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La mostra di Banksy fa il giro del mondo. Ma le opere non sono originali

Dal 2016 l’esposizione ha toccato 11 Paesi e ora sbarca a Seul, capitale della Corea del Sud. Ma scoppia il caso della paternità dei lavori esposti

Banksy, il più geniale e misterioso rappresentante della street art, è ora (suo malgrado) al centro di un curioso caso. Che sembra proprio giocare sul pericoloso filo della paternità delle opere, espediente – come vedremo – largamente adoperato dallo stesso writer.

Cosa è successo? Una mostra di Banksy attiva dal 2016, dal titolo The art of Banksy – without limits, sbarca ora a Seul. E lo fa dopo essere partita da Berlino e avere toccato città come Berlino, Amsterdam, Budapest, Vienna e Melbourne.

La curatela è affidata a una società rumena, e le opere esposte sono 150. E dunque dove sta il problema? Sta nel fatto che la mostra sarebbe di Banksy: lo dice il titolo, lo conferma il manifesto ufficiale. Eppure, dei 150 lavori esposti solo 27 sono davvero dell’artista inglese senza nome e senza volto.

Finora, nei suoi cinque anni di vita itinerante su e giù per il mondo, la mostra non aveva sollevato alcuna polemica. Anche le prevendite per la tappa nella capitale della Corea del Sud stavano andando a gonfie vele: già prima dell’apertura erano stati acquistati in prevendita oltre 25.000 biglietti. Potenza del passaparola ai tempi dei social.

Lo stesso fattore che stavolta ha scatenato un’altra reazione a catena, ma di segno negativo.

La richiesta di rimborso

La voce si è diffusa in rete con la consueta rapidità: la mostra itinerante su Banksy porterà a Seul solo 27 opere originali dell’artista su 150 che saranno esposte.

Saranno ad esempio esibite tre stampe originali dell’artista, Smiling Copper, Consumer Jesus (Christ with Shopping Bags) e Bomb Hugger. Mentre molte altre saranno repliche. Come ad esempio la scimmia di Laugh Now e l’installazione simbolo del lockdown, un bagno con la scritta My wife hates it when I work from home (Mia moglie odia quando lavoro a casa).

Ecco dunque montare la protesta. Accuse di pubblicità ingannevole, richieste di rimborso dei biglietti e (preventive) recensioni negative hanno popolato in breve tempo i forum della Corea del Sud.

Le dichiarazioni dei curatori della mostra

Per arginare questa situazione nuova e inattesa ha preso la parola Park Bong-su, senior manager di LMPE Company, società organizzatrice della mostra. Che sarà ospitata negli spazi del Seouliteum, nel quartiere trendy di Seongsu-dong.

Ha detto Park Bong-su: “Ci sono stati alcuni malintesi sulla mostra. Stiamo preparando alcuni volantini che indicano quali opere d’arte sono originali.

Banksy è un artista che è stato schietto sulle questioni sociali. La mostra mira a trasmettere i suoi messaggi e a diffondere influenze positive nel mondo a modo suo”.

LMPE si è comunque resa pienamente disponibile a rimborsare chiunque vorrà rinunciare all’evento avendo già acquistato il biglietto.

Il punto di vista di Banksy

E Banksy cosa pensa di questa mostra?

L’artista, in teoria, prende sempre una posizione molto chiara nell’affermare quali siano le proprie opere. Anche quando lo fa a distanza di tempo e in modo bizzarro. Qualche settimana fa, ad esempio, in alcune città di mare britanniche erano comparsi graffiti senza firma, ma stilisticamente affini al gusto del maestro della street art. Che infatti, puntualmente, dopo qualche giorno ne ha rivendicato la paternità con un video di poco più di tre minuti, nel quale mostra se stesso spostarsi in un camper lungo la costa britannica armato delle sue inseparabili bombolette.

Non solo. Sulla sua pagina Instagram, Banksy segnala tutte le proprie opere. E il suo ufficio legale segue con la massima attenzione ogni evento che nasce citando in qualche modo l’artista, oltre ai moltissimi materiali di merchandising che vengono continuamente prodotti.

Inoltre, una pagina del sito ufficiale di Banksy è dedicata a elencare tutte le mostre non autorizzate che vengono allestite in giro per il mondo. Sono esposizioni che esibiscono lavori in larga parte non prodotti dal genio della street art, come quella di Seul. O in altri casi, leggiamo sul sito di Banksy, “organizzate interamente senza la conoscenza o il coinvolgimento dell’artista. Si prega di trattarle di conseguenza”.

 Mentre stiamo redigendo l’articolo, sulla pagina del sito ufficiale ne abbiamo contate ben 27.

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Banksy e il problema della firma delle opere

La questione è però più complessa di così. Lo stesso Banksy gioca a svuotare di senso la paternità delle proprie opere, spesso burlandosi del copyright (che in un libro ha definito “per perdenti”). Anche l’insistenza con cui difende il proprio anonimato sembra una mossa in direzione della scomparsa del ruolo dell’artista-artefice: a importare sono solo le opere e i destinatari.

Sarebbe il concetto di arte popolare nella sua espressione più genuina: una totale gratuità del lavoro, di cui nemmeno si conosce il mittente. L’importante è che il manufatto artistico sia fruibile a tutti.

Peccato che Banksy sia ricchissimo e assai scaltro, grazie anche uno staff nutrito e molto capace che lavora per lui, compreso un agguerritissimo studio legale.

Intendiamoci: sacrosanto che un artista si muova contro chi adopera il suo nome e il suo marchio in modo improprio. Forse, però, sarebbero da abbandonare certe posizioni molto poetiche ma molto contraddittorie sui diritti d’autore.

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Claudio Bagnasco

Claudio Bagnasco è nato a Genova nel 1975 e dal 2013 vive a Tortolì. Ha scritto e pubblicato diversi libri, è co-fondatore e co-curatore del blog letterario Squadernauti. Prepara e corre maratone con grande passione e incrollabile lentezza. Ha raccolto parte delle sue scritture nel sito personale claudiobagnasco.com

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