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Fist of the North Star: Lost Paradise | Recensione

Abbiamo provato l'avventura del leggendario guerriero di Hokuto creata dal team di Yakuza

Quando si può dire che un personaggio è diventato leggenda? Non esiste una formula magica per creare il protagonista perfetto, che resti impresso nei cuori delle persone. A volte bastano elementi semplici, come la bontà o il carisma, per lasciare un’impronta significativa, ma queste sono caratteristiche che accomunano la maggior parte dei personaggi principali e che non possono certo spiegare il successo di alcuni di questi, un successo che trascende le pieghe del tempo.

Kenshiro ce l’ha fatta. rispetto a tanti eroi a lui simili, dopo 30 anni è ancora lì, ricordato e amato da tutti. Proprio per questo motivo siamo qui oggi a parlare di Fist of the North Star: Lost Paradise, il nuovo titolo, creato dal Team Yakuza di Sega, dedicato al guerriero di Hokuto.

La storia di Ken il Guerriero è lunga anche nel mondo dei videogiochi, infatti uno dei primi titoli uscì nel 1986 per Sega Master System e arrivò poi in Occidente con il titolo di Black Belt e con l’eliminazione di tutti i riferimenti culturali all’opera di Tetsuo Hara e Buronson, che al di fuori del Giappone non era ancora famosa.

Dopo diversi Musou di qualità mediocre, la notizia che il Team Yakuza, famoso per l’eccelsa serie omonima, avesse preso le redini di un progetto legato al guerriero di Hokuto, fece sobbalzare i fan dalla gioia, data la fiducia che gli sviluppatori si sono conquistati sul campo per i loro titoli. Saranno riusciti a rendere onore al salvatore di fine secolo?

Fist of the North Star: capitolo di Eden

Iniziato il gioco, veniamo subito inseriti nel bel mezzo di uno dei punti cardine della storia di Fist of the North Star: lo scontro con Shin. Questo ci farà da tutorial per il sistema di combattimento, fulcro del gameplay. La storia procederà come nel manga, fino alla sconfitta di Shin da parte del nostro uomo dalle sette stelle, per poi allontanarsi dai binari dell’opera originale e focalizzarsi su Eden, la città protagonista delle vicende di Lost Paradise.

Da questo punto in avanti la trama prenderà una direzione diversa, recuperando però alcune delle parti più famose del manga e dell’anime, come la liberazione della prigione di Cassandra e il salvataggio di Toki o il primo incontro con Rei, fino agli scontri con Souther e Raoul.

Oltre ai personaggi classici, abbiamo diverse new entry pensate appositamente per il gioco, come Kisana, la regina di Eden, la sua guardia Jagure e il temibile Kyoh-Oh, il misterioso re del disastro che in questa storia assume il ruolo di antagonista.

La storia di Fist of the Star: Lost Paradise procede con ritmi serrati capitolo dopo capitolo e l’atmosfera che si respira nelle varie sequenze che ci raccontano gli eventi è pregna delle sensazioni che si provavano nel vedere l’anime o nello sfogliare le pagine del manga di Tetsuo Hara e Buronson. Kenshiro è carismatico come non mai e usarlo per far esplodere teste a destra e a manca darà delle grandi soddisfazioni a tutti i fan.

Le parti più entusiasmanti sono sicuramente le battaglie contro i Boss, con dialoghi introduttivi davvero in linea con quelli del manga, tanto da farvi esaltare nell’essere lì ad affrontare iconici personaggi con le tecniche di Hokuto padroneggiate dal nostro Ken.

La trama ha comunque degli alti e bassi: le scene inedite risultano interessanti e ben inserite nel contesto, anche se certi elementi sono troppo da cliché, tanto che alcuni colpi di scena li intuirete prima del tempo. Le vicende che riprendono la storia originale non sempre sono trattate con la dovuta cura, riassumendo o tagliando parti importanti dell’opera originale.

Probabilmente molti fan di vecchia data storceranno il naso di fronte a parti importanti minimizzate, come la sbrigativa introduzione di Rei, ma d’altronde c’è da fare i conti con il fatto che la visione del Team Yakuza è una rinarrazione della storia del guerriero di Hokuto, e ci sentiamo di dire che nel complesso è venuta piuttosto bene, anche se in effetti si poteva fare di più.

Omae wa mou shinde iru

Per quanto riguarda il gameplay, Fist of the North Star: Lost Paradise riprende moltissime delle meccaniche che hanno reso famosa la serie Yakuza, rielaborandole per funzionare al meglio nel mondo devastato dalla guerra atomica cui appartiene Kenshiro.

Il combattimento è sicuramente la parte che più di tutte è cambiata, con l’inserimento delle letali tecniche di Hokuto. In sostanza i movimenti sono simili a quelli del Drago di Dojima, con pugni, calci e schivate veloci che ricordano molto un picchiaduro a scorrimento evoluto, ma in Fist of the North Star abbiamo anche le tecniche della sacra scuola di Hokuto, che sostituiscono la barra heat con cui in Yakuza era possibile fare le finisher sfruttando l’ambiente circostante.

Kenshiro non avrà bisogno di oggetti, ma colpendo i nemici riempirà una barra a forma di teschio che si trova sopra le teste degli avversari: una volta riempita, basterà stordire il nemico per premere cerchio e utilizzare uno dei colpi mortali che lo manderà in mille pezzi. Ogni volta che eseguiremo una finisher partirà un breve filmato comprensivo di QTE per aumentare l’efficacia del colpo segreto.

Premere ripetutamente il pulsante d’attacco durante il tipico “Atatatatatata” di Kenshiro sarà un’esperienza impagabile. Andando avanti con la storia sbloccherete nuove mosse e abilità difensive che renderanno il sistema sempre più complesso e tecnico, tanto che verso la fine del gioco ci sarà, nelle combo, una varietà di scelta per nulla banale, ma che anzi potrebbe persino mettere in difficoltà i neofiti del genere. Altro tocco di classe è la barra delle Sette Stelle, che si caricherà man mano che attaccheremo e subiremo colpi. Una volta pronta, il nostro Ken farà esplodere la sua giacca proprio come nell’anime, ricoprendosi di un’aura rossa. In questo stato potrà utilizzare nuovi attacchi prima preclusigli e nuove finisher ancora più potenti.

In aggiunta alle mosse eseguibili di Kenshiro, abbiamo poi i talismani, oggetti craftabili in un determinato negozio che ci permetteranno di ottenere bonus alle statistiche oppure mosse segrete di altri personaggi da utilizzare in combattimento. A seconda della rarità, i talismani avranno poi un periodo di cooldown prima di poter essere nuovamente riutilizzati.

A supportare il combat system abbiamo una sorta di sferografia per l’evoluzione marziale di Ken. Divisa in quattro diverse tipologie, una per le mosse speciali, una per il burst, una per i talismani e una per le caratteristiche del personaggio, questa farà evolvere come meglio crediamo le capacità di Kenshiro. Esisteranno sfere di diversi colori da utilizzare specificatamente in punti appositi di una delle quattro cerchie di sviluppo, ottenibili non solo livellando, ma anche come ricompense per sidequest e altri minigiochi.

Il combattimento non è il fulcro della vicenda, nonostante la sua importanza. Come da tradizione del genere degli Yakuza, anche in Fist of the North Star: Lost Paradise c’è parecchia carne al fuoco.

I minigiochi, forse inferiori alle aspettative per chi è abituato a quelli della malavita giapponese, sono moltissimi e spesso fuori di testa. Non abbiamo mai visto Kenshiro in certe vesti, come barman mentre usa le tecniche di Hokuto per shakerare un cocktail o come medico che cura i pazienti a ritmo di musica. Fortunatamente, nonostante i puristi del personaggio possano inarcare il sopracciglio, non si osa mai troppo, e anche la classica modalità in cui bisognava entrare nelle grazie delle hostess è stata cambiata in modo che Ken faccia solo il buttafuori senza avere nessun legame intimo con le interessate. Spassosa è invece la variante del baseball, chiamato Death Batting, in cui con un palo di ferro dovremo colpire i classici malviventi in moto delle lande deserte, cercando di mandarli in Home Run.

Oltre ai minigiochi saranno presenti 80 sidequest, che vanno da semplici dialoghi risolvibili con un combattimento a serie più complesse come quelle dedicate alle taglie di alcuni criminali, che creano una vera e propria sequenza collegata con una storia di fondo. In realtà la qualità generale e l’interesse di queste storie è inferiore a quanto visto a Kamurocho, il quartiere presente in Yakuza e ispirato a Kabukicho, un reale distretto di Tokyo.

Oltre Eden potremo anche visitare le Wasteland a bordo di una Dune Buggy, andando alla ricerca di materiali con cui costruire equipaggiamento sia per la macchina che per Kenshiro. Dovremo sempre stare attenti al livello di carburante, perché finirlo significherà Game Over. Le Wasteland sono composte da diversi insediamenti, anche se nulla di troppo iconico o espanso rispetto a Eden, e l’attenzione in quest’area è maggiormente focalizzata sulle parti guidate.

Nel complesso, Fist of the North Star offre davvero tanto al giocatore, e chi vorrà completarlo al 100% ci metterà non meno di una cinquantina d’ore, se non anche di più, nel tentativo di potenziare il più possibile Ken. Il gioco in realtà può anche essere finito in una quindicina di ore, se ci si dedica solo alla storia e a poco altro, ma così ci si precluderebbe davvero tanto del combat system, dato che le abilità più interessanti dovranno essere “grindate” con tante attività secondarie così da ottenere il giusto ammontare di sfere per lo sviluppo del personaggio.

Il lato “tecnico” di Hokuto

A livello tecnico il titolo non entusiasma, risultando graficamente inferiore alle ultime incarnazioni della saga parallela legata alla malavita giapponese. I personaggi principali hanno ancora un buon cel-shading, mentre per i personaggi secondari si nota un certo riciclo di volti, anche poco dettagliati.

Le ambientazioni, Eden soprattutto, sono piuttosto spoglie, prive della ricerca del dettaglio vista con Kamurocho. La situazione non migliora nelle Wasteland, che giustamente sono prive di grandi particolari, ma quel poco che c’è è realizzato con texture di bassa qualità, facendo risultare l’ambiente piuttosto anonimo.

Anche nel combattimento ci sono diversi problemi, sia nelle animazioni, spesso legnose e non sempre precise, che nel framerate, che a volte risulta ballerino nell’esecuzione di certe tecniche o quando ci sono parecchi nemici su schermo, nonostante solitamente sia sui 60 fps. Anche alcune scelte, come ad esempio lo strano lock-on che non ci permette di girarci, il che lo rende alla lunga tedioso, e vistosi problemi alla telecamera affossano leggermente la qualità del combattimento, che dovrebbe invece rappresentare la parte meglio riuscita.

In definitiva il comparto grafico di Fist of the North Star: Lost Paradise è deludente, soprattutto se paragonato agli ultimi capitolo di Yakuza, dove il lavoro era più che decoroso.

Ottimo invece il comparto sonoro, che presenta sonorità simili a quelle viste nell’anime e una colonna sonora rock a cui mancano solo le sigle originali (anche se esistono alcuni remix). Vi consigliamo rigorosamente di giocarlo con il doppiaggio giapponese, dato che la voce di Kenshiro (in quest’occasione la stessa di Kazuma Kiryu) fa venire la pelle d’oca per quanto è potente. Purtroppo nel titolo non esiste una localizzazione italiana, essendo tutto in inglese.

Conclusioni

Fist of the North Star: Lost Paradise è indubbiamente uno dei migliori titoli realizzati con la licenza di Hokuto no Ken, ma allo stesso tempo soffre il paragone con la serie Yakuza, di cui il gioco prende l’anima senza però riuscire ad elevarsi alla sua stessa qualità. In ogni caso, i fan del salvatore di fine secolo saranno sicuramente ben contenti di far esplodere teste e arti vari in giro per il mondo post-apocalittico e non rimarranno delusi dalla quantità di attività e fan service presente all’interno del gioco.

Fist of the North Star: Lost Paradise

Pro Pros Icon
  • Atmosfera ben riuscita
  • Sistema di combattimento appagante
  • Molta varietà nelle missioni
Contro Cons Icon
  • La trama ha alti e bassi
  • Tecnicamente non eccelso
  • Animazioni nei combattimenti legnose e problemi alla telecamera

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Silvio Mazzitelli

Di stirpe vichinga, sono conosciuto soprattutto con il soprannome “Shiruz”, tanto che quasi dimentico il mio vero nome. Videogiocatore incallito sin dall’alba dei tempi, adoro il mondo videoludico perché dopo tanto tempo riesce sempre a sorprendermi come la prima volta. Scrivo ormai da diversi anni di questa mia passione per poterla condividere con tutti. Sono uno dei fondatori di Orgoglio Nerd e sono anche appassionato di tutto ciò che riguarda la cultura giapponese e la mitologia (in particolare quella nordica).

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