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Che bello, una brutta notizia! Cos’è il doomscrolling

Il neologismo fotografa un’attitudine sempre più diffusa

Che bello, una brutta notizia!

No, il vostro redattore non ha bisogno di ferie. È un’attitudine umana, quella di fare un passo indietro e uno in avanti al cospetto di un pericolo. Oppure, semplicemente, vi ricordate cosa facevamo da bambini se la televisione ci mostrava contenuti poco adatti a noi, come ad esempio un film con scene di suspense? Chiedevamo ai genitori di cambiare canale? Oppure ci stringevamo a loro e, con gli occhi a fessura, avevamo comunque bisogno di vedere come sarebbe andata a finire?

Il fatto è che, dall’inizio della pandemia a oggi, il problema si è diffuso fino a essere diventato un disagio sociale. Lo dimostra, qui come in ogni occasione, il fatto che per questa attitudine è stato addirittura coniato un neologismo, doomscrolling. Ovvero la ricerca di cattive notizie. Anche se la definizione corretta è un po’ più articolata. Partiamo da lì, e poi indaghiamo il fenomeno. Che, ahinoi, con la sovraesposizione alle notizie provenienti dall’Ucraina ha preso ancor più il sopravvento.

doomscrolling

Cos’è il doomscrolling, la ricerca (compulsiva) di cattive notizie

Per conoscere con precisione la definizione di doomscrolling ci facciamo aiutare dalla massima autorità nazionale in materia, l’Accademia della Crusca.

Secondo cui il doomscrolling è “l’azione di scorrere compulsivamente le pagine di un sito, la bacheca di un social network e simili, alla ricerca di cattive notizie.”

È un prestito dall’inglese (da doom, che significa sventura, e scrolling, scorrimento), la cui prima attestazione è stata fatta risalire a un tweet in lingua inglese del 2018. Ma il vocabolo si è attestato con prepotenza nel 2020: non a caso, in corrispondenza del primo e più severo lockdown. Al punto che l’Oxford Dictionary l’ha scelto tra le parole simbolo proprio del 2020.

I neologismi e la pandemia

Da due anni a questa parte, ce ne siamo accorti tutti, la nostra vita è cambiata. La pandemia ha influito sulla socialità e sulla psicologia. Abbiamo imparato a comunicare, acquistare, visitare, lavorare, giocare e studiare in modo diverso.

E questo cambiamento è stato confermato da alcuni neologismi, o da parole magari preesistenti che però – nei mesi del lockdown – hanno rinverdito il loro significato.

Si pensi, per fare solo un esempio, al vamping, a cui abbiamo dedicato un articolo. Il vamping altro non è che la tendenza (specie di giovani e giovanissimi) a confondere il giorno con la notte. A restare cioè svegli nelle ore notturne, appiccicandosi ai device per giocare, chattare o quant’altro. In questo caso l’etimologia del termine, che ci porta dritti al conte Dracula, è fin troppo esplicita.

Il doomscrolling

E proprio durante il primo lockdown si è iniziato a parlare di doomscrolling, la ricerca di cattive notizie con piglio ossessivo. La guerra in Ucraina, che ci arriva attraverso una quantità di informazioni decisamente eccessiva (e di qualità diseguale), ha fatto purtroppo ritornare in auge il vocabolo.

Ma perché, vi starete domandando, bisognerebbe avere l’istinto di cercare brutte notizie?

Il doomscrolling: due problemi in uno

Il doomscrolling si installa, per così dire, su un altro bisogno, che è quello di avere sotto mano notizie sempre più aggiornate. Una sorta di dipendenza, dicono gli psicologi, tipica del disturbo ossessivo-compulsivo. E questo già darebbe da pensare: vittime di un simile bisogno e sommersi dalle notizie spesso manipolate ad arte, non ci prendiamo la briga di selezionare e verificare ciò che leggiamo o vediamo. E il circolo vizioso e bell’e completo.

Ma c’è di più. Lo specifico bisogno di avere a che fare con brutte notizie è spiegato da Nilufar Ahmed, che insegna scienze sociali all’Università di Bristol. Dice Ahmed: “Il nostro cervello è disegnato per scandagliare possibili minacce per garantire la nostra sicurezza. Leggere continuamente le notizie, dunque, è un modo per prepararci al peggio”. Il doomscrolling scaturirebbe, dunque, dalla necessità di rimanere sempre all’erta.

Altri studi hanno indagato la questione dal punto di vista chimico. E hanno mostrato, attraverso esperimenti condotti sui topi, come il dolore possa creare una sorta di dipendenza: scariche elettriche hanno provocato negli animali un cospicuo rilascio di dopamina.

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Doomscrolling e tecnologia

L’ultimo passaggio è quello tecnologico. L’ansia di conoscere sempre nuove notizie negative si mescola, sui social, alla naturale tendenza alla dipendenza da questi strumenti.

Diverse ricerche, ricordano i colleghi di Repubblica, hanno dimostrato che le aree del cervello attivate durante l’uso dello smartphone sono le stesse coinvolte nelle tossicodipendenze. In più, una ricerca di Nielsen per Audiweb segnala che, ne nostro Paese, tra il marzo del 2019 e il marzo del 2020 il tempo speso a leggere news sullo smartphone è cresciuto di ben il 180%.

Quindi si può ben dire che, nel caso delle brutte notizie ricercate tramite device, a dipendenza si somma dipendenza.

La soluzione per non farsi inghiottire dal meccanismo sarebbe semplice, se solo la si volesse adottare: passare meno tempo appiccicati agli smartphone a caccia di news. Leggere meno notizie lampo, approfondire di più.

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Claudio Bagnasco

Claudio Bagnasco è nato a Genova nel 1975 e dal 2013 vive a Tortolì. Ha scritto e pubblicato diversi libri, è co-fondatore e co-curatore del blog letterario Squadernauti. Prepara e corre maratone con grande passione e incrollabile lentezza. Ha raccolto parte delle sue scritture nel sito personale claudiobagnasco.com

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