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Gli Editoriali di Tech PrincessRubriche

La guerra in Ucraina, l’infodemia e noi: un triangolo pericoloso

Il conflitto è uno, le notizie troppe. Come districarsi?

L’estensore di questo articolo, come altri redattori di Techprincess, dalla mattina del 24 febbraio si è ritrovato a scrivere una buona percentuale dei suoi pezzi (si chiamano così in gergo) sulla guerra tra Russia e Ucraina. Certo, quasi sempre dal versante tecnologico o comunque della comunicazione dei fatti bellici.

L’evoluzione della guerra e il sommarsi degli articoli ci ha convinto di alcune cose, su cui è d’accordo pressoché tutta la stampa mondiale. Questa è la prima guerra raccontata soprattutto dai social, con le opportunità e i rischi che ciò comporta. Argomento da noi toccato svariate volte altrove, al punto che ci permettiamo di non tornarci ulteriormente su.

In alcuni articoli ci siamo occupati del nuovo modo di narrare gli eventi da parte dei social, in altri del pericolo fake news. E in altri ancora dell’ambiguo atteggiamento di certe piattaforme, come TikTok.

Guardando però la nostra produzione redazionale da una prospettiva un po’ più distaccata e ampia, si può fare almeno un’ulteriore osservazione. Per esprimere la quale ci viene in soccorso una parola, anche lei di recente conio: infodemia.

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L’infodemia

Prima di scoprire il rapporto tra la guerra in Ucraina e l’infodemia, e soprattutto le sue possibili conseguenze su di noi, scopriamo cosa significhi il termine infodemia.

Ci dice tutto nientemeno che l’Accademia della Crusca: si tratta di una cosiddetta parola-macedonia, composta dai termini informazione ed epidemia. Nata nel 2015, si è diffusa non a caso nel 2020, ai tempi della prima ondata del Covid. E sta a significare un “abnorme flusso di informazioni di qualità variabile su un argomento, prodotte e messe in circolazione con estrema rapidità e capillarità attraverso i media tradizionali e digitali, tale da generare disinformazione, con conseguente distorsione della realtà ed effetti potenzialmente pericolosi sul piano delle reazioni e dei comportamenti sociali.”

La guerra in Ucraina e l’infodemia

Del primo effetto del rapporto tra la guerra in Ucraina e l’infodemia abbiamo già parlato. E cioè del fatto che, sotto il diluvio delle informazioni lampo che provengono dai social, non sappiamo più distinguere il falso dal vero. E ci affidiamo, senza approfondire, alle notizie che meglio si adattano alla nostra emotività.

Ma c’è un passaggio ulteriore, ed è quello intuito da Francesca Mannocchi, inviata de La 7 in Ucraina. Mannocchi ha parlato di “informazione cronica”, che attualmente è ben focalizzata sull’Ucraina. Ma che, molto probabilmente, presto si sposterà altrove, così come si cambia canale col telecomando quando un programma televisivo inizia da annoiarci.

Mannocchi non ha usato mezzi termini per illustrare la situazione: “Gli ucraini hanno paura che noi tra dieci giorni ci saremo stancati della nostra stessa retorica.”

Le informazioni-spot

A questo punto non è forse superfluo il paragone tra molte delle notizie che ci arrivano dall’Ucraina e gli spot pubblicitari. I quali spot, nella loro brevità e forza icastica, puntano a farci affezionare a un prodotto o servizio attraverso una breve o brevissima narrazione. Breve o brevissima, certo, purché abbia in sé qualcosa di memorabile.

Ma soprattutto, ecco il punto, il continuo rimbalzo da uno spot all’altro ci rende fruitori passivi. Ci rende, insomma, consumatori. Poi, certo, a seconda dei nostri gusti sceglieremo a quali prodotti affezionarci, e per quanto tempo.

Ed ecco che ritorna la metafora dello spettatore seduto sul divano pronto a cambiare canale col telecomando.

Qualità e quantità

Ma allora, si chiederanno i lettori, tutti i media – tradizionali e nuovi – che ci stanno narrando della guerra tra Russia e Ucraina, lo stanno facendo per renderci spettatori immobili?

In teoria no, naturalmente. Ci sono dispensatori di fake news, doppiogiochisti dell’informazione e altri che apertamente fanno propaganda per Mosca o per Kiev. Accanto a loro, e meno male, non mancano giornalisti autorevolissimi e coscienziosissimi, che nemmeno si sognerebbero di dare una notizia prima di essere certi della sua assoluta veridicità.

Il grosso problema è che gli uni e gli altri comunicano attraverso i medesimi canali. E le notizie attendibili finiscono, inevitabilmente, per confondersi con quelle inventate o manipolate.

Quindi, come risolvere la questione? In questa infodemia (che adesso riguarda la guerra in Ucraina, ma che facilmente riguarderà d’ora in avanti qualunque notizia di interesse globale) come potersi informare in modo congruo, sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo?

Come uscire da questa alluvione di informazione che ci travolge e, travolgendoci, ci immobilizza? Come risolvere il problema dell’“informazione cronica”?

Una modesta proposta

Una modesta proposta. Come da anni è ormai considerato urgente il problema della salvaguardia ambientale, e le buone pratiche di rispetto del nostro pianeta vengono già insegnate in età scolare, è forse l’ora che i programmi di educazione civica inizino a contemplare la somministrazione di norme che indichino come informarsi. Non solo come saper distinguere le notizie vere dalle false, ma anche come saper decidere la quantità di notizie essenziali da ricevere, per poi rimanere ben alla larga dal contorno. Che è solo – come si dice nell’ambito della comunicazione – rumore.

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Claudio Bagnasco

Claudio Bagnasco è nato a Genova nel 1975 e dal 2013 vive a Tortolì. Ha scritto e pubblicato diversi libri, è co-fondatore e co-curatore del blog letterario Squadernauti. Prepara e corre maratone con grande passione e incrollabile lentezza. Ha raccolto parte delle sue scritture nel sito personale claudiobagnasco.com

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