Da qualche giorno, è disponibile su Netflix A Classic Horror Story, film dell’orrore italiano diretto da Roberto De Feo (già autore del notevole The Nest) e Paolo Strippoli. Un’opera orgogliosamente derivativa, che gioca con l’immaginario degli ultimi 50 anni di cinema di genere americano (da Non aprite quella porta a Midsommar – Il villaggio dei dannati), intrecciandolo con i miti popolari italiani, nello specifico quello di Osso, Mastrosso e Carcagnosso, che secondo la leggenda hanno dato vita alle tre più potenti organizzazioni mafiose.
A Classic Horror Story: la risposta italiana a Quella casa nel bosco
Il soggetto è molto semplice. Nel Sud Italia, cinque persone condividono un viaggio in camper per raggiungere una destinazione comune. Nel corso della notte, il veicolo esce di strada e si schianta contro un albero. I passeggeri perdono i sensi, per poi svegliarsi malconci in mezzo a un bosco, lontano dalla strada in cui si trovavano e soprattutto incapaci di fuggire da un luogo pieno di pericoli, che sembra attrarli a sé. Il risultato è un’opera che attinge a piene mani dallo slasher e dal folk horror (La casa, Scream e The Wicker Man sono i riferimenti più evidenti), per poi imprimere al racconto una svolta che sarebbe delittuoso svelare.
A Classic Horror Story a questo punto travalica i confini dell’horror, dando vita a una pungente critica al panorama audiovisivo nostrano, che rifugge dal cinema di genere perché troppo cupo e violento, per poi accettare di buon grado le approfondite cronache di terribili efferatezze e dolorosi drammi personali sul piccolo schermo. Roberto De Feo e Paolo Strippoli mettono quindi in scena la risposta italiana al seminale Quella casa nel bosco di Drew Goddard, dando nuova linfa all’asfittico cinema di genere nostrano e dimostrando al mondo intero che nel Paese di Mario Bava, Dario Argento e Lucio Fulci è ancora possibile fare horror di qualità e dal respiro internazionale, grazie alla visibilità e alla promozione (ampiamente meritate) che Netflix sta garantendo a questo progetto.
Un cinema di genere italiano ma dal respiro internazionale
Le buone notizie non si limitano certo ai contenuti. A Classic Horror Story è infatti un lavoro che può confrontarsi a testa alta con produzioni dal budget ben più alto, grazie anche a una scenografia curata nei minimi dettagli e alla splendida fotografia di Emanuele Pasquet, determinante soprattutto nei momenti più cruenti con il suo contrasto fra un rosso acceso e la sinistra penombra in cui si muovono i protagonisti. Il resto lo fanno degli squisiti effetti speciali artigianali, che regalano alle sequenze più sanguinolente il necessario realismo.
Doverosa infine una menzione agli interpreti, e in particolare a Francesco Russo, capace di conferire al suo personaggio un’ampia gamma di sfumature, da quelle più ingenue a quelle più ambigue, e alla strepitosa Matilda Lutz, che dopo Revenge si conferma una final girl capace di reggere sulle proprie spalle il peso di un intero film. Alla fine di A Classic Horror Story (e degli imperdibili titoli di coda) abbiamo una sensazione chiara e precisa: il cinema horror italiano è tornato, e speriamo che non se ne vada mai più.
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