Un recente studio sull’impatto ambientale del Bitcoin dimostra che, in percentuale sul valore nel mercato, estrarre la criptovaluta fa più danni che l’allevamento di bovini per la carne. Il paragone dei ricercatori fa riflettere: le uniche attività che risultano più pericolose per l’ambiente sono la distribuzione di benzina e le centrali elettriche a gas.
Bitcoin, l’impatto ambientale è paragonabile alla produzione di carne
Lo studio pubblicato a nome Benjamin A. Jones, Andrew L. Goodkinf e Robert P. Berrens dell‘Università del New Mexico su Scientific Report, analizza l’impatto climatico del Bitcoin dal 2016 al 2021. E vuole dare un metro di paragone alle persone quando si parla di criptovalute e ambiente. Infatti gli autori fanno notare che spesso di parla del Bitcoin come dell’estrazione di “oro digitale“. Ma la produzione di anidride carbonica supera di gran lunga quella delle miniere d’oro.
Il fatto che Bitcoin consumi molta energia è noto a chi si occupa di criptovalute. Ma quantificarne l’impatto è più complicato. Gli autori dello studio rilevano che nel 2020, il mining di Bitcoin (l’operazione di produzione della criptovaluta) ha consumato 75,4 terawatt-ora. Un consumo che supera l’energia consumata da nazioni come il Portogallo (70,4 TWh all’anno) e l’Austria (69,9 TWh all’anno). Cifre importanti, seppur lontane dal fabbisogno italiano (circa 300 TWh annui).
L’impatto rispetto al valore sul mercato
Gli autori hanno tuttavia voluto paragonare il consumo energetico rispetto al valore del Bitcoin sul mercato, per capire quando sia efficente la produzione. Per poi paragonare questi dati ad altre industrie.
A dicembre 2021 Bitcoin valeva 960 miliardi di dollari e contava per il 41% del valore globale di tutte le criptovalute. Il 31 dicembre 2021 il Bitcoin valeva 41.659,19 dollari, mentre oggi vale meno della metà: 19.952,04 euro.
Nel 2021, ogni Bitcoin creato ha causato secondo gli autori 11.314 dollari di danni ambientali, per un totale di circa 12 miliardi di dollari di danni globali. Vale quindi circa un quarto del valore medio della moneta durante l’anno.
Inoltre gli autori fanno presente che il valore dei danni ambientali è aumentato di 126 volte, con emissioni a 0,9 tonnellate per moneta fino a 113 tonnellate per moneta di oggi. Il momento peggiore risulta essere il maggio del 2020, quando i danni rispetto al valore della moneta hanno toccato quota 156%: ogni dollaro di valore prodotto generava 1,56 dollari di danno.
Più dell’allevamento per la produzione di carne bovina
Questi dati sono senza dubbio influenzati dal valore molto variabile di Bitcoin. In media, gli autori valutano che i danni al clima valgono il 35% del valore di mercato. Un valore che supera quello della produzione di carne bovina (33%) e che non è nemmeno paragonabile all’impatto dell’estrazione di oro (4%). Fra le altre attività considerate dai ricercatori, superano per impatto ambientale il Bitcoin solo la produzione di energia generata in centrali termoelettiche a gas (46%) e la produzione e distribuzione di benzina (41%).
Come sempre nel valutare uno studio scientifico, va tenuto presente che le valutazioni del team andranno confermate da studi indipendenti per avere un vero valore. Immaginiamo che si possano contestare il modo in cui valutano i danni ambientali e il modo in cui considerano le fluttuazioni della criptovaluta.
Ma resta emblematico il significato dietro questo studio: i danni ambientali valgono un terzo del valore della moneta estratta, in media. Costi che sono esternalizzati per tutti noi, non solo chi effettua compravendita di Bitcoin. E visto il processo per la produzione, molti esperti sono scettici sul fatto che Bitcoin possa ridurre il proprio impatto ambientale. Quindi la domanda è: ne vale la pena?
- Boiardi, Luca (Autore)
Ultimo aggiornamento 2024-10-06 / Link di affiliazione / Immagini da Amazon Product Advertising API
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