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Class action contro Fortnite: “Crea dipendenza come la cocaina” (dicono tre genitori canadesi)

Un’azione clamorosa. E forse eccessiva

Chi si ricorda del processo Epic Games-Apple? Noi, che ne abbiamo scritto in diversi articoli. Nell’ultimo dei quali, circa un mese fa, vi segnalavamo che dopo due anni la causa è giunta alla Corte d’Appello.

Ma nelle scorse ore Epic è stata chiamata in causa per un altro motivo. O meglio, a essere finito nell’occhio del ciclone è il suo gioco più famoso, Fortnite. Una class action avviata da tre genitori canadesi, infatti, muove al videogioco multipiattaforma accuse pesantissime. Fortnite, in sintesi, provocherebbe dipendenza come la cocaina.

Resistendo alla battuta su come facciano i genitori a conoscere esattamente quale sia la qualità della dipendenza da cocaina, per istituire un così stringente parallelismo, veniamo ai fatti.

Fortnite

La class action contro Fortnite

Sono tre genitori canadesi, dunque, ad aver avviato una class action contro Fortnite.

E il giudice della Corte Suprema del Québec in Canada che ha ritenuto ammissibile l’azione legale collettiva si chiama Sylvain Lussier.

L’azione è stata avviata lo scorso luglio, ma solo adesso il giudice l’ha valutata come fondata. Aggiungendo che “c’è una questione seria da discutere, supportata da accuse sufficienti e specifiche sull’esistenza di rischi o addirittura pericoli derivanti dall’uso di Fortnite”.

Secondo i tre genitori, il videogioco sarebbe stato pensato in modo da attirare a sé i ragazzi come il miele. Anzi, di più: per “creare un’elevata dipendenza”.

Pare sia del giudice l’affermazione secondo cui simile dipendenza sarebbe appunto paragonabile a quella provocata dall’assunzione di cocaina. Anche se la paternità del parallelismo è da attribuire a uno specialista comportamentale britannico, che ha seguito il caso di una bambina di nove anni finita in psicoterapia nel 2018 per sovraesposizione al gioco.

Bambini-zombie a causa di Fortnite?

La class action contro Fortnite dovrebbe dimostrare come gli sviluppatori abbiano ideato il gioco allo scopo di irretire i ragazzi.

Che, secondo i tre genitori promotori dell’azione legale collettiva, avevano praticamente smesso di avere una vita reale, del tutto assorbiti com’erano dal videogame.

Si parla, anche se non è chiaro se ci si riferisca ai figli dei promotori della class action, di un ragazzino che avrebbe trascorso circa 7.700 ore in meno di due anni davanti al gioco (stiamo parlando di una decina di ore al giorno in media). O di un altro di dieci anni che per giocare ha speso quasi 600 dollari. E poi si citano le conseguenze dannose di questo rapporto morboso col game: giovanissimi insonni, che non hanno più voglia di mangiare o di curare il proprio aspetto fisico. E che diventano aggressivi e volgari.

La difesa di Epic Games

I portavoce di Epic Games si sono informalmente difesi in un’intervista rilasciata alla Bbc.

In cui spiegano che i genitori hanno a disposizione tutti gli strumenti per pianificare e controllare il tempo di gioco dei propri figli.

L’azienda fornisce infatti “controlli parentali leader del settore che consentono ai genitori di supervisionare l’esperienza digitale dei propri figli”. Inoltre “i genitori possono ricevere rapporti sul tempo di gioco che tengono traccia della quantità di tempo in cui il loro bambino gioca ogni settimana, ed è necessario il permesso dei genitori per effettuare degli acquisti”.

L’intenzione di Epic è quella di “combattere in tribunale. Crediamo che le prove dimostreranno che questo caso è privo di fondamento”.

Il successo di Fortnite

Ricordiamo, brevemente, che Fortnite è stato lanciato sul mercato nel 2017.

È una cosiddetta Battle Royale, un tutti contro tutti in cui si affrontano 100 giocatori collegati da ogni angolo del pianeta. Vince chi rimane per ultimo dopo aver sconfitto tutti gli altri, è vero. Ma non si tratta di un videogioco violento e truce. Anzi, spesso viene giocato dai genitori assieme ai propri figli.

Attualmente Fortnite conta qualcosa come più di 350 milioni di giocatori, di cui 80 milioni attivi ogni mese.

Grazie soprattutto a Fortnite, nel corso del 2021 Epic Games Store ha registrato acquisti per 840 milioni di dollari.

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Class action VS ruolo dei genitori

Stavolta non resisteremo a dare una nostra opinione. Ci sono class action e class action. Quella contro Fornite, in effetti, sembra nascere da un’enorme rimozione delle proprie responsabilità di genitori.

È come se un padre e una madre reclamassero contro un’azienda che produce merendine particolarmente appetibili, perché il figlio o la figlia, che per mesi ne ha mangiate cinque al giorno, è ingrassato o ingrassata di dieci chili.

Ma i genitori avrebbero avuto la possibilità di non comprare quelle merendine. O di comprarle e somministrarle al figlio o alla figlia in quantità congrue.

È una speranza eccessivamente ingenua quella per cui gli sviluppatori di videogame dovrebbero mettere sul mercato videogiochi sì belli, ma… non troppo, per evitare che i bambini trascorrano giorni e notti attaccati allo schermo.

C’è una soluzione alternativa: fare i genitori. Portare i figli al parco, al museo, al cinema, leggere loro libri, raccontare loro storie. Insegnare loro il senso del limite.

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Claudio Bagnasco

Claudio Bagnasco è nato a Genova nel 1975 e dal 2013 vive a Tortolì. Ha scritto e pubblicato diversi libri, è co-fondatore e co-curatore del blog letterario Squadernauti. Prepara e corre maratone con grande passione e incrollabile lentezza. Ha raccolto parte delle sue scritture nel sito personale claudiobagnasco.com

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