Dopo la pioggia incessante di Suburra di Stefano Sollima e la Siccità di Paolo Virzì presentata proprio a Venezia lo scorso anno, a minacciare Roma in Adagio è un gigantesco e misterioso incendio, simbolo di una metropoli morente e fiaccata da un caldo torrido e da continui blackout. È questo il minaccioso scenario in cui si muovono i protagonisti del nuovo film di Sollima, chiusura dell’ideale trilogia della Roma criminale inaugurata da Romanzo criminale – La serie e proseguita proprio con Suburra. Personaggi coinvolti in un aspro conflitto generazionale, che vede il Manuel del sorprendente debuttante Gianmarco Franchini impegnato in un losco affare insieme ai personaggi di Pierfrancesco Favino, Toni Servillo, Valerio Mastandrea, Adriano Giannini e Francesco Di Leva, relitti umani appartenenti a un’epoca lontana ma dalle nefaste conseguenze sul presente.
Al ritorno in Italia dopo le due notevoli parentesi statunitensi di Soldado e Senza rimorso, Stefano Sollima confeziona un poliziesco senza buoni né cattivi, secondo ottimo contributo al genere dell’Italia dopo L’ultima notte di Amore. Un racconto torbido e sinistro, in cui il motore narrativo è costituto da un video in mano proprio a Manuel, il classico uomo sbagliato, nel posto sbagliato e nel momento sbagliato. Fra politici dalla doppia vita, forze dell’ordine corrotte e malavitosi solo apparentemente fuori dai giochi, ha inizio una giornata di paura e violenza, con Cammello, Daytona e Polniuman (rispettivamente Favino, Mastandrea e Servillo) chiamati a interpretare di volta in volta il ruolo di protettori del ragazzo dalla collera di un gruppo di carabinieri senza scrupoli.
Adagio: Stefano Sollima chiude la Trilogia della Roma criminale con un pregevole poliziesco
Non esiste una ricetta per ridare al cinema italiano la pervasività e la visibilità internazionale di un tempo, ma se ci fosse passerebbe sicuramente per film come Adagio e per registi come Sollima. Un cinema fatto di trame semplici ma funzionali, su cui tratteggiare parabole umane e scontri fra personalità incompatibili, in scenari ben diversi dalle città perfette e ovattate a cui la nostra produzione ci ha purtroppo abituato. Tutto in Adagio odora di morte, nonché di collasso ormai prossimo della civiltà, rappresentato da una Roma più vicine alle atmosfere avvelenate di Blade Runner che alla magica città eterna esaltata da Federico Fellini e tanti altri.
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Come da tradizione del grande cinema poliziesco, non ci sono regole etiche e morali. Un buon padre può essere al tempo stesso un servitore dello stato marcio e disonesto (magnifica in proposito la scena in cui Adriano Giannini si divide fra la cena da preparare ai suoi figli e una missione criminosa da curare al telefono), il più pericoloso furfante si può rivelare un’affidabile spalla per la sopravvivenza e lo stato semplicemente non c’è, perché con i suoi intrighi e i suoi giochi di potere si trova ormai lontano anni luce dal popolo più povero e debole. A questo si aggiunge ovviamente lo scontro generazionale, con i giovani in cerca di una piccola oasi di felicità, anche con mezzi non del tutto leciti, e gli anziani disperatamente aggrappati a un codice d’onore e ad amicizie spazzate via dal tempo e dalla storia.
Gli strepitosi protagonisti di Adagio di Sollima
Fra rimandi ai suoi precedenti film e richiami al grande cinema statunitense (I soliti sospetti su tutti) Sollima costruisce personaggi memorabili, veri e propri alieni per il nostro cinema. A brillare sono soprattutto Gianmarco Franchini e Adriano Giannini, poli opposti della vicenda che Adagio dipana sullo schermo, ma è doveroso soffermarsi sui personaggi di Pierfrancesco Favino, Toni Servillo e Valerio Mastandrea, alle prese con ruoli insoliti all’interno delle loro strepitose carriere.
Uno scarnificato Favino rimane impresso per la sua rappresentazione di Cammello, ex malavitoso uscito di prigione solo per la grave malattia che lo ha colpito ma ancora in qualche modo legato al suo mesto passato. Anche con pochi minuti a disposizione, Mastandrea tratteggia nel migliore dei modi “Polniuman”, altro personaggio emarginato e con un passato nel crimine che si rivela un’inaspettata ancora di salvezza per Manuel. Servillo infine è l’enigmatico Daytona, che dietro una superficie fatta di confusione e disagio psichico cela sprazzi del feroce criminale di un tempo.
Personaggi con cui Sollima pennella un racconto che in altre epoche e ad altre latitudini avrebbe potuto tranquillamente essere un western, destreggiandosi in inseguimenti in una Roma più tenebrosa che mai, veri e propri duelli alla stazione e momenti di guizzante umanità, in cui il marciume dei protagonisti viene messo in secondo piano dalla voglia di resistere ed esistere.
Il nostro cinema di genere è ancora vivo
Mentre scorrono i titoli di coda, la struggente voce di Franco Califano ci ricorda che Tutto il resto è noia. Un brano in piena sintonia con un’opera che rinverdisce il nostro cinema di genere, cavalcando il presagio di un’imminente fine non solo attraverso la fuga generale da una Roma sempre più avvolta dalle fiamme, ma anche e soprattutto con gli sguardi sconfitti ma mai domi dei suoi protagonisti, antieroi solitari e squallidi di un modo di fare film che credevamo ormai impossibile per il nostro Paese, ma che invece nonostante tutto è ancora vivo.
Adagio arriverà nelle sale italiane il 14 dicembre, distribuito da Vision Distribution.
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