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La cyberpsicologia spiega il futuro di giocatori e videogames: l’intervista agli esperti

Oggigiorno, si aprono sempre più di frequente dei dibattiti in relazione all’uso che i giocatori, in particolare i giovani gamer, fanno dei videogiochi, e dei conseguenti effetti. Importante è dunque studiare e dare risposte critiche, da parte degli esperti in materia, che sappiano darci risposte e spiegazioni concrete, mettendo a tacere gli allarmismi esagerati e dando luce invece alle reali problematiche. Per capire più da vicino quali sono i fenomeni in atto, abbiamo intervistato tre psicologi, Marco Lazzeri, Eleonora Stingone e Sebastiano Pocchi, che hanno elaborato uno studio a partire dalla recente approvazione in Canada di una class-action intentata da alcuni genitori contro Fortnite. Considerato da questi ultimi pericoloso per il benessere dei loro figli, la vicenda ha suscitato nuove polemiche e alimentato una serie di stereotipi e pregiudizi negativi sul medium videoludico, già piuttosto diffusi. Per fare chiarezza nella maniera più oggettiva possibile sugli effetti a lungo termine dell’uso dei videogiochi, i tre esperti intervistati ci hanno dato alcune risposte importanti su queste tematiche sensibili.

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Cyberpsicologia e videogiochi: l’intervista a Marco Lazzeri, Eleonora Stingone e Sebastiano Pocchi

videogame

Partiamo dal vostro ambito di specializzazione, la cyberpsicologia. Di cosa tratta nello specifico?

Marco Lazzeri: La cyberpsicologia è una disciplina nata negli anni ’90, in concomitanza con l’aumento dell’uso della Rete e delle tecnologie digitali. Lo stesso John Suler, nel suo libro “The Psychology of Cyberspace” afferma che proprio in quel periodo si inizia a capire che qualcosa di significativo stava accadendo. Di cosa di occupa? La cyberpsicologia è un ramo della psicologia per comprendere come le nuove tecnologie, per esempio i social media, possano influenzare i comportamenti delle persone e alcuni aspetti della loro psiche (emozioni, identità, ecc.), causando nuove forme di disagio come la dismorfia digitale.

Sono tanti gli oggetti di studio di cui si occupa la cyberpsicologia: videogiochi, realtà virtuale, la costruzione dell’identità online. Nello studiare le nuove tecnologie, la psicologia digitale vuole capire inoltre come esse possano essere utilizzate per supportare o migliorare la salute mentale e il benessere psicologico. Ultimamente si parla molto spesso di realtà virtuale, videogames ed IA. Ebbene, entrando nello specifico, esistono alcune realtà che utilizzano proprio tali tecnologie secondo questa ottica. Tra le tante, la videogames therapy del Dott. Francesco Bocci, l’agente conversazionale CO-ADAPT sviluppato da IDEGO e dall’Università di Trento con il finanziamento dell’Unione Europea, nonchè MindVR della Dott.ssa Federica Pallavicini.

Il processo della convergenza digitale di diversi mondi virtuali è ormai inevitabile e quotidiano. Qual è il vostro punto di vista sulla condivisione dell’esperienza videoludica tra giocatori?

Marco Lazzeri: Personalmente, ho un’opinione positiva sulle esperienze di gioco multiplayer. Se ripensate ai due anni di pandemia causati dal Covid, i videogiochi multiplayer ci hanno permesso di rimanere in contatto con i nostri amici. Abbiamo potuto ampliare la nostra rete digitale di conoscenze, ma soprattutto di sentirci meno soli. Le sessioni multiplayer di COD, i tornei di DBZ FighterZ, i match di FIFA, le battle royale Fortnite o la cucina cooperativa di Overcooked 2.

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Parlando di quest’ultimo, non posso non citare lo studio di cyberpsicologia condotto nel 2022 dalla Dott.ssa Elena Del Fante e dai suoi collaboratori presso il Dipartimento di Psicologia di Torino. Dai risultati emersi dalla ricerca, è stato dimostrato come l’interazione virtuale risulti essere “reale” per le persone che la sperimentano con dei risultati sorprendenti in alcune specifiche aree.

Non bisogna però dimenticarsi di una cosa: nelle sessioni di gioco online ha un peso rilevante anche la modalità di gioco che si sceglie. Una modalità di gioco creativa può contribuire ad aumentare la comunicazione verbale, come nel caso di Minecraft. Al contrario, una modalità di gioco orientata alla competitività può portare gli utenti a ridere di più tra loro. Qualcuno di voi ha mai giocato a Wii Sports o a Nintendo Switch Sports?

Non è però tutto oro quello che luccica, e con ciò vorrei cogliere l’occasione per fare presente una realtà della cyberpsicologia che a volte viene tenuta sottotraccia. Nonostante i giocatori online siano tutelati dagli sviluppatori dei giochi, permangono ancora casi di comportamenti scorretti e/o di linguaggio inappropriato nelle community. E molto spesso sono le donne a essere più colpite.

Nello specifico. Fortnite è additato come la causa di dipendenza tra i giovani. Quanto è vero questo aspetto, nei confronti di Fortnite come di altri giochi?

La dipendenza da videogiochi è una problematica non causata dal videogioco in sè, ma è determinata da numerose variabili. Tra queste, un utilizzo errato di tutti i dispositivi tecnologici, in generale. Il tempo speso su un videogame è la molla che fa scattare il passaggio da “attività ricreativa” ad “abuso”. Quest’ultimo è una strategia di compenso per ovviare alla frustrazione provocata dalla scarsa realizzazione dei propri bisogni motivazionali.

Fortnite Coachella

Gli “hard gamers” che eccedono con le ore di gameplay (più di 8 ore giornaliere) non diventano tali perché il videogioco attiva i circuiti dopaminergici, come la cocaina. Questo avviene con il gioco d’azzardo ad esempio, che presenta caratteristiche totalmente differenti. Al contrario, la quantità di dopamina rilasciata da una sessione di qualunque tipologia di videogame è paragonabile a quella data da pizza e patatine.

Facciamo chiarezza sul termine “gaming disorder” e il suo significato specifico.

Marco Lazzeri: Il Gaming Disorder è stato ufficialmente inserito tra i disturbi da comportamenti d’abuso in cyberpsicologia solo nel 2022 con la pubblicazione dell’ICD-11, la classificazione internazionale delle patologie. Viene descritto quindi alla pari di un disturbo da dipendenza con comportamenti persistenti o ricorrenti legati al gioco, sia online che offline.

Tra i comportamenti vi è la perdita di controllo sul gioco, in termini di incapacità a staccarsene, a discapito delle attività quotidiane. A lungo andare determina conseguenze negative che però non riducono l’attività.

Il medium videoludico però ha anche dimostrato come riesca a ridurre alcuni sintomi di disturbi psicologici. Come è possibile?

Sebastiano Pocchi: In generale, diversi studi in letteratura hanno evidenziato un possibile effetto terapeutico dei videogiochi, con la possibilità di ridurre la gravità di sintomi ansiosi grazie al loro utilizzo. Questo effetto è stato registrato non solo grazie ad alcuni serious games, i videogiochi sviluppati a fini educativi o terapeutici, ma anche con videogiochi commerciali. Tra questi ultimi, troviamo videogiochi mobile come Plants vs Zombies, o videogiochi classici come Rayman 2: The Great Escape.

RAYMAN 2

In riferimento al disturbo post-traumatico da stress o PTSD, l’utilizzo di un videogioco sta mostrando risultati promettenti in cyberpsicologia. Si tratta in questo caso di un titolo classico e, per certi versi, insospettabile: Tetris. Pare che la particolare struttura del gioco vada ad interferire in processi di consolidamento della memoria visuo-spaziale e con il ricordo dell’evento traumatico. Questo va a diminuire la frequenza di uno tra i sintomi principali di questo disturbo: le memorie intrusive. Un’ulteriore conferma del potenziale terapeutico dei videogiochi.

I pazienti affetti da Disturbo Depressivo Maggiore come possono cercare di affrontarlo?

Marco Lazzeri: Uno studio condotto dalla East Carolina University su incarico di PopCap Games , ha monitorato per un mese 59 pazienti affetti da depressione. Parte di loro ha giocato ai casual games come Bejeweled 2, Peggle e Bookworm Adventures, mentre un gruppo di controllo ha esplorato il sito web del National Institute of Mental Health dedicato alla depressione.

I risultati in cyberpsicologia hanno mostrato che nei pazienti che hanno utilizzato i videogiochi, i sintomi della depressione sono diminuiti in media del 57%. Ciò dimostra ancora una volta come i videogames possono essere un valido strumento di aiuto. Vorrei però precisare una cosa: possono essere una valido strumento di aiuto se combinati con il supporto di uno psicologo.

Adolescenti e videogames: quanto è a rischio questa categoria? Facciamo un po’ di chiarezza su questo tema sensibile.

Marco Lazzeri: Discutere di rischi connessi ai videogiochi è spesso un approccio troppo estremo. In realtà, la letteratura scientifica e non solo, ha dimostrato come molti pregiudizi riguardo agli adolescenti che utilizzano i videogiochi siano infondati. I videogiochi sono spesso accusati di causare dipendenza, isolamento e violenza, ma queste affermazioni non sono scientificamente supportate da risultati concreti.

Invece di concentrare il nostro focus sulle possibili conseguenze negative, dovremmo considerare i molti benefici positivi. Tra questi, il potenziamento della flessibilità cognitiva ed emotiva, il miglioramento della salute, l’apprendimento di comportamenti prosociali, nonchè l’incremento dell’apprendimento scolastico. Pensate soltanto alla modalità Discovery Tour presente in AC Origins.

AC ORIGINS DISCOVERY TOUR

Sono oramai sono tante le ricerche scientifiche presenti in letteratura che dimostrano ciò. Un ulteriore passo avanti in questa direzione è stato fatto dal rapporto “Adolescenza e videogiochi” di Altrapsicologia. Tale documento (disponibile a questo link), scritto dal Gruppo di Lavoro dedicato alla Psicologia Digitale di cui faccio parte, ha raggiunto il Senato lo scorso ottobre e ha portato a una maggiore consapevolezza oggettiva dei giovamenti positivi portati dai videogiochi.

Quanto scritto da me, Elena Del Fante, Viola Nicolucci e Chiara Vinchesi (con la revisione di Lidia Candoni, Sonia Bertinat e Tommaso Ciulli) si è posto anche l’obiettivo di frenare gli allarmismi infondati e le paure ingiustificate, ovviamente senza screditare altri punti di vista, come quello dell’Organizzazione Mondiale della Sanità riguardo al Game Disorder.

Un’ultima domanda: come vedete il rapporto tra giocatori e videogames nei prossimi anni, considerando anche i riflessi sul loro comportamento e profilo psicologico?

Marco Lazzeri: Vedo un futuro in cui il rapporto tra giocatori e videogiochi diventa sempre più stretto ed empatico, grazie all’evoluzione tecnologica e all’ulteriore approfondimento degli aspetti psicologici intrinseci dei videogames. Oramai è evidente e assodato come videogiocare possa offrire esperienze uniche e soddisfacenti che migliorano la resilienza, la collaborazione e incrementano le skills. Tuttavia, è importante che i videogiocatori sviluppino anche un “sano equilibrio” tra tempo di gioco e attività offline. Sono curioso di capire come questo sviluppo evolverà nel prossimo periodo.

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Sebastiano Pocchi: Auspico che il videogiocatore del futuro diventi un “conscious gamer”, un videogiocatore consapevole, che utilizzi in modo appassionato e informato il medium, conoscendo i suoi rischi e le sue potenzialità. Il videogioco non è soltanto un prodotto di intrattenimento e di espressione artistica, ma anche uno strumento per il miglioramento personale, in grado di potenziare le nostre abilità sociali e cognitive, oltre a contribuire concretamente al nostro benessere mentale. Per beneficiare di questi effetti positivi, è opportuno conoscere le modalità corrette di fruizione di questo strumento e utilizzarlo in maniera qualitativamente e quantitativamente corretta. In questo senso, il ruolo di cyberpsicologi, divulgatori e professionisti della salute nell’informare e guidare i videogiocatori del futuro sarà molto importante.

Foto Sebastiano

Eleonora Stingone: Auspico fortemente che quanto trasmesso dai divulgatori sui social network venga valorizzato correttamente. I gamers riusciranno a vedere il videogioco non più solo come fonte di distrazione, intrattenimento e svago, ma come potenziale strumento per risolvere dei problemi, di qualsiasi natura, evitando i possibili disagi dati da una personalità non facilmente propensa ad aprirsi con gli altri e che quindi non andrebbe mai in terapia. Il vantaggio futuro è ascrivibile in termini di automiglioramento, aumentando la motivazione, le abilità cognitive e soprattutto la capacità di affrontare le sfide poste dalla vita.

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