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Dark pattern: cosa sono (e perché non piacciono a Ue e Usa)

Parlamento europeo e procuratori generali americani vogliono vietarli

Qualche anno fa, all’epoca dei videofonini o al massimo dei primi prototipi degli smartphone, molti di noi utenti avevano un problema. Quello, cioè, di ritrovarsi addebiti incongrui. Il motivo? La navigazione spesso spregiudicata, magari su siti non troppo istituzionali, rischiava di far fare uno o più clic non voluti. Attivando così dei terribili abbonamenti che svuotavano il conto in men che non si dica.

Tale pratica è stata pressoché abbandonata, ma evidentemente ne è rimasta la memoria. E ora la si sta riadoperando in maniera più subdola e raffinata, estorcendo comunque il consenso agli utenti senza che questi lo abbiano espresso in piena coscienza.

Sembra un discorso ingarbugliato ma, come scoprirete subito, è assai semplice da spiegare. Si tratta del fenomeno dei dark pattern, contro cui si sono schierati sia il Parlamento europeo che i procuratori generali di diversi stati degli Usa.

Partiamo anzitutto dallo spiegare cosa sono i dark pattern, il cui nome è già… promettente.

Cosa sono i dark pattern

Il nome, dicevamo, è tutto un programma. E ai lettori più smaliziati in questioni tech avrà subito riportato alla mente il dark web, quel luogo virtuale in cui la maggior parte delle azioni che si compiono è illegale.

Va bene, ma cosa sono i dark pattern? Diciamo, in una definizione approssimativa, che si tratta dell’insieme di trucchi ed espedienti grafici e testuali che un sito adotta per piegare il nostro consenso. E quindi indurci a rinnovare un abbonamento che avremmo voluto far scadere, acquistare ciò che non ci interessa, accettare nostro malgrado il trattamento dei dati personali, eccetera.

Tutto chiaro? Solo a metà, immaginiamo. Perché vi starete chiedendo com’è che funzionano, i dark pattern. Domanda legittima. Ve lo spiegheremo, chiarendo definitivamente cosa mai siano i dark pattern.

dark pattern

Come agiscono i dark pattern

Ma in che modo agiscono, queste tecniche quanto meno sleali?

In più di un modo. Ad esempio attraverso layout e interfacce equivoche. Oppure posizionando in modo inopinato i pulsanti. O ancora, agendo a livello testuale: formulando magari domande ambigue o differenziando le misure dei font a seconda che venga richiesta o meno una risposta affermativa da parte nostra.

Andiamo nel concreto: quante volte abbiamo visto apparire un popup pubblicitario ma la X per chiuderlo è minuscola e posizionata in un punto difficile da scovare?

Oppure, prima della recentissima normativa sui cookie, chi di voi lettori ha fatto caso a come il pulsante Accetta tutto appariva scritto in una tonalità più sgargiante?

O, ancora, chi non si è mai ritrovato, alla fine della lunga e laboriosa trafila per acquistare un prodotto o un servizio online, con qualcosa di non richiesto nel carrello, magri una tassa o un prodotto/servizio aggiuntivo?

O gli inganni testuali, dove la richiesta di rimanere abbonati, quando si desidera disdire, viene riformulata con sintassi differente per un’infinità di volte? E magari a una domanda occorre rispondere con il sì a alla successiva con il no. Gli esempi da portare potrebbero essere innumerevoli.

Oggi contro i dark pattern si stanno muovendo sia l’Unione europea che gli Stati Uniti. Vediamo come.

L’Ue contro i dark pattern

Il Parlamento europeo ha da poco approvato il Digital Service Act, riforma del comparto digitale che mira a frenare lo strapotere delle big tech.

La bozza del disegno di legge approvata giovedì 20 gennaio è articolata. Contiene norme sulla rimozione dei contenuti dannosi e sulla pubblicità targettizzata. E anche, appunto, sui dark pattern.

Il regolamento approvato introduce il divieto di utilizzare queste tecniche. Per fare solo un esempio, l’iter per dare o ritirare il consenso dovrà essere semplice e lineare. Quindi pochi clic, con domande chiare e coerenti. Non dovremmo più vedere, ad esempio, la domanda “Sei sicuro di volerti disiscrivere?” (a cui occorre rispondere “Sì” se si vuole disdire un’iscrizione), a cui fa seguito la domanda: “Quindi non vuoi restare nostro abbonato a un prezzo vantaggioso?” Domanda che, per coerenza, richiederebbe un “No”, ma che se letta di fretta o distrattamente può indurre in errore.

Stop anche a pulsanti di colori e dimensioni diverse, X abnormi o introvabili e altre astuzie simili.

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Gli Usa contro i dark pattern

I dark pattern sono anche nel mirino dei procuratori generali di diversi stati degli Usa.

In questo caso l’accusa specifica è rivolta contro Google, rea di adoperare i dark pattern per localizzare i suoi utenti.

Ecco quindi che i procuratori generali dello Stato di Washington, dell’Indiana, della Columbia e del Texas hanno accusato Google di una pratica illegittima. La società di Mountain View  avrebbe promesso agli utenti che per proteggere i dati personali sarebbe bastato agire sulle impostazioni dell’account. Invece, i dati di localizzazione sono conservati dall’azienda.

Google avrebbe inoltre progettato le impostazioni in modo da spingere a fornire “inavvertitamente o per frustrazione” molti dati sulla propria posizione. E avrebbe dato “descrizioni fuorvianti, ambigue e incomplete” sulle impostazioni stesse.

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Claudio Bagnasco

Claudio Bagnasco è nato a Genova nel 1975 e dal 2013 vive a Tortolì. Ha scritto e pubblicato diversi libri, è co-fondatore e co-curatore del blog letterario Squadernauti. Prepara e corre maratone con grande passione e incrollabile lentezza. Ha raccolto parte delle sue scritture nel sito personale claudiobagnasco.com

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