“Algoritmo” è parola, come “swing” o “transustanziazione”, che viene pronunciata con un certo sospetto, perché nessuno è mai sicuro di conoscerne il significato.
Di certo, da qualche anno a questa parte tutti sappiamo che gli algoritmi, come recita il sottotitolo del volume di cui vi parleremo, sono “le formule che regolano il nostro tempo”.
Ma nell’immaginario comune gli algoritmi sono qualcosa di sovrumano e ingovernabile, verso i quali non possiamo che avere un atteggiamento passivo. Ogni giorno incrociamo le dita, insomma, sperando che l’algoritmo di turno non se la prenda troppo con noi.
Nel suo Dentro l’algoritmo, uscito nel novembre del 2022 per effequ, Donata Columbro si propone proprio di smitizzare il suddetto algoritmo. Dandone una definizione, mostrandone i limiti e spiegandoci, infine, come avere con esso un rapporto meno subordinato.
Cos’è un algoritmo
In Dentro l’algoritmo scopriamo che la definizione di algoritmo è assai semplice: si tratta di una serie di operazioni che, attraverso determinate regole, conduce a un preciso risultato.
Le cose si complicano un po’ quando entra in gioco l’intelligenza artificiale, o meglio il machine learning, dove gli algoritmi – semplifichiamo – imparano da soli.
Noi forniamo al computer le informazioni di cui ha bisogno, l’obiettivo che deve raggiungere, le istruzioni per farlo “e anche dei feedback per indicare che sta procedendo sulla strada giusta” (p. 27). Ma poi il computer deciderà in autonomia il percorso più agevole per raggiungere l’obiettivo che abbiamo prefissato per lui.
L’algoritmo discrimina?
Il concetto cardine di Dentro l’algoritmo è che, lo ripetiamo, le informazioni, gli obiettivi e le istruzioni li inseriamo noi.
Quindi, se un algoritmo ci appare come razzista, classista o sessista non è tale perché cattivo o perverso. Ma perché la nostra cultura è (spesso anche inconsciamente) razzista, classista e sessista. Perciò, in modo più o meno deliberato, i dati inseriti nelle macchine produrranno risultati che confermeranno o addirittura rafforzeranno queste storture della nostra società.
Gli esempi individuati da Donata Columbro sono svariati. Sappiamo tutti che gli algoritmi scelgono cosa mostrarci, ci inducono a fare determinate scelte e acquisti.
Più sottile, e meno noto, è il fatto (prendiamo un solo esempio tra i tanti) che gli algoritmi per il riconoscimento facciale apprendono da database composti in prevalenza da maschi caucasici. Questo può portare al fatto che una donna con la pelle scura possa non essere riconosciuta come persona.
Oppure, se il riconoscimento è usato nei sistemi di sorveglianza, una persona può essere scambiata per un’altra (con tutto ciò che potrebbe conseguirne).
L’algoritmo siamo noi
In Dentro l’algoritmo Donata Columbro, dopo averci spiegato che siamo noi a dare le istruzioni alle macchine, propone di adottare un atteggiamento meno acritico e supino.
Non si può, insomma, subire l’algoritmo, come se esso si autogenerasse per piegarci alla sua volontà. L’algoritmo lo creiamo noi, o meglio l’algoritmo siamo noi.
“Serve l’occhio umano per interrompere il circolo vizioso algoritmico di errori e censura” (p. 121). Così come ci inalberiamo quando un nostro post innocente viene censurato, allo stesso modo abbiamo il dovere di segnalare contenuti che incitano all’odio. Eccetera eccetera. L’algoritmo va educato, così come va educata la partecipazione alla rete, ai social, a quella che viene chiamata la democrazia digitale.
Un atteggiamento meno servile e più consapevole, insomma, non solo è possibile, ma semmai è doveroso. Così come lo è rispettare l’ambiente in cui viviamo la vita “vera”, quella tridimensionale.
Algoritmo e partecipazione
Una partecipazione critica alla nostra vita su Internet potrebbe fungere anche da argine (un argine più robusto di quanto non si possa sospettare) allo strapotere delle Big Tech, o di certi personaggi che confondono la rete con il proprio parco giochi.
Le multe e le proposte provenienti dagli organismi di controllo o dai vari Paesi, o ancor peggio certi tentativi di autoregolamentazione delle grandi aziende del comparto tecnologico, sembrano misure vane o solo di facciata? E allora perché non provare a fare qualcosa noi?
Avallare e diffondere certi contenuti, criticarne o bloccarne altri, modifica l’algoritmo, certo. Ma rende anche la nostra permanenza sui social più avvincente e utile, a noi e agli altri.
Fare politica è un tentativo di cambiare la realtà, gusto? E allora, si chiede Donata Columbro in Dentro l’algoritmo (pur senza mai esplicitarlo), perché non provarci anche online, dove ormai molti di noi trascorrono buona parte del proprio tempo?
Ultimo aggiornamento 2024-10-06 / Link di affiliazione / Immagini da Amazon Product Advertising API
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