Le grandi richieste di elettricità necessarie per il ‘mining‘ di alcune criptovalute hanno portato a una vera e propria crisi energetica in Kazakistan. Tanto che l’operatore delle rete elettrica kazaca KEGOC ha deciso di limitare l’uso di corrente di alcuni dei ‘miners’ di criptovalute registrati nel Paese.
Il mining di criptovalute causa una crisi energetica in Kazakistan
Con l’arrivo dell’autunno e dell’inverno, il consumo energetico medio in Kazakistan aumenta di una cifra che corrisponde all’uno o al due percento rispetto all’estate. Ma quest’anno l’aumento, secondo il Ministero kazaco dell’Energia, balza addirittura a +8%. Da ottobre, ci sono stati blackout in sei diverse regioni del grande Paese asiatico.
Secondo gli ufficiali kazachi, il motivo dei blackout improvvisi di corrente elettrica sta nell’eccessiva richiesta di energia da parte di un grande numero di ‘miners’ di criptovalute, che stanno generando Bitcoin, Ethereum e altre valute direttamente dalle proprie case. Ma sembra che alcuni delle crisi energetiche possano essere ricondotte ad alcune delle principali fabbriche di criptovalute riconosciute dallo stato, stando al governo.
Al momento, il governo kazaco sta provando ad aumentare le risorse disponibili comprando l’energia dalla Russia, in modo da sopperire alla richiesta crescente sulla propria griglia elettrica nazionale. Ma per sottolineare che questa decisione arriva in conseguenza al mining, ha deciso di chiedere una tassa “compensativa” di 1 tenge (circa 0.002 euro) per ogni kilowatt-ora ai miners registrati a partire dal 2022. Entrambe le operazioni però richiedono tempo e al momento la situazione della rete elettrica del Kazakistan resta critica.
L’esodo del mining di criptovalute dalla Cina
Osservando le variazioni di richiesta energetica a livello nazionale, sembra che l’aumento sia conciso con le normative che hanno bandito il mining in Cina. La nazione (che confina anche fisicamente con il Kazakistan) ha reso illegale il mining questo maggio, dopo aver implementato nei mesi precedenti alcune misure per limitare la creazione di criptovalute. Fino all’anno scorso, la Cina era il primo produttore di monete virtuali al mondo con un ampio margine sul secondo.
Il passaggio al Kazakistan ha sfruttato anche il prezzo relativamente basso dell’energia elettrica, portando alcune grande compagnie nel territorio, vere e proprie fabbriche di criptovalute. Il Financial Times riporta che almeno tre importanti fabbriche di criptovalute nel nord del Paese hanno avuto gravi blackout. Ma sono almeno 50 i miners registrati ufficialmente nel Paese. Per un totale di 87.849 macchine che minano criptovalute presenti in Kazakistan.
Alcune di queste aziende producono in Kazakistan per conto di clienti all’estero. E stanno valutando se spostare le proprie operazioni per assicurare maggiore sicurezza nella produzione, anche a costo di tariffe energetiche più elevate. Fra le compagnie intervistate dal Financial Times, c’è chi spiega dati alla mano che il 55% delle volte non sono stati in grado di minare per via dei problemi alla griglia.
Se quindi il governo kazaco e la compagnia che gestisce la rete elettrica lamenta problemi causati dai miners, chi crea criptovalute lamenta un’infrastruttura insufficiente, spiegando che il governo sta accusando le criptovalute per nascondere i problemi tecnici.
In ogni caso, utenti privati e aziende del Paese stanno subendo questi blackout. Una vera e propria crisi. Che evidenzia come il dispendio energetico per creare criptovalute possa rivelarsi un problema strategico per il futuro delle monete digitali.
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