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Marilyn ha gli occhi neri: com’è il film con Stefano Accorsi e Miriam Leone

Marilyn ha gli occhi neri è disponibile su Netflix.

«Pensano di avere ragione solo perché sono di più, quelli normali». È questa la frase più significativa di Marilyn ha gli occhi neri, commedia romantica di Simone Godano con protagonisti Stefano Accorsi e Miriam Leone, prodotta dalla Groenlandia di Matteo Rovere e Sydney Sibilia e disponibile da qualche giorno nel catalogo di Netflix. Un progetto che cerca di svecchiare le logore dinamiche del cinema commerciale italiano contemporaneo, puntando su due personaggi ben lontani dalla comune accezione di normalità, interpretati con grande intensità da due stelle del nostro cinema, di nuovo insieme dopo 1992, 1993 e 1994.

Diego e Clara si incontrano durante un incontro di un gruppo di persone con problemi psichici, presso il centro diurno di riabilitazione gestito dal dottor Paris (Thomas Trabacchi). Balbuziente e nevrotico lui, mitomane e reduce da una drammatica fine di una storia d’amore lei. Due problemi, come si definiscono loro, che messi insieme e grazie alla collaborazione degli altri pazienti del gruppo riescono a trovare uno stimolo per mettere da parte i problemi e concentrarsi su qualcosa di produttivo, come la gestione di un nuovo ristorante, chiamato Monroe in onore dell’eterna Marilyn. Unico problema: nonostante un sito ufficiale ricco di molteplici recensioni entusiastiche, il ristorante non esiste. Da qui l’idea di trasformare la fantasia in realtà, coinvolgendo tutto il gruppo di appassionati ma profondamente instabili pazienti.

Marilyn ha gli occhi neri: Stefano Accorsi e Miriam Leone in un inno all’anormalità

Marilyn ha gli occhi neri

In bilico fra Il lato positivo – Silver Linings Playbook e l’intramontabile Qualcuno volò sul nido del cuculo, dai quali riprende rispettivamente l’incontro di due anime perse ed estremamente fragili e l’idea di un gruppo di pazienti psichiatrici alle prese con la realtà esterna alle sedute di terapia di gruppo, Marilyn ha gli occhi neri è una piacevole eccezione agli ovattati drammi familiari che costellano la produzione audiovisiva italiana degli ultimi anni. Miriam Leone e Stefano Accorsi dismettono i panni di sex symbol che hanno segnato le rispettive carriere, dando vita a due ritratti umani imperfetti, logori, quasi respingenti per la moltitudine di tic e disturbi da cui sono afflitti.

Ed è proprio su questi presunti difetti che Simone Godano, insieme alla sceneggiatrice Giulia Louise Steigerwalt, concentra una lucida e quantomai attuale riflessione sulla nostra società, che tende a etichettare come anormale e a mettere ai margini chiunque si discosti dall’apparente perfezione e da tutto ciò che è di moda. «La sofferenza degli altri fa paura», ripetono più volte i personaggi, dando implicitamente voce a tutti i diversi, a tutti gli sbagliati, a tutti i non allineati, che reclamano solamente il loro diritto a esistere e un pizzico di comprensione.

Nella sindrome dell’impostore di Diego, che non si rende nemmeno conto della sua abilità come cuoco, e nelle fantasiose invenzioni di Clara si riflettono così due anime dei giovani adulti di oggi, che da una parte sono ormai sopraffatti dalla scarsa considerazione per il talento e dalle svariate difficoltà che la vita ci mette davanti, mentre dall’altra si rifugiano nell’apparenza, costruendo una fittizia rappresentazione di se stessi sulla rete, estremizzata dalle finte recensioni e dalle ben costruite fotografie con cui la protagonista scala le classifiche dei migliori ristoranti.

Un cast affiatato e brillante

Marilyn ha gli occhi neri

Su queste forti tematiche, Marilyn ha gli occhi neri costruisce un racconto fatto di momenti e di piccoli sprazzi di luce nel buio, che pur con qualche ingenuità di scrittura (la prolungata assenza di controllo sui pazienti, l’abbozzato rapporto di Diego con la sua famiglia, l’abborracciato epilogo) riesce nell’intento di intrattenere e di fare sentire chiunque un po’ meno solo. Merito di un cast brillante e affiatato, ma soprattutto di un’attenzione particolare alla caratterizzazione dei protagonisti, simboli di un’umanità gracile e annientata, che nonostante tutto riesce a ricostruire sulle macerie e a rimettersi in cammino verso la felicità.

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Marco Paiano

Tutto quello che ho imparato nella vita l'ho imparato da Star Wars, Monkey Island e Il grande Lebowski. Lo metto in pratica su Tech Princess.

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