. Come riportato dall’attore Mickey Knox in un’intervista, Sergio Leone fu fedele al motto del “The Show Must Go On”, reclamando a gran voce che fosse recuperato il costume dell’attore, impegnato per mezzo del suo collega Claudio Mancini in una disperata e inutile corsa verso l’ospedale.
Ben più divertente fu il coinvolgimento nel film di un futuro maestro come John Landis, impegnato nel ruolo di stunt-man. Al contrario, la scena in cui Frank e Jill sono a letto fu particolarmente imbarazzante per Claudia Cardinale e Henry Fonda (poco avvezzo alle scene di sesso): nel primo giorno di riprese per l’attrice italiana, la moglie di lui chiese e ottenne di essere presente sul set, esacerbando così la già palpabile tensione. Claudia Cardinale è inoltre protagonista insieme a Paolo Stoppa di uno dei viaggi virtualmente più lunghi mai fatti sul grande schermo: la loro corsa in carrozza inizia nel deserto di Tabernas, in Spagna, e si conclude nella celeberrima Monument Valley, teatro di alcune scene di C’era una volta il West.
Il confronto fra Frank e Armonica
Dopo diversi incroci, arriva finalmente il momento del confronto fra Frank e Armonica, nonché dello svelamento del mistero che li lega. Mentre le scene del duello (o del triello) finale erano state rappresentate con crescente tensione e travolgente epica in Per un pugno di dollari, Per qualche dollaro in più e Il buono, il brutto, il cattivo, è emblematico che la sfida fra Frank e Armonica avvenga ai margini dei lavori della ferrovia (ormai prossima a Sweetwater) nell’indifferenza generale dei presenti, a sottolineare che nel mondo che sta precipitosamente arrivando non c’è più spazio per gli eroi solitari e tenebrosi del West e per le loro vendette.
Dopo aver idealmente seppellito il suo spaghetti-western nel finale de Il buono, il brutto, il cattivo, ambientato nell’enorme cimitero di Sad Hill, Sergio Leone sceglie toni meno enfatici per la mera sfida fra Frank e Armonica, concentrandosi sul mistero che li lega, al centro di un prodigioso montaggio alternato fra passato e presente e di una nuova riflessione sul tempo, dilatato o concentrato dal regista in base alle sue esigenze narrative. Una dinamica che tornerà anche nei due successivi episodi di quella che oggi chiamiamo Trilogia del Tempo, ovvero Giù la testa e C’era una volta in America.
Il finale di C’era una volta il West
Fra sorpresa e raccapriccio, scopriamo così che l’armonica che abbiamo costantemente visto in bocca al personaggio di Charles Bronson non era altro che un macabro omaggio al suo defunto fratello, ucciso da Frank anni prima attraverso una barbara impiccagione, a cui il giovane Armonica è stato costretto a partecipare con il suo inseparabile strumento musicale fra le labbra. È un semplice gesto di Armonica a ricordare a Frank questo disgustoso episodio, ed è la formidabile recitazione di Henry Fonda a riassumere in un solo sguardo il ricordo, la vergogna e la sconfitta, mentre il sicario esala l’ultimo respiro.
Lieto fine? Non proprio. Una volta chiusi i conti con il proprio triste passato, ad Armonica non resta che tornare nel nulla da cui è venuto, vanificando così i sogni amorosi di Jill. Della partita non può fare parte Cheyenne, ferito a morte poco prima dal magnate Morton. Fedele alla sua irriducibile personalità anche a un passo dalla fine, Cheyenne lascia però un consiglio alla stessa Jill («Sai Jill, se fossi in te gli porterei da bere a quei ragazzi. Tu non immagini quanta gioia mette in corpo a un uomo una donna come te, anche solo vederla. E se qualcuno di loro ti tocca il sedere, tu fai finta di niente, lasciali fare») e una riflessione altrettanto preziosa ad Armonica («Quando toccherà a te, prega che sia uno che sa dove sparare»).
La fine di un’epoca
Mentre risuonano le commoventi note di Ennio Morricone, la macchina da presa di Sergio Leone si alza per mostrarci la ferrovia ormai a un passo dal completamento, pronta a portare soldi, prosperità e vita in uno scenario precedentemente dominato dalla polvere e dalla morte. Mentre Jill si appresta ad accompagnare il cambiamento e il progresso, circondata da operai stanchi ma felici, a noi non resta che salutare la fine di un’epoca fatta di avventurieri e furfanti e la conclusione di un periodo unico e irripetibile per il cinema, prossimo a essere stravolto da cambiamenti sociali e tecnologici proprio come la piccola e vibrante Sweetwater.
«Non hai capito Jill, la gente come lui ha dentro qualcosa, qualcosa che sa di morte. Quello lì se è ancora vivo entra da quella porta, piglia la sua roba e dice addio. Io invece resterei, se potessi».
Il filo nascosto nasce con l’intento di ripercorrere la storia del cinema nel modo più libero e semplice possibile. Ogni settimana un film diverso di qualsiasi genere, epoca e nazionalità, collegato al precedente da un dettaglio. Tematiche, anno di distribuzione, regista, protagonista, ambientazione: l’unico limite è la fantasia, il faro che ci guida è l’amore per il cinema. I film si parlano, noi ascoltiamo i loro dialoghi.
Ultimo aggiornamento 2024-10-06 / Link di affiliazione / Immagini da Amazon Product Advertising API
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L’apice del cinema italiano.
L’apice è C’era una volta in America, per me. Il fatto che un film del genere negli USA non abbia ricevuto quasi il benché minimo riconoscimento è un insulto alla cinematografia.
Letto tutto d’un fiato, bravi
Meraviglioso film, sembra proprio di esserci dentro a quel periodo del passato.. Il primo film che ho visto al conema con mio padre.. Lo riguarderei decine di volte
Un film meraviglioso, struggente nella malinconia per un west che non c’è più e che forse non c’è mai stato.
Personaggi e interpreti indimenticabili.musica sublime.scene capolavori,il meglio di un grandissimo regista.bravi per il vostro commento!