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Death to 2020: il 2020 è un anno da uccidere con un documentario (o una risata)

Avete visto il mockumentary di Netflix sull'anno appena concluso? Noi sì, ed ecco cosa ne pensiamo

Morte al 2020” è un concetto che in molti probabilmente condividono o comunque hanno pensato nel corso degli ultimi mesi. Dopotutto, quello che collettivamente abbiamo passato nell’anno da poco concluso è incredibile. Una sequela di eventi che (quasi) nessuno sarebbe riuscito a prevedere a gennaio, dai rischi di sprofondare in una guerra mondiale, alla pandemia all’esplosione di rivolte eccezionali negli States. I fatti si sono susseguiti talmente in fretta che non è semplice neanche ricapitolarli tutti. Questo compito se l’è preso Death to 2020, un falso documentario o, come si suol dire, un mockumentary disponibile su Netflix.

Death to 2020, un cast stellare  per ripercorrere l’anno più folle finora

samuel l jackson documentario death to 2020
Cr. SAEED ADYANI/NETFLIX © 2020

Impostato come un vero e proprio documentario, questo speciale ci porta a ripercorrere gli aspetti salienti degli ultimi mesi. Si parte da lontano, con la crisi degli incendi australiani (che sembra risalire a un’era fa a ripensarci ora) fino ad arrivare a dicembre, con le conseguenze della sconfitta elettorale di Donald Trump oltreoceano. O meglio, una parte di queste conseguenze, ma ci arriviamo più avanti nel pezzo.

A guidarci in questo viaggio ci sono delle personalità d’eccezione. Alla narrazione dei fatti realizzata da Laurence Fishburne si intervallano infatti apparizioni di alcuni esperti o figure particolari che, proprio come in un vero documentario, offrono il loro punto di vista o commento. Si va dallo storico al giornalista, passando per il magnate della tecnologia fino alla persona comune che dia una prospettiva sulla quarantena.

A interpretarli ci sono, come si diceva, talenti eccezionali. Si va da figure tradizionalmente associate alla comicità come Kumail Najiani, Leslie Jones e Tracey Ullman (nei panni di una stoica Regina Elisabetta) ad attori più trasversali che a seconda dei casi ricordano o dimostrano il proprio talento in questo campo. Si pensi ad esempio a Lisa Kudrow, Samuel L. Jackson, Hugh Grant e direttamente da Stranger Things il giovane Joe Keery, capace di non sfigurare al fianco di colleghi più blasonati.

E non c’è dubbio che tutto questo funzioni a livello comico. Tra le ironiche parole di Fishburne e i botta e risposta degli intervistati, in Death to 2020 si riesce a ridere di gusto più volte. Un modo appassionante per riuscire a esorcizzare e metaforicamente provare a uccidere il 2020, come auspicato dal titolo.

Black Mirror, ma con un altro approccio

foto cristin milioti kathy flowers in death to 2020
Cr. SAEED ADYANI/NETFLIX © 2020

Se Death to 2020 fosse solo un prodotto da recuperare per farsi quattro risate, probabilmente non ne staremmo neanche parlando ora però. L’aspetto più importante di questo mockumentary Netflix è infatti la sua pungente critica sociale che è legata, ma va oltre, agli eventi del 2020.

Il caso più evidente e caratteristico è quello della madre di famiglia scesa nella spirale dell’alt-right e delle teorie complottiste di QAnon. A parte il fatto che Cristin Milioti è un’attrice davvero straordinaria, che meriterebbe un successo ancora più grande di quello che sta (fortunatamente) avendo, questo personaggio è una fotografia perfetta di un problema reale.

Con una lucidità incredibile Charlie Brooker e la squadra di autori ci mostrano il contrasto tra la figura della madre da spot dei cereali e le vedute estremamente razziste e violente che esprime. Effetto comico garantito, ma soprattutto faro puntato su una realtà sempre più diffusa. Un modo per riflettere sul fenomeno della radicalizzazione che avviene tramite il web che non riguarda soltanto i casi limite, ma anche gli insospettabili. E se questo personaggio è il più evidente e meglio riuscito, si trovano tracce dello stesso spirito anche in quello della politica conservatrice interpretata da Lisa Kudrow, nello storico di Hugh Grant e molti altri ancora.

È proprio in questo che si vede che Brooker prima che del documentario Death to 2020 è stato il creatore di Black Mirror. Il talento per l’indagine sociale, per indicare gli armadi in cui sono presenti gli scheletri resta evidente. Cambia solamente l’approccio: se prima puntavo il dito per spaventarti, ora lo faccio per farti ridere.

Volendo fare un paragone nobile, si potrebbe dire che tra le due opere c’è lo stesso rapporto che intercorre tra La fattoria degli animali e 1984. I due capolavori di Orwell partono da due punti e registri differenti ma arrivano entrambi a raccontare la stessa cosa (ovvero la società nell’Unione Sovietica). Allo stesso modo le due opere di Brooker ci mostrano il nostro mondo tra il tragico e il comico, come due facce di una stessa medaglia.

Il vero problema è che Death to 2020 è già vecchio

lisa kudrow friends death to 2020
Cr. SAEED ADYANI/NETFLIX © 2020

Tuttavia c’è un altro fattore che distingue Black Mirror e Death to 2020 e va a sfavore del secondo, ovvero la prospettiva temporale. Se lo show infatti guarda a un futuro lontano, sebbene abbastanza vicino da dare l’idea di poterlo sfiorare, questo documentario punta più che mai al presente. E il problema di raccontare il presente è che  nel momento in cui ne parli non esiste più.

E non è solo una questione retorica. A poco più di un mese dalla sua release, questo documentario sente già il peso del tempo. Oggi parlare dello strascico delle elezioni americane senza citare i tumulti del 6 gennaio (a cui il personaggio di Cristin Milioti avrebbe sicuramente preso parte) è inconcepibile. Allo stesso modo, anche il caso dei risultati in borsa di GameStop meriterebbe uno spazio. Per forza di cose il documentario Netflix non ne parla, ma si sente comunque un’assenza che lascia un po’ di amaro in bocca. Ciononostante, resta una visione simpatica che diverte per un’oretta circa, in particolare chi conosce la situazione politica americana e britannica.

Forse, per ovviare il problema dell’invecchiamento precoce, si potrebbe anche pensare a un sequel. Dopotutto questo 2021 sembra essere pronto a fornire molto materiale, a giudicare dall’andamento delle ultime settimane. Speriamo solo che le condizioni permettano un titolo più positivo di “Death to 2021“.

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Mattia Chiappani

Ama il cinema in ogni sua forma e cova in segreto il sogno di vincere un Premio Oscar per la Miglior Sceneggiatura. Nel frattempo assaggia ogni pietanza disponibile sulla grande tavolata dell'intrattenimento dalle serie TV ai fumetti, passando per musica e libri. Un riflesso condizionato lo porta a scattare un selfie ogni volta che ha una fotocamera per le mani. Gli scienziati stanno ancora cercando una spiegazione a questo fenomeno.

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