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Cultura

I robot che si credono Michelangelo

Sempre più spesso la tecnologia diventa strumento centrale per l'arte, anche nella scultura

Chissà se qualche secolo fa gli artisti rinascimentali italiani si sarebbero immaginati che un giorno il loro lavoro avrebbe potuto essere svolto da macchine. È questo il tema al centro di un recente articolo del celeberrimo New York Times, che racconta della nuova presenza dei robot nell’ambito della scultura. Si tratta di un trend emergente molto importante, su cui vale la pena di fermarsi a riflettere.

Robot e scultura, il rapporto con l’artista

Il titolo dell’articolo del quotidiano americano richiama direttamente l’arte italiana, citando uno dei suoi nomi più celebri: “‘We Don’t Need Another Michelangelo’: In Italy, It’s Robots’ Turn to Sculpt“, traducibile con “Non ci serve un altro Michelangelo: in Italia tocca ai robot scolpire“. Al di là dell’approccio, il discorso poi prosegue raccontando in particolare la storia di ABB2, protagonista anche della foto allegata al pezzo.

Si tratta di un macchinario gigantesco, posizionato in un laboratorio di Carrara (città molto cara agli artisti tricolore) che realizza sculture, appunto. Non è l’unico nel suo genere, anzi. Proprio nello stesso pezzo si parla anche di Quantek2, un secondo robot dedicato allo stesso scopo. Insomma, l’impressione è che si stia sviluppando un vero e proprio sottobosco di nuovi artisti meccanici, ma è davvero così?

In realtà no, anzi. La lettura più corretta sarebbe vedere questo trend come una semplice evoluzione tecnologica di quanto già accadeva da anni, fin dai tempi di Michelangelo e anche prima. Queste opere infatti sarebbero commissionate da artisti di grande livello. Il NYT non riporta chi abbia richiesto le sculture su cui stavano lavorando i robot raccontati nel pezzo, citando genericamente un artista britannico e uno americano, ma più avanti si racconta che fra chi utilizza questo servizio si contano Vanessa Beecroft, Barry X Ball e Jeff Koons.

Ciascuno di loro fornisce la spinta creativa, che è alla base dell’opera. Il fatto che la realizzazione effettiva (o parte di essa) sia affidata a dei robot non è concettualmente troppo diverso dalla tradizione degli apprendisti che spesso si sono occupati delle opere dei Maestri. Insomma, la tecnologia ha cambiato la forma, ma non la sostanza.

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Via
ANSA
Source
The New York Times

Mattia Chiappani

Ama il cinema in ogni sua forma e cova in segreto il sogno di vincere un Premio Oscar per la Miglior Sceneggiatura. Nel frattempo assaggia ogni pietanza disponibile sulla grande tavolata dell'intrattenimento dalle serie TV ai fumetti, passando per musica e libri. Un riflesso condizionato lo porta a scattare un selfie ogni volta che ha una fotocamera per le mani. Gli scienziati stanno ancora cercando una spiegazione a questo fenomeno.

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