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Com’è Halftime: il documentario Netflix su Jennifer Lopez

Jenny from the blockbuster

La vita di Jennifer Lopez tra il 2019 e il 2020 è stata un vero saliscendi di emozioni. Appena compiuti 50 anni l’artista si ritrova alle prese con un film, Le ragazze di Wall Street, che potrebbe valerle quella candidatura agli Oscar che non ha mai ottenuto. Non solo: J.Lo viene scelta, insieme a Shakira, per il prestigioso show durante l’intervallo del SuperBowl 2020. Uno slot importante, che in soli 7 minuti di esibizione condensa mesi di duro lavoro. Halftime, il nuovo documentario Netflix, ci porta nella vita privata e artistica di Jennifer Lopez durante quell’intenso periodo di vita: ecco come ci è sembrato e la nostra recensione.

Mettiamola così: ci sono essenzialmente due modi di girare i documentari. C’è lo stile narrativo, quello che non ha paura di scavare nel passato dei protagonisti per mostrarne carattere e debolezze, e quello celebrativo. Conviene a tutti, ai fini di questa recensione, scoprire subito le carte in tavola: Halftime è una gigantorme celebrazione di J.Lo. Al punto che viene da chiedersi se il termine “documentario” sia quello giusto.

La regia di Amanda Micheli ci porta in una narrazione che si dirama attraverso tre binari paralleli. Se da un lato abbiamo un breve e sommario riassunto della carriera di J.Lo, dall’altro vediamo l’artista alle prese con due importanti impegni: la corsa agli Oscar e la dura preparazione in vista dell’Halftime del SuperBowl.

La recensione di Halftime: un documentario su Jennifer Lopez che non ha assolutamente nulla da dire

In sostanza la percezione è che il documentario non abbia assolutamente nulla da dire, se non inventarsi puntualmente ostacoli che spesso appaiono forzati e, in sostanza, inconsistenti. Con uno stile assolutamente autoindulgente, la pellicola ci mostra una Jennifer Lopez forte, una donna in carriera che è puntualmente vittima di varie entità che cercano di sminuirne il ruolo

In una contraddizione grande tanto quanto il palco del SuperBowl in questione, il documentario ci mostra l’artista prima come underdog, sottovalutata, mai presa sul serio, e l’attimo dopo come stella irraggiungibile. Una persona piena di insicurezze prima, e una donna dal carattere forte e deciso dopo. Una narrazione confusionaria che a tratti sconfina con lo sdoppiamento di personalità. Inoltre, in pieno stile celebrativo tipico delle produzioni “documentaristiche” americane, ci viene fatto notare che la protagonista ha dei saldi principi morali. Principi che non vacillano mai. Più facile trovare dei congiuntivi in un discorso di Luca Giurato che delle imperfezioni di Jennifer Lopez in Halftime.

Il mondo intero contro J.Lo

Nel riassumere la sua carriera si fa notare come i media si siano interessati a lei principalmente per le sue relazioni amorose. La carrellata di immagini non risparmia nemmeno South Park, che in modo irriverente ha preso in giro l’artista in un episodio. Ciò che il documentario lascia fuori però sono tutti gli elogi ricevuti in carriera, facendo passare Jennifer Lopez come artista globalmente martorizzata che, nonostante tutto e tutti, è arrivata al successo.

Nel secondo binario narrativo si mostra il suo lavoro sul set e alle premiazioni per Le Ragazze di Wall Street. Una lunga sfilza di cerimonie, abiti eleganti e recensioni entusiaste, che proiettano l’attrice/ballerina/cantante come candidata certa agli Oscar. Sembra quasi che la nomination le sia dovuta, espediente narrativo subdolo e decisamente contraddittorio rispetto quanto mostrato poco prima, ma necessario per trasmettere con forza l’onda di delusione e rammarico per la mancata candidatura. Anche qui si lasciano sottintendere una serie di presunti colpevoli: Hollywood non accetta un cast tutto al femminile, a maggior ragione se si considera che l’attrice ha origini latine. Insomma la narrazione celebrativa sembra dirci: è uno scandalo che Jennifer Lopez sia stata esclusa dalle nomination.

Il racconto della strada che porta SuperBowl è decisamente l’unico interessante, in quanto l’unico che non ha paura di mostrarci, seppur con qualche edulcorazione, una Jennifer Lopez sudata, struccata, in tuta ginnica e alle prese con il suo lavoro. Insomma: la realtà.

Lo sequenza finale: una grande occasione persa

È estremamente interessante vedere come si muove dall’interno l’intera macchina organizzativa del SuperBowl, tra estenuanti prove che durano mesi per realizzare un mastodontico show di soli 7 minuti. Anche qui però, purtroppo, la narrazione deve presentarci a tutti i costi un ostacolo: la NFL vuole boicottare lo spettacolo di Jennifer Lopez, che intende invece a tutti i costi portare in scena il suo messaggio sociale contro le politiche di Donald Trump. Non si capisce bene come, alla fine ci riesce, facendoci dubitare sulla legittimità di tale ostacolo.

Come se ciò non bastasse un frenetico e assolutamente disastroso e confusionario montaggio ci mostra solo parte dell’esibizione che abbiamo visto in preparazione per mesi. Non sappiamo se ciò sia dovuto a problemi di diritti di riproduzione. Fatto sta che il payoff, il momento clou dell’intero documentario diventa una sequenza confusa di immagini. L’unica parte interessante del film è quindi rovinata e abbozzata da 3 minuti di maestose coreografie che soffrono di un montaggio letteralmente causale.

Qui di seguito trovate invece il video completo dell’esibizione, come pubblicato sui canali ufficiali della NFL.

Tirando le somme della recensione di Halftime: Jennifer Lopez nuota in un mare di retorica

Per tutta la durata dello show vediamo l’artista dialogare con i suoi collaboratori. Ci sembra, in definitiva, di assistere a un enorme copione recitato, fatto di frasi motivazionali e di aforismi già sentiti. Di quelli che su Facebook ti avrebbero fatto prendere qualche like facile nel 2010. Insomma, più che Jenny from the block ci sembra di assistere a Jenny from the blockbuster. Strano poi che nel documentario non appaia mai il suo fidanzato dell’epoca, l’ex giocatore di baseball Alex Rodriguez. Durante il periodo in questione i due erano inseparabili, e costantemente presenti nei reciproci social. A-Rod, questo il suo soprannome sportivo, è stato chirurgicamente rimosso da tutte le riprese, il che ci fa dubitare ancor di più della genuinità dell’opera.

Avevamo grandi aspettative rispetto ad Halftime. I documentari di questo tipo possono regalare molto ai fan, mostrando la vera personalità degli artisti, le loro debolezze e la loro umanità. Un esempio su tutti?As You Were, lo spettacolare e sincero documentario che ci mostra la crisi personale di Liam Gallagher e le sue fragilità dopo lo scioglimento degli Oasis. Quest’operazione di Netflix appare più come una santificazione di Jennifer Lopez, come dimostrato dai titoli di coda: un elenco assolutamente non necessario di premi vinti e dischi venduti. Che Jennifer Lopez fosse spettacolare lo sapevamo già, era necessario ripetercelo per 95 minuti di fila?

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Autore

  • Marco Brunasso

    Scrivere è la mia passione, la musica è la mia vita e Liam Gallagher il mio Dio. Per il resto ho 30 anni e sono un musicista, cantante e autore. Qui scrivo principalmente di musica e videogame, ma mi affascina tutto ciò che ha a che fare con la creazione di mondi paralleli. 🌋From Pompei with love.🧡

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