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Woodstock 1969: curiosità e aneddoti di tre giorni di pace e musica

C’era un’atmosfera magica in quell’estate del 1969, quando le condizioni sociali e culturali crearono il clima per un movimento irripetibile: quello hippie. Al grido di “mettete dei fiori nei vostri cannoni”, orde di pacifisti americani chiedevano lo stop alla guerra in Vietnam e l’abbandono di politiche a chiara impronta capitalista. Quell’estate, che non a caso venne chiamata Summer of Love, era caratterizzata anche da un’incredibile scena musicale, che tra USA e Regno Unito proponeva alcuni degli artisti più importanti che il pianeta Terra abbia mai ospitato. Nasce in questo contesto l’iconico Festival di Woodstock, padre di tutti i festival musicali contemporanei. Oggi però, oltre ai grandi momenti dell’evento, vi raccontiamo alcune curiosità e aneddoti da Woodstock 1969: tre giorni di pace, amore e musica.

L’evento si tenne 15 al 17 agosto, meno di un mese dopo lo sbarco sulla Luna, a Bethel, cittadina rurale nello stato di New York. Il festival avrebbe dovuto tenersi, come suggerisce il nome, nella cittadina di Woodstock non troppo distante, ma problemi organizzativi imposero il cambio di location. Gli organizzatori però decisero di lasciare inalterato il nome dell’evento.

Woodstock 1969: il più grande festival della storia fu in realtà il più grande fallimento organizzativo di sempre

Ciò che non tutti sanno è che l’evento, passato alla storia come il più grande festival musicale di sempre, fu in realtà un colossale fallimento organizzativo, soprattutto dal punto di vista economico. Gli organizzatori (Michael Lang, John P. Roberts, Joel Rosenman e Artie Kornfeld) misero in piedi una lineup di artisti incredibili, con spese di ingaggio esorbitanti. Nei piani dei promoter, con una simile scaletta, i biglietti sarebbero andati a ruba, stimando un’affluenza di circa 50mila spettatori.

Ciò che gli organizzatori non avevano valutato era che il numero di persone che sarebbe accorso era sottostimato di almeno 8 volte. La storia ci dice che a Woodstock 1969 presenziarono tra le 400mila e le 500mila persone, invadendo letteralmente la piccola cittadina di Bethel, la quale non disponeva né di infrastrutture né di strade adeguate per accogliere una tale folla. Il risultato fu che i giovani cominciarono ad entrare abusivamente nell’enorme fattoria dove si teneva l’evento, e dopo il primo giorno gli organizzatori rinunciarono alla vendita dei biglietti per evitare sommosse.

Rendere l’evento gratuito però generò un ulteriore effetto: la voce si sparse in tutti gli Stati Uniti, e in tantissimi si misero in viaggio con la prospettiva di assistere gratis a un evento così mastodontico.

Il buco finanziario fu clamoroso, rendendo Woodstock 1969 il più iconico festival della storia, ma decisamente il più fallimentare.

Curiosità: Richie Havens improvvisa un brano che diventa l’inno di Woodstock 1969

Uno dei momenti più iconici del festival è sicuramente l’esibizione di Richie Havens con il brano Freedom, che divenne il vero inno del festival. Ciò che non tutti sanno è che in realtà, la canzone, è stata improvvisata sul momento dall’artista. Havens avrebbe infatti dovuto esibirsi nella serata del primo giorno (venerdì 15 agosto), ma la sua performance venne anticipata al pomeriggio a causa dei ritardi di altre band, bloccate nel traffico di Bethel.

Dopo aver terminato il suo set, gli organizzatori chiesero a Havens di prendere altro tempo e suonare ancora, ma l’artista aveva ormai finito i brani in scaletta e aveva già concesso qualche bis. A quel punto Havens cominciò a suonare uno spiritual nero chiamato Sometimes I feel like a motherless child, improvvisando e modificandone il testo. In particolare cominciò a cantare all’infinito la parola Freedom. Il pubblico di Woodstock prese ad alzarsi in piedi, battendo le mani e accompagnando Havens con le voci.

Del resto quale miglior parola di libertà per descrivere il clima di Woodstock?

Per approfondire questa storia leggi anche il nostro articolo dedicato alla genesi di Freedom di Richie Havens.

Top e Flop: l’effetto delle sostanze su Janis Joplin, Grateful Dead e Santana

Non è certamente un mistero il fatto che Woodstock 1969 fu caratterizzato dal vasto e incontrollato utilizzo di droghe. Le sostanze, oltre che tra il pubblico, giravano anche e soprattutto tra gli artisti nel retropalco. Numerosi testimoni riportano che Janis Joplin faticasse a reggersi in piedi a causa del mix di eroina e alcol. L’artista, che morirà prematuramente l’anno seguente, dovette addirittura essere accompagnata a braccio sul palco. Nonostante ciò si esibì in una performance mozzafiato.

Lo stesso, purtroppo, non si può dire per i Grateful Dead, tra gli esponenti più amati della Summer of Love. La band americana, a detta degli appassionati, tenne a Woodstock 1969 la sua peggiore esibizione di sempre, a causa di numerosi problemi tecnici e del palese stato di alterazione mentale dei suoi componenti.

Tra gli artisti della seconda giornata c’era anche un giovane Carlos Santana, che con la sua omonima band incantò il pubblico (in particolare si ricorda il brano di chiusura del set: Soul Sacrifice). Recentemente Santana ha dichiarato che durante la performance era sotto effetto di LSD. In particolare l’artista ha affermato di essere “così alterato da ritenere che tutte quelle persone fossero effetto delle sue allucinazioni”. Del resto non è cosa da tutti i giorni, a 22 anni, suonare davanti a 500mila persone.

Il set dei The Who: tra leggenda e controversia

Impossibile elencare gli aneddoti e le curiosità di Woodstock 1969 senza citare l’incredibile set dei The Who. La band britannica, tra le più attese della tre giorni, avrebbe dovuto prendere il palco la sera del sabato (16 agosto), ma non cominciò il proprio set prima delle 4 del mattino di domenica. Il motivo del ritardo? Una furiose lite con gli organizzatori nel backstage per questioni economiche. Quando però Roger Daltrey e soci prendono il palco è magia pura. Durante l’esecuzione di We’re not gonna take it sorge l’alba su Woodstock, e il sole fa capolino mentre Daltrey canta “See me, feel me”.

Durante il loro set si ricorda anche un curioso incidente riguardante il chitarrista Pete Townshend. Durante Woodstock 1969 non era raro che degli spettatori invadessero il palco per lanciare slogan politici e pacifisti. Cosa che avvenne anche durante il set dei The Who, quando un certo Abbie Hoffman decise di salire sul palco per chiedere il rilascio dell’attivista John Sinclair, arrestato dalla polizia pochi mesi prima. Ciò che Hoffman non aveva considerato però, era che per Pete Townshend il palco era un luogo sacro: non appena il manifestante si avvicina al microfono Townshend lo colpisce alla testa con la sua chitarra, una Gibson SG, e poi si rivolge al pubblico dicendo: “Il prossimo che sale su questo palco lo ammazzo. Non ridete, perchè non sto scherzando”.

Alla fine del loro set, Townshend distrugge la sua chitarra, mettendo la parola fine a una delle esibizioni più ricordate della tre giorni. Era ormai domenica mattina su Woodstock, e da lì a poco si sarebbero esibiti i Jefferson Airplane, che chiusero la maratona notturna.

Jimi Hendrix mette la parola fine a Woodstock 1969 davanti a “sole” 200mila persone

Secondo numerose voci Jimi Hendrix fu l’artista più pagato del festival, e ad oggi la sua performance Woodstock ’69 è tra le più leggendarie di sempre. Hendrix chiese a gran voce – e ottenne – di essere l’ultimo artista in scaletta. La sua performance però, prevista per la sera di domenica 17 agosto, slittò a causa di tutti i ritardi accumulati (compresi quelli dei The Who). Hendrix prese così il palco la mattina di lunedì 18 agosto, quando Woodstock avrebbe dovuto già essersi concluso.

In molti avevano già lasciato la location per ritornare alle loro vite (era lunedì, e si ritornava a lavoro), e così Hendrix suonò davanti a “sole” 200mila persone, meno della metà degli affluenti totali all’evento.

Il suo memorabile set – il più lungo della sua carriera con ben 2 ore di live – include l’iconico inno americano suonato con la chitarra distorta, gesto provocatorio nei confronti delle politiche belligeranti degli USA. Durante l’esecuzione di Red House una corda della sua chitarra (il mi cantino) si spezzò, ma Hendrix finì il suo solo con 5 corde. Infine, con Hey Joe, Jimi Hendrix mise la parola fine a tre giorni (e mezzo) di storia della musica.

Curiosità su Woodstock 1969: le grandi assenze

All’evento avrebbero dovuto prendere parte anche i Beatles. La band più popolare del pianeta era già praticamente sciolta, ma furono contattati ugualmente dagli organizzatori. Con grande sorpresa John Lennon si dimostrò interessato a portare il quartetto a Woodstock, ma solo a patto che fosse stata ingaggiata anche la band di Yoko Ono (la Plastic Ono Band). Gli organizzatori, anche a causa di problemi di Lennon con il visto americano, decisero di rinunciare ai Fab4. Controverse anche le storie che riguardano i Rolling Stones, che secondo alcuni storici non furono invitati in quanto “poco in linea” con lo spirito pacifista del festival.

Il supergruppo di Jeff Beck era stato ingaggiato (con signori musicisti del calibro di Rod Stewart, Ronnie Wood e Aynsley Dunbar), ma il progetto si sciolse poche settimane prima dell’evento. Anche gli Iron Butterfly erano previsti in scaletta, ma restarono bloccati in aereoporto dopo l’arrivo negli USA a causa del traffico. La band chiese agli organizzatori di mandare un elicottero, ma la risposta fu un telegramma che recitava: “For reasons I can’t go into / Until you are here / Clarifying your situation / Knowing you are having problems / You will have to find / Other transportation / Unless you plan not to come”. Evidenziando le prime lettere di ogni riga si legge la frase “Fuck You” (letteralmente “fottetevi”). Una risposta (non troppo) velata da parte degli organizzatori alla richiesta della band.

Tra i grandi assenti c’erano sicuramente i Procol Harum, tra le band simbolo della Summer of Love ‘69. Il gruppo, dopo un estenuante tour americano, decise di tornare in Inghilterra, dove stava per nascere il primogenito del chitarrista Robin Trower.

Bob Dylan invece, che viveva vicino alla location, rifiutò di partecipare in aperta polemica con gli hippie del periodo. Preferì invece andare in Inghilterra dove, pochi giorni dopo, insieme a numerosi artisti reduci da Woodstock, si esibì all’Isle of Wight Festival. Anche i Doors di Jim Morrison rifiutarono di prendere parte all’evento, dicendosi pentiti in un secondo momento. Per motivi analoghi anche i Jethro Tull declinarono l’offerta, in quanto Ian Anderson si disse apertamente contro l’uso di droghe tipico dei festival hippie.

Desta curiosità invece l’aneddoto che riguarda il rifiuto di Tommy James & The Shondells di partecipare a Woodstock 1969. Come andarono le cose ce lo racconta il frontman Tommy James: “Avremmo voluto prenderci a schiaffi da soli. Eravamo alle Hawaii, e la mia segretaria mi chiamò e disse ‘c’è questo allevatore di maiali nel nord dello stato di New York che vuole che suoniate in un suo campo’. Così è come mi fu presentata la faccenda. Perciò declinammo, e capimmo cosa ci eravamo persi un paio di giorni dopo”.

Altri artisti che rifiutarono (o comunque non furono in grado di partecipare) furono i Beach Boys, Led Zeppelin, Simon & Garfunkel, Joni Mitchell, Eric Clapton, Moody Blues (questi presero parte alle sfortunate riedizioni di Woodstock ‘94 e Woodstock ’99, Byrds, Frank Zappa, Johnny Cash, Spirit, Chuck Berry e molti altri.

Due morti, due nascite e due tentativi di replicare l’evento

Durante i tre giorni di evento si registrarono due decessi. Numero decisamente esiguo data l’incredibile affluenza, lo smodato uso di droghe e la totale assenza di infrastrutture e sicurezza. Uno dei due decessi avvenne per overdose, mentre l’altro a causa di un incidente: un hippie che dormiva in un terreno venne travolto da una macchina agricola in funzione. Durante l’evento ci furono almeno quattro aborti spontanei e due nascite confermate, di queste una avvenne in un’auto ferma nel traffico.

A guardare Woodstock 1969 dopo 53 anni, appare incredibile come l’evento si sia svolto senza violenze e senza incidenti. Il contesto sociale e culturale permise davvero la realizzazione di tre giorni di pace e amore. Nel parlare della condotta pacifica degli spettatori, Max Yasgur, il proprietario del terreno dove si tenne Woodstock, dichiarò: “Se ci ispirassimo a loro potremmo superare quelle avversità che sono i problemi attuali dell’America, nella speranza di un futuro più luminoso e pacifico”.

Aspettative decisamente disattese, come confermato dagli avvenimenti occorsi durante le riedizioni del 1994 e del 1999. Quest’ultima, in particolare, fu caratterizzata da numerose violenze. Gli eventi di Woodstock 1999 sono descritti magistralmente nel documentario Netflix Trainwreck: Woodstock ‘99.

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Marco Brunasso

Scrivere è la mia passione, la musica è la mia vita e Liam Gallagher il mio Dio. Per il resto ho 30 anni e sono un musicista, cantante e autore. Qui scrivo principalmente di musica e videogame, ma mi affascina tutto ciò che ha a che fare con la creazione di mondi paralleli. 🌋From Pompei with love.🧡

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