Il 3 marzo si è tenuta la conferenza di lancio di Period, un think tank femminista intersezionale basato su dati, policy e advocacy. Period è un think tank femminista, con sede a Bologna e a Roma che, partendo dagli open data, produce ricerca, report e policy per favorire il raggiungimento dell’equità di genere.
Durante la conferenza sono intervenute Giulia Sudano, Isabella Borelli, Valentina Bazzarin, fondatrici di Period, assieme a figure istituzionali ed esponenti politiche come Giuseppina Civitella, Responsabile Data management e Rete Civica Metropolitana, Settore Agenda Digitale e Tecnologie Informatiche Comune di Bologna; Giovanna Badalassi, Economista, esperta di bilanci di genere, Co-fondatrice di Ladynomics; Azzurra Rinaldi, Economista Università Degli Studi di Roma Unitelma Sapienza, Co-fondatrice del Giusto Mezzo; Marwa Mahmoud, Consigliera comunale del Comune di Reggio Emilia e Presidente della Commissione consiliare “Diritti umani, pari opportunità e relazioni internazionali”.
Nasce Period, un think tank femminista che si occupa di advocacy, policy e data
L’arrivo delle risorse previste dal Recovery Fund, è stata l’occasione per Period di lanciare la campagna #datipercontare per chiedere alle istituzioni locali, a partire dal Comune di Bologna, un impegno nel rispettare le linee guida dell’Agid per la valorizzazione del patrimonio informativo pubblico, rendendo aperti e pubblici i dati necessari a misurare il gap di genere.
Period è formato da tante professionalità, advocate, data specialist, digital strategist, political communication manager, urbaniste, architette, policy maker, docenti, ricercatrici, il cui scopo è favorire il raggiungimento dell’equità di genere, fare richieste puntuali alle istituzioni, con coraggio, offrendo inoltre consulenza, formazione e strumenti replicabili sia dalla pubblica amministrazione che da enti privati e attiviste e attivisti. Le tematiche principali di cui Period si occuperà riguarderanno il lavoro (empowerment femminile, reinserimento lavorativo), l’eco femminismo, data report e spazi di attivazione.
Durante la conferenza, Giulia Sudano, ha raccontato la genesi di Period: “Period è un termine inglese che tiene insieme una serie di significati che descrivono bene quello che vogliamo fare, anche per tenere aperto uno sguardo internazionale. Period si riferisce al corpo, al corpo delle donne, tramite il ciclo mestruale, letteralmente, ed è anche un’espressione che in inglese significa punto e basta, appunto period; questo ci piaceva molto perché è proprio ciò che vogliamo fare, ovvero disarcionare le discriminazioni. Think tank rimanda a una pratica usata poco in Italia di unire conoscenza specifiche alla legislazione, cercando di fare informazione e sensibilizzazione, sia l’opinione pubblica che l’istituzioni, donando uno sguardo sia di genere che femminista”.
Durante la conferenza sono intervenute Giulia Sudano, Isabella Borelli, Valentina Bazzarin, fondatrici di Period
Valentina Bazzarin, durante la conferenza, ha discusso di dati e femminismo: “Una delle nostre visioni è portate in Italia il data feminism, iniziare a ricostruire ambienti politici, economici, legali, a partire da dati di qualità che raccontino le differenze tra uomini e donne, le differenze generazionali; dati che non appiattiscano l’umanità alla figura dell’uomo bianco di mezza età, ma che riflettano le differenze, dati utili a costruire anche politiche mirate a donne e uomini, giovani, anziani. Questa è la nostra visione, che si traduce in azione proponendo di diffondere la cultura di dati, sulla base dei quali costruire le azioni di advocacy, soprattutto di accettare la sfida di produrre delle statistiche di genere che non restino un esercizio ma che diventino la base su cui costruire tutta la nostra azione politica e ricostruire il tessuto della società”.
“Dalla raccolta dei dati e dalla reportistica di dati migliori deriva la nostra seconda anima”, spiega Giulia Sudano, “la produzione di policy e costruzione di campagne di advocacy, quest’ultimo troppo spesso viene lasciato in secondo piano poiché connette le persone con le istituzioni, e rappresenta la pressione affinché ci sia un cambiamento”.
Period, un think tank femminista
“I dati sono una materia preziosa che dobbiamo imparare a trattare affinché tornino utili in diversi contesti”, afferma Giuseppina Civitella, “la loro messa a disposizione richiede un impegno costante, continuo e competenze multidisciplinari, per metterli a sistemi. Dati di genere, disporre di dati di qualità come base di partenza per l’eliminazione del gender gap è un’impresa che ci interessa portare avanti, sulla quale occorre lavorare quotidianamente. Azioni come quelle che porterà avanti Period sono preziose: c’è bisogno di sviluppare una cultura diffusa dei dati e qualificare una domanda di dati. Quindi in un’ottica di continuità tra l’azione dell’amministrazione e la società civile, è necessario fornire dei dati e servizi che vadano a rispondere a dei bisogni reali”.
“Bisogna riflettere su quel che vuol dire ragionare di dati di genere”, spiega Giovanna Badalassi, “una delle realtà più importanti su questo tema, donne, dati e sul tema della rappresentanza: la scelta di approfondire attraverso dati e statistiche di un determinato argomento è una scelta politica, ed è una decisione che viene presa con l’idea che si vuole agire su un determinato contesto, attraverso le politiche. Se noi rinunciamo a misurare un fenomeno significa che non lo vogliamo affrontare”.
L’intervento di Giovanna Badalassi, Economista, esperta di bilanci di genere, Co-fondatrice di Ladynomics
“Per anni i dati di genere non sono stati rilevati, perché non si volevano affrontare politicamente. Non c’era una domanda politica: c’era una scarsa offerta politica perché c’era anche una scarsa domanda. Se vogliamo affrontare veramente il problema delle differenze e delle disuguaglianze di genere è un sistema che occorre implementare. Il motivo e l’obiettivo per il quale servono i dati è per maturare una consapevolezza collettiva, che è quella che poi spinge all’agire politico; ci vuole una chiave di lettura collettiva, che poi sono i dati”.
“La crisi conseguente al Covid ci ha messo di fronte a nuova consapevolezza”, precisa Azzurra Rinaldi. “L’anno prima della crisi avevamo superato di pochissimo, della metà, 50,1%, il tasso di occupazione femminile, ciò significava che una donna su due in Italia lavorava, con dei differenziali territoriali enormi, oltre il 60% delle donne lavorava al nord mentre poco più del 33% percento lavorava al sud. Questo risultato, che per noi sembrava consolidato, in realtà nel giro di pochi mesi è stato sgretolato: a causa della pandemia il tasso di occupazione femminile in Italia è già tornato al 48,6 %. Questo elemento ci deve far riflettere: in questo paese quando le donne raggiungono un risultato e pensano che quel risultato sia consolidato, devono subito fare i conti con la realtà; dobbiamo stare attente in questo senso. Rimane un risultato da difendere”.
L’intervento di Marwa Mahmoud, Consigliera comunale di Reggio Emilia
“Se dovessimo fare un bilancio dell’impatto che ha avuto quest’emergenza sanitaria in Italia, le donne ne escono più povere, più precarie e sovraccaricate da attività di cura”, afferma Marwa Mahmoud, “in un paese che non sa costruire reti di servizi, a partire dagli asili nido, per finire all’assistenza degli anziani. Come esponente politica mi trovo spesso ad essere l’unica donna nella stanza dei bottoni, l’unica della politica, questo mi permette di assumermi una responsabilità a livello cosciente, ovvero portare in dote un vissuto di inclusione nelle idee, nei progetti, nelle politiche, che vado poi a definire con colleghi, colleghe e compagne e compagni”.
“Il nostro dovere è riuscire a contaminare chi ci circonda, trasmettere il valore aggiunto che deriva dalla diversità che viviamo da sempre e abbiamo vissuto nella società. L’aspetto della narrazione è nevralgico, in una cultura che ancora fatica a vedere le diversità come una ricchezza. L’abbiamo visto bene all’interno di questo governo e abbiamo raccolto con un certo sconcerto l’assenza di figure femminili nella parte politica. L’assenza di questa narrazione plurale e inclusiva educa le nuove generazioni e le porta a pensare che ci sia un unico modello vigente e non ve ne siano altri alternativi. Vedersi rappresentati in tutte le forme, a tutti i livelli, restituisce dignità e appartenenza”.
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