In un momento storico in cui Spotify lascia le briciole agli artisti, e Meta fatica a trovare un accordo con SIAE, ci mancava solo l’intelligenza artificiale (AI) che crea musica totalmente random e la ascolta da sola, falsando gli stream.
Intelligenza artificiale o streaming artificiale?
Spotify funziona più o meno così: la piattaforma gestisce una cassa (proventi derivanti dalle pubblicità e dagli abbonamenti Premium). Questo fondo viene suddiviso tra gli artisti, pagando ovviamente di più chi fa più ascolti. Quanto? Vi basti sapere che Tony Visconti, storico bassista e produttore di David Bowie, ha affermato che “se avessi 12 milioni di stream, potresti a malapena permetterti una cena per due persone”. Difatti Spotify, per singolo stream, paga una cifra compresa tra 0,002€ e 0,0062€.
Tanto vale prendere un cappello e scendere a suonare in strada.
Se quindi ci aggiungiamo che Spotify viene invasa quotidianamente da nuova musica generata dall’intelligenza artificiale, e che gli ascolti di questa sono falsati, allora la fetta riservata ai veri artisti si riduce ancora di più. Non più briciole, ma centesimi di briciole.
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Ovviamente è giusto notare che il problema dello streaming artificiale, che affronteremo tra poco, non riguarda solo l’AI. La compravendita di stream tramite bot e account fake è una problematica ben nota a Spotify, che cerca di combatterla come può, aggiornando costantemente i propri algoritmi.
In che modo l’intelligenza artificiale falsa gli ascolti Spotify? Il caso Boomy
Come vi abbiamo già riportato in una recente notizia, Spotify ha rimosso dal proprio catalogo decine di migliaia di canzoni generate dall’AI. Molte di queste violavano il diritto d’autore (ricordiamo che l’intelligenza artificiale non è in grado di creare senza necessariamente attingere ad altro, e qui sta la differenza con un artista umano). Molte altre canzoni però sono state rimosse perchè sospettate di essere riprodotte da account bot.
“Intervistate quel cantante che non ascolta mai la musica se non la sua in ogni istante”, cantava Samuele Bersani. Insomma l’intelligenza artificiale crea musica che ascolta solo lei. Un concetto che farebbe impallidire anche il più egocentrico dei cantautori indie.
Ad ogni modo gran parte di questi brani è risultata provenire da Boomy, una startup californiana che permette di generare musica AI in pochi minuti. Non solo: Boomy, a differenza di gran parte delle AI generative musicali, offre anche un servizio di distribuzione. Ciò vuol dire che gli utenti possono creare la propria musica e automaticamente caricarla su Spotify, senza doversi affidare a distributori terzi.
Dopo aver scoperto che gran parte degli ascolti falsati proveniva da Boomy, Spotify ne ha bloccato i caricamenti per un periodo limitato di tempo (questi sono poi ripresi il 6 maggio 2023).
Alex Mitchell, fondatore e CEO di Boomy, ha affermato che l’azienda è “assolutamente contraria a qualsiasi forma di manipolazione degli ascolti”. Mitchell ha poi spiegato che Boomy avrebbe immediatamente sospeso i pagamenti e bloccato gli utenti che abusano del sistema per guadagnare.
L’intelligenza artificiale è davvero in grado di creare musica?
No. Sfatiamo i miti: l’intelligenza artificiale non vi aiuta a creare musica. Al massimo genera per voi una sintesi facendo un cocktail di quello che miliardi di altri artisti hanno creato già. Volendo scomodare ancora il buon Samuele Bersani: “la copia di mille riassunti”.
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Nel corso di questi ultimi mesi l’AI ha generato esperimenti musicali interessantissimi, alcuni estremamente inquietanti, e altri irresistibili. È il caso della band britannica Breezer, che ha registrato un album strumentale in stile Oasis e ci ha aggiunto la voce Ai di Liam Gallagher. Un esperimento simpatico e irresistibile, ma che resta comunque un gioco.
Altri casi interessanti sono Freddie Mercury che canta Yesterday dei Beatles (o sarebbe meglio dire YesterdAi) e Lana Del Rey che si cimenta con Hurt, capolavoro dei Nine Inch Nails nella versione di Johnny Cash.
L’intelligenza artificiale imita, e lo fa bene. Ma per dirla a là Nick Cave, che pure ha avuto da ridire sul tema, la musica l’AI resta una squallida imitazione dell’animo umano.
Le canzoni nascono dalla sofferenza, dalla complessa lotta interna all’uomo che si concretizza nel processo creativo. Beh, per quanto ne so, gli algoritmi non provano nulla di tutto questo
– Nick Cave
Come regolamentare l’uso (e l’abuso) dell’intelligenza artificiale in musica?
Questa è sicuramente una domanda da un milione di dollari. Il fatto che un colosso come Spotify abbia agito (rimuovendo i brani incriminati) e che una major come Universal Music Group abbia denunciato il problema è sicuramente un primo passo avanti. Tuttavia, la storia ci insegna, il proibizionismo non è mai una soluzione valida.
Un esempio interessante è il manifesto Human Artistry CampAIgn, sottoscritto peraltro anche dalla FIMI (Federazione Industria Musicale Italiana) e da diverse label italiane. Il manifesto, tra le altre cose, chiede che le opere musicali generate dall’intelligenza artificiale non vengano tutelate dal diritto di autore, rimettendo così l’artista al centro della creazione.
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