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La recensione di Famicom Detective Club: due remake storici

Il pacchetto comprende sia The Missing Heir che The Girl Who Stands Behind, due pietre miliari delle visual novel

Abbiamo provato in anteprima Famicom Detective Club: The Missing Heir e The Girl Who Stands Behind ed è giunto il momento di dirvi la nostra su questi due remake in arrivo su Nintendo Switch. Vestiamo quindi i panni dello smemorato detective protagonista di quest’avventura e addentriamoci nella nostra recensione di entrambi i capitoli di Famicom Detective Club: due visual novel decisamente poco conosciute qui in occidente.

Le origini del franchise

Partiamo dalle basi: cos’è Famicom Detective Club? Ebbene si tratta di una miniserie di visual novel uscite tra il 1988 e il 1989 soltanto in Giappone su console NES (Famicon Disk in giapponese, da qui il titolo dei giochi).

Il primo gioco in ordine cronologico è The Missing Heir mentre il secondo è The Girl Who Stands Behind, nonostante quest’ultimo si configuri come un prequel a tutti gli effetti.

Entrambi i titoli nascono dalla mente di un creativo che molti conosceranno già: stiamo parlando Yoshio Sakamoto, il papà della saga di Metroid. L’obbiettivo di Sakamoto con queste due visual novel peraltro ha un sapore tutto italiano.

L’autore infatti ha più volte dichiarato di essersi ispirato al cinema d’autore nostrano per la trama, in particolare a registi come Dario Argento e il suo Profondo Rosso. The Missing Heir fu il primo videogioco interamente sceneggiato e scritto da Sakamoto.

Famicom Detective Club Recensione

Entrambi i titoli furono un successo in Giappone, anche se non uscirono mai da confini della loro terra natia, dato che allora li si era considerati poco adatti per l’audience occidentale.

La versione in arrivo su Nintendo Switch il 14 maggio è invece una collection contente i remake realizzati dalla software house Mages (produttrice di Visual Novel del calibro di Steins;Gate) contente entrambi i capitoli della serie, inspiegabilmente non acquistabili singolarmente.

Questa, come dicevamo prima, è la prima volta che questi due prodotti escono dal territorio giapponese per raggiungere il mercato occidentale anche se con una nota dolente. In entrambi i videogiochi infatti manca la localizzazione italiana, una scelta che troviamo poco condivisibile, soprattutto in virtù del fatto che si tratta di due opere fortemente incentrate sulla componente testuale, un po’ come se fossero dei film interattivi.

Famicom Detective Club: la nostra recensione

Fatto il punto sulle nobili origini dei due giochi possiamo iniziare a parlare dei loro remake per Nintendo Switch.

Come abbiamo accennato in apertura, The Missing Heir è il primo capitolo in ordine cronologico di questa miniserie mentre The Girl Who Stands Behind ne è il prequel. Vi consigliamo di giocare i due titoli nell’ordine di uscita, dato che hanno dei ritmi molto diversi tra di loro.

Il primo è più lento e si prende i suoi tempi per entrare nel vivo dell’intreccio narrativo, il secondo invece è caratterizzato da un racconto molto più serrato e, per certi versi, anche più coinvolgente.

La storia di The Missing Heir inizia da una scogliera dove verremo trovati completamente privi di memoria da un uomo a noi apparentemente sconosciuto e da lì in poi dovremo ricostruire la nostra storia pezzo per pezzo.

Scopriremo di essere degli aiutanti detective presso un’agenzia investigativa, che stavamo indagando sulla morte della matriarca di una famiglia molto influente in Giappone e… Il resto ve lo lasceremo scoprire da soli, anche perché è la trama ad essere il punto focale di entrambe queste visual novel e rivelarne alcune parti vi rovinerebbe senza dubbio l’esperienza di gioco.

In ogni modo, le vicende che ci troveremo a vivere in entrambi i titoli offrono soluzioni piuttosto ricercate e non mancheranno di sorprendervi nei punti nodali della storia, questo ovviamente tenendo sempre bene a mente che stiamo vivendo un prodotto nato alla fine degli anni ottanti, con tutti i pregi e i limiti che questo comporta. Prima di passare al lato tecnico, infatti, c’è da dire che alcuni espedienti narrativi oggi potrebbe risultare piuttosto inflazionati, d’altronde si tratta pur sempre di una storia scritta trent’anni fa.

Dai pixel agli anime

Detto questo, come si configura tecnicamente questo remake? Il lavoro di modernizzazione imbastito dai ragazzi di Mages è effettivamente impressionante.

I giochi originali di fine anni ’80 si presentavano con un impianto grafico ridotto all’osso, con un character design appena abbozzato. Il fulcro dell’offerta ludica di Detective Club erano i testi, che trasportavano, in entrambi i casi, davanti ad un misterioso caso che proponeva un interessante mix tra il giallo e l’horror più classico.

L’impianto grafico del remake, come era già piuttosto chiaro dai trailer, è stato rifatto da zero con un’estetica in pieno stile anime e ricca di dettagli utili a caratterizzare ogni singolo personaggio che incontreremo durante le nostre indagini. Sebbene semplice e a tratti forse un po’ anonima la cifra stilistica funziona, soprattutto in The Missing Heir, dove si riescono a respirare le atmosfere tipiche del Giappone rurale che abbiamo visto a più riprese in altri prodotti nel corso degli anni

Ma la software house si è spinta oltre, proponendo un doppiaggio in giapponese completo di entrambe le opere, che unito alla colonna sonora, anch’essa composta ad-hoc per i remake, non fa che aumentare l’immersività alle nostre attività investigative.

Tra un’indagine e l’altra

Un po’ meno riuscito il vero e proprio gameplay delle due opere, l’unico elemento che tradisce a tutti gli effetti la loro anzianità. Per avanzare nella trama, infatti, dovremo sottoporci ad una sessione investigativa dopo l’altra, in cui dovremo analizzare i riquadri di gioco in cui ci troviamo e parlare con i vari NPC per venire a capo delle situazioni che ci si pongono dinnanzi fino alla risoluzione finale del mistero.

Al netto di un’interfaccia ben strutturata ed intuitiva, questi momenti di gameplay oscillano tra soluzioni ovvie e totalmente controintuitive, e più spesso di quanto non avremmo voluto ci siamo trovati a vagare sperduti tra i menù di gioco, cercando di capire perché non ci fosse permesso di avanzare nonostante l’apparente risoluzione di una data parte di trama.

Famicom Detective Club Recensione

Non aiuto il fatto che, nella versione da noi provata, il gioco avesse una tendenza fastidiosa ad inchiodarsi in determinate schermate anche dopo aver soddisfatto tutti i requisiti richiesti, cosa che ci ha costretti a riavviare l’intero software, almeno in un paio di occasioni.

Inutile dire che in un gioco che si basa sulle interazioni testuali un bug del genere risulta particolarmente invalidante, ma non è nulla che non si possa risolvere con patch a gioco uscito.

Famicom Detective Club: la recensione in breve

I due remake che compongono questo piccolo pacchetto di Famicom Detective Club risultano essere due prodotti di qualità tecnica encomiabile, dato che si tratta a tutti gli effetti di due visual novel ricostruite con amore sin dalle loro fondamenta.

Nonostante un impianto ludico figli dei suoi tempi, questi due titoli sono a tutti gli effetti una parte importante della storia delle visual novel e un acquisto imprescindibile per tutti gli amanti degli anime e delle storie investigative.

Senza contare che questa potrebbe essere una mossa da parte di Nintendo per sondare le acque in vista di futuri remake. Le grandi serie del passato che la casa di Kyoto potrebbe riportare in auge come ha fatto con Famiconm Detective Club sono parecchie e molto amate.

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Francesco Castiglioni

Incallito videogiocatore, appassionato soprattutto di Souls e Monster Hunter, nonché divoratore di anime e manga. Scrivere di videogiochi è la mia vocazione e la porto avanti sia qui su Tech Princess che sul mio canale YouTube.

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