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Le Big Tech a supporto delle dipendenti per il diritto all’aborto

Le posizioni di Meta, Apple, Microsoft, Google e altri colossi del settore

Proprio ieri la Corte Suprema di Washington ha eliminato il diritto costituzionale all’aborto negli Stati Uniti, ribaltando la sentenza Roe v. Wade del 1973. La decisione lascia così agli Stati il potere di stabilire le proprie leggi sull’aborto, compresi i divieti diretti a tutti gli aborti chirurgici e farmacologici. Secondo l’analisi del Guttmacher Institute, dovrebbero essere ben 26 gli Stati che dovrebbero limitare severamente – o vietare completamente – l’aborto. Un divieto che in Louisiana, Missouri, Kentucky e South Dakota è entrato in vigore con effetto immediato.

Questa decisione, come potete immaginare, ha scatenato le reazioni più disparate in tutto il mondo. Nel settore hi-tech, ad esempio, moltissime compagnie hanno voluto esprimere la propria opinione al riguardo. Impegnandosi, in alcuni casi, a coprire le spese di viaggio per le dipendenti che non potranno accedere all’aborto nel Paese di residenza. Ma andiamo a scoprire quali sono le iniziative che le Big Tech vogliono mettere in atto per garantire questo diritto alle donne statunitensi.

Diritto all’aborto: le reazioni delle Big Tech alla sentenza della Corte Suprema

Apple

Sosteniamo i diritti dei nostri dipendenti di prendere le proprie decisioni in merito alla loro salute riproduttiva. Per oltre un decennio, i vantaggi completi di Apple hanno consentito ai nostri dipendenti di viaggiare fuori dallo stato per cure mediche se non sono disponibili nel loro stato di origine“. Così un portavoce di Apple annuncia il supporto economico della compagnia a tutte le donne che hanno necessità di spostarsi per poter accedere all’aborto. Un vantaggio di cui potranno usufruire tutte le dipendenti assunte da almeno 10 anni.

Meta

A rispondere alla negazione del diritto all’aborto da parte di Meta è Sheryl Sandberg, COO della compagnia, che ha condiviso un lungo post sul suo profilo Facebook. “Sono cresciuta ascoltando le storie di mia madre su ciò che le donne hanno vissuto nel nostro Paese prima di Roe. Mia madre aveva un’amica che ha lasciato il paese per abortire in sicurezza. Ma la maggior parte delle donne non poteva permettersi di farlo; alcune hanno avuto aborti clandestini, che hanno portato troppo spesso a gravi complicazioni di salute e talvolta persino alla morte. In fondo, tutte le donne sapevano che avrebbero potuto affrontare scelte impossibili tra controllare il proprio futuro e la propria salute e infrangere la legge“.

Non avrei mai pensato che il passato di mia madre sarebbe diventato il futuro delle mie figlie. Non riesco a credere che manderò le mie tre figlie al college con meno diritti di quelli che avevo io – prosegue la Sandberg -. La sentenza della Corte Suprema mette a rischio la salute e la vita di milioni di ragazze e donne in tutto il Paese. […] Renderà più difficile per le donne realizzare i propri sogni. E avrà un impatto sproporzionato sulle donne con meno risorse. Questa è una grande battuta d’arresto. Per noi stessi, le nostre figlie e ogni generazione che segue, dobbiamo continuare a combattere. Insieme, dobbiamo proteggere ed espandere l’accesso all’aborto“. In virtù di questo, Meta “nella misura consentita dalla legge pagherà le spese di viaggio per le dipendenti che avranno bisogno di accedere all’assistenza sanitaria e ai servizi riproduttivi in un altro Stato“.

Microsoft

Questo è un giorno triste. Invertire Roe v. Wade è una battuta d’arresto ingiusta e inaccettabile. E mette a rischio la vita delle donne, soprattutto le più svantaggiate“. Così Bill Gates, co-founder di Microsoft, ha commentato la sentenza della Corte Suprema di Washington, anticipando le dichiarazioni del colosso tecnologico. Dopo Apple e Meta, infatti, anche Microsoft ha dichiarato che “continuerà a fare tutto il possibile secondo la legge per supportare i dipendenti e le persone a loro carico nell’accesso all’assistenza sanitaria critica – che include già servizi come l’aborto e l’assistenza di affermazione del genere – indipendentemente da dove vivono negli Stati Uniti“. a è limitata nello Stato di residenza del dipendente.

Google

Quanto alla scelta di reprimere il diritto all’aborto, le Big Tech sembrano avere le idee abbastanza chiara. Il chief people officer di Google Fiona Cicconi, ad esempio, ha inviato un’e-mail a tutti i dipendenti per informarli della posizione della compagnia riguardo la sentenza. “L’equità è straordinariamente importante per noi come azienda e condividiamo le preoccupazioni sull’impatto che questa sentenza avrà sulla salute, sulla vita e sulla carriera delle persone – si legge nell’email della Cicconi -. Continueremo a lavorare per rendere accessibili le informazioni sull’assistenza sanitaria riproduttiva attraverso i nostri prodotti e continueremo il nostro lavoro per proteggere la privacy degli utenti“.

Per supportare i googler e le persone a loro carico, il nostro piano di benefici e l’assicurazione sanitaria statunitensi coprono fuori dallo Stato le procedure mediche che non sono disponibili dove vive e lavora un dipendente. I Googler possono anche richiedere il trasferimento senza giustificazione e coloro che sovrintendono a questo processo saranno a conoscenza della situazione“. Insomma, se le dipendenti avessero bisogno di spostarsi per accedere all’aborto, Google si occuperà delle spese di trasferimento, così da garantire loro l’accesso ad un diritto fondamentale per il mondo femminile.

Yelp

Jeremy Stoppelman, CEO e co-founder di Yelp, ha dichiarato che la sentenza della Corte Suprema “mette a rischio la salute delle donne, nega loro i diritti umani e minaccia di smantellare i progressi che abbiamo fatto verso l’uguaglianza di genere sul posto di lavoro dai tempi di Roe“. In virtù di questo, la compagnia ha scelto di schierarsi a supporto dei suoi dipendenti. Già ad Aprile, infatti, Yelp ha ampliato la sua copertura assicurativa sanitaria – che già includeva l’assistenza all’aborto – per fornire vantaggi di viaggio ai dipendenti statunitensi e alle persone a loro carico che potrebbero aver bisogno di assistenza fuori dallo Stato in cui risiedono.

Uber

Subito dopo la sentenza sull’annullamento del diritto istituzionale all’aborto, Uber ha fatto sapere ai dipendenti che garantisce loro “una serie di benefici per la salute riproduttiva, tra cui l’interruzione della gravidanza e le spese di viaggio per accedere all’assistenza sanitaria“. Ma non è solo il supporto ai dipendenti che la compagnia promette di garantire. La stessa Uber ha infatti dichiarato: “Continueremo anche a sostenere i conducenti, rimborsando le spese legali se un conducente viene citato in giudizio ai sensi della legge statale per aver fornito il trasporto sulla nostra piattaforma a una clinica“.

La società ha messo in atto questa politica l’anno scorso dopo che il Texas ha approvato il Senate Bill 8, una legge che vieta gli aborti dopo circa sei settimane di gravidanza. E consente alle persone di citare in giudizio tutti coloro che aiutano le donne nell’accesso all’aborto, compresi i medici e le persone che guidano per accompagnarle in clinica. Insomma, dopo Meta, Microsoft, Google e altri colossi, anche Uber sceglie di schierarsi dal lato delle donne.

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