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Il Gattopardo di Luchino Visconti – Il filo nascosto

Per il nuovo appuntamento con la nostra rubrica cinematografica Il filo nascosto, parliamo di un capolavoro firmato da Luchino Visconti.

«Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi». La frase più celebre de Il Gattopardo è anche quella in grado di riassumere il senso di questo suggestivo e indelebile racconto, sia nella versione originale letteraria di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, sia nella sua controparte cinematografica, diretta con la solita inconfondibile maestria da Luchino Visconti. Nella decadente e malinconica parabola di Don Fabrizio Corbera, principe di Salina, e nel cinismo e nell’opportunismo di suo nipote Tancredi Falconeri possiamo infatti rintracciare l’immobilismo di una nazione e la capacità di adattamento dell’alta borghesia, in grado di resistere ai mutamenti sociali, politici ed economici.

Non è un caso che questa riflessione avvenga durante un momento storicamente fondamentale come lo sbarco a Marsala di Garibaldi e dei suoi Mille, nascita di una nazione e dei vizi e delle contraddizioni che ancora oggi la accompagnano. In maniera analoga a quanto fatto da Via col vento con la guerra civile americana, Il Gattopardo intreccia infatti storia e finzione, sfarzo e mediocrità, ascese e cadute, trasformando in racconto epico e romantico una fase cruciale per il destino dell’Italia. E lo fa anche grazie all’apporto di uno strepitoso cast, all’interno del quale si distinguono un fiero e nostalgico Burt Lancaster, l’irriverente e ambizioso Alain Delon e una caparbia e abbagliante Claudia Cardinale, già protagonista del precedente appuntamento con la nostra rubrica cinematografica Il filo nascosto, dedicato a C’era una volta il West.

Il Gattopardo: il trasformismo e l’opportunismo di una nazione in un capolavoro del cinema italiano

Il Gattopardo

Il lento e avvolgente incipit de Il Gattopardo ci porta all’interno del lussuoso palazzo della famiglia del Principe di Salina (Burt Lancaster), dove tutto sembra procedere con la consueta torpida inerzia. La Sicilia, come l’Italia intera, è però in subbuglio. Il Risorgimento ha infatti messo in moto un repentino e rivoluzionario cambiamento della situazione politica, destinata a mettere in secondo piano l’aristocrazia rappresentata dal Principe. Al contrario, suo nipote Tancredi Falconeri (Alain Delon) è abile a cavalcare questo particolarissimo momento storico, diventando di fatto un emblema del trasformismo dell’alta borghesia, talmente potente da consentire ai nobili più scaltri di sopravvivere anche alle più impetuose tempeste sociali. Proprio quest’ultimo, mette con disinvoltura da parte i piani per un matrimonio con la cugina Concetta, corteggiando la furba e bellissima Angelica (Claudia Cardinale), figlia del nuovo rozzo sindaco del paese, Don Calogero Sedara (Paolo Stoppa).

Il progetto di matrimonio fra Tancredi e Angelica è a sua volta un fulgido esempio di trasformismo e convenienza fra chi ha una notevole posizione sociale ma una calante disponibilità economica e chi invece è alla ricerca di un mezzo con cui legittimare la propria ricchezza nell’ambiente altoborghese. Sullo sfondo, la politica muove i propri tentacoli, cercando di inglobare in nuovi schemi un relitto della morente aristocrazia come Don Fabrizio, a cui non rimane che un pomposo e malinconico ballo prima del cammino sul viale del tramonto.

La decadenza per Luchino Visconti

Il Gattopardo

A ben vedere, non poteva esserci scelta migliore di Luchino Visconti per dirigere Il Gattopardo, passato dal successo letterario al grande schermo nel giro di appena 5 anni. Un progetto ambizioso ed estremamente costoso, che nonostante la conquista della prestigiosa Palma d’oro del Festival di Cannes del 1963 e una calda accoglienza in Italia, si rivelò un clamoroso insuccesso commerciale all’estero, portando al fallimento la gloriosa casa di produzione Titanus. Da fervente sostenitore del Partito Comunista Italiano, incapace però di lasciarsi alle spalle le sue origini aristocratiche, Luchino Visconti riversa le sue contraddizioni e i suoi impulsi discordanti all’interno di un racconto perfettamente in linea con il decadentismo che successivamente sarà al centro della “trilogia tedesca”, formata da La caduta degli dei, Morte a Venezia e Ludwig.

Fra rivoluzione e conservatorismo, sopravvivenza e oblio, Il Gattopardo si muove con il passo del colossal in una Sicilia sonnecchiante ma ribollente di vita, all’interno della quale si celebra il lento dissolvimento di un’epoca, ben rappresentato dal Principe di Salina. Nel personaggio superbamente interpretato da Burt Lancaster convivono moltitudini ma anche ambiguità etiche e politiche, che non passarono inosservate al Partito Comunista Italiano e portarono il regista a un frettoloso montaggio alternativo farcito di lotte di classe e rivolte contadine, in modo tale da ingraziarsi la critica cinematografica di sinistra. Un’operazione totalmente estranea al senso più intimo e profondo del racconto, che giustamente il regista ripudiò appena in tempo per la partecipazione a Cannes. Le cose per Visconti non andarono però altrettanto bene negli Stati Uniti, dal momento che oltreoceano Il Gattopardo subì pesanti tagli e stravolgimenti di montaggio, principali responsabili del fallimento commerciale del progetto.

Tecnica e racconto

Fortunatamente, l’opera che oggi possiamo ammirare, grazie anche all’eccellente restauro realizzato dalla Cineteca di Bologna, è depurata da distorsioni morali e narrative. Sprigionano così tutta la loro forza i sontuosi costumi di Piero Tosi (riconosciuti con una nomination all’Oscar), la calda fotografia di Giuseppe Rotunno, ottenuta limitando al minimo indispensabile l’utilizzo di energia elettrica e traendo ispirazione da opere del calibro di Colazione sull’erba di Édouard Manet, e le sublimi musiche di Nino Rota, che si destreggia fra la partitura inedita di un Valzer brillante di Giuseppe Verdi e sonorità più popolari.

Non sono però da meno né la sceneggiatura, per la quale Luchino Visconti si è avvalso dell’inestimabile contributo di Suso Cecchi D’Amico, Pasquale Festa Campanile, Enrico Medioli e Massimo Franciosa, né il cast, in cui spiccano brillanti caratteristi come Romolo Valli e il già citato Paolo Stoppa, insieme a futuri protagonisti del cinema di genere nostrano come Maurizio Merli, Giuliano Gemma, Ottavia Piccolo e Mario Girotti, noto soprattutto con il suo nome d’arte Terence Hill.

Doverosa poi una menzione per la già menzionata Claudia Cardinale, che insieme ad Alain Delon forma una coppia dalla palpabile alchimia sul grande schermo ed è protagonista di uno dei più memorabili ingressi in scena del cinema italiano, superato solo dalla straordinaria sequenza del suo arrivo alla stazione in C’era una volta il West di Sergio Leone.

Il Gattopardo: il valzer della vita

«Sono un esponente della vecchia classe, fatalmente compromesso con il passato regime, e a questo legato da vincoli di decenza, se non di affetto. La mia è un’infelice generazione, a cavallo tra due mondi e a disagio in tutti e due. E per di più, io sono completamente senza illusioni. Che se ne farebbe il Senato di me, di un inesperto legislatore cui manca la capacità di ingannare se stesso, essenziale requisito per chi voglia guidare gli altri? No Chevalley, in politica non porgerei un dito, me lo morderebbero», afferma con disillusa onestà il Principe di Salina, rifiutando un incarico politico che avrebbe potuto garantire la sopravvivenza della sua posizione sociale, ma che sarebbe stato irrimediabilmente in contrasto con la sua storia personale e politica.

Dopo averci deliziato con formidabili scene di battaglia e con momenti crepuscolari che non avrebbero sfigurato in un romanzo di Marcel Proust, Luchino Visconti incrocia le strade dei suoi protagonisti in un lungo e tormentato atto finale, tutto incentrato su un principesco ballo, simbolo per eccellenza dell’esclusività dell’aristocrazia. E a decretare l’uscita di scena di Don Fabrizio Corbera dal mondo che per decenni ha abitato non può che essere un valzer, la stessa danza che appena 5 anni più tardi Stanley Kubrick sceglierà per una scena cardine del suo 2001: Odissea nello spazio, in uno dei tanti richiamo ottocenteschi del suo capolavoro fantascientifico.

Il finale de Il Gattopardo

Mentre l’alta borghesia si imbelletta per celebrare se stessa, avvolta nelle fastose scenografie di Mario Garbuglia, il Principe di Salina è circondato da un’atmosfera funerea, accompagnata da un affanno fisico che accentua la sensazione di un’imminente fine. C’è tempo solo per un ultimo sprazzo di vita, rappresentato da un ballo appassionato con un’Angelica mai così radiosa e sensuale, nonché sinceramente attratta dal fascino di un uomo d’altri tempi.

Con i nuovi nobili che si accingono a cercare e trovare nuove vie per mantenere il proprio privilegio, anticipando un secolo di immobilismo, rassegnazione e rivoluzioni mancate, Don Fabrizio Corbera abbandona dignitosamente il suo habitat, concedendosi un elegante inchino al passaggio di un viatico (ennesimo presagio di morte) e addentrandosi infine in un vicolo buio, plastica rappresentazione della fine di un’epoca e del disfacimento della classe che l’ha governata.

Il Gattopardo: il sublime fallimento di Goffredo Lombardo

Il Gattopardo

L’epilogo rassegnato e amaro di una delle vette del cinema italiano, che in seguito raramente è stato capace di rivaleggiare con tale destrezza con le produzioni statunitensi in termini di eleganza formale e di magia profusa sul grande schermo. Il sublime fallimento commerciale del produttore Goffredo Lombardo che, proprio come l’aristocrazia raccontata ne Il Gattopardo, ha saputo resistere alle intemperie del tempo e mantenere immutata la propria forza.

Il Gattopardo

«Noi fummo i gattopardi, i leoni. Chi ci sostituirà saranno gli sciacalli, le iene. E tutti quanti, gattopardi, leoni, sciacalli e pecore, continueremo a crederci il sale della terra».
Don Fabrizio Corbera, principe di Salina

Il filo nascosto nasce con l’intento di ripercorrere la storia del cinema nel modo più libero e semplice possibile. Ogni settimana un film diverso di qualsiasi genere, epoca e nazionalità, collegato al precedente da un dettaglio. Tematiche, anno di distribuzione, regista, protagonista, ambientazione: l’unico limite è la fantasia, il faro che ci guida è l’amore per il cinema. I film si parlano, noi ascoltiamo i loro dialoghi.

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Marco Paiano

Tutto quello che ho imparato nella vita l'ho imparato da Star Wars, Monkey Island e Il grande Lebowski. Lo metto in pratica su Tech Princess.

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