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Gli Editoriali di Tech PrincessRubriche

I social in Ucraina: come sta cambiando il modo di narrare (e di conoscere) la guerra

L’emotività sta diventando più importante dell’approfondimento?

In molti lo hanno detto e scritto, e anche noi lo abbiamo ripetuto in diversi articoli. Il conflitto tra Russia e Ucraina, oltre a portare con sé le atrocità belliche (sempre tristemente uguali a se stesse), ha anche introdotto un grosso elemento di novità.

È la prima guerra le cui notizie (e soprattutto le cui immagini) stanno rimbalzando per ogni angolo del mondo grazie ai social. O meglio: le piattaforme social non si trovano più ad affiancare i cosiddetti media tradizionali (redazioni di giornali e telegiornali, per intenderci), ma stanno accaparrandosi una fetta sempre più ampia delle informazioni che provengono dall’Ucraina.

Questo sta certamente portando a un grosso cambiamento non solo nel modo di narrare un conflitto, ma anche in quello di conoscere cosa stia accadendo nelle zone di guerra.

Inoltre, siamo proprio sicuri che questa grande novità nella comunicazione di un evento bellico non possa incidere anche su chi il conflitto lo sta vivendo in prima persona?

Andiamo con ordine, e domandiamoci anzitutto perché i social in Ucraina stanno avendo la funzione di megafono delle notizie.

I social, l’Ucraina e un nuovo modo di comunicare

In realtà, sarebbe strano stupirsi. Il modo di comunicare sta cambiando attraverso i social. E qui, a seconda della propria sensibilità, c’è chi penserà “grazie ai social” o “per colpa dei social”.

Noi preferiamo sistemarci prudentemente nel mezzo, e dichiarare che non esiste un medium giusto o sbagliato, ma dipende dall’uso che se ne fa.

È tuttavia innegabile che i social media abbiano dato il via a una comunicazione quantitativamente debordante e rapidissima. Questo, è altrettanto innegabile, porta con sé il rischio di un progressivo e pericoloso allontanamento dalla complessità. Nel senso che l’essere sottoposti a un continuo flusso di brevissimi testi, immagini o video (in entrata e in uscita, si badi), può disabituare a mantenere quella distanza critica necessaria a interpretare e approfondire un’informazione, un fenomeno.

Chiusi come siamo nella morsa di una comunicazione fulminea, prendiamo, assimiliamo e rilanciamo. Chiamarsi fuori per qualche tempo, allo scopo di informarsi meglio su determinati aspetti o sfumature, fa sentire in ritardo.

Eppure, i social media hanno in sé anche un enorme potenziale di democraticità. Permettono cioè a tutti di partecipare (non solo come fruitori passivi) a ciò che accade nel mondo. E permettono a chiunque di mostrare il proprio angolo di universo, magari per mostrarlo al mondo allo scopo di chiedere aiuto. È quello che i social stanno facendo in Ucraina.

Ucraina Telegram 1

I social in Ucraina

Dicevamo che non c’è da stupirsi. Tutti siamo assuefatti alla comunicazione lampo dei social, perché abbiamo imparato quanto rapidamente e in modo virale possano diffondere le notizie.

È quindi ovvio che i social in Ucraina siano diventati per la popolazione assediata un preziosissimo strumento di ostentazione della crudezza del conflitto.

Quindi, i social in Ucraina hanno inaugurato un modo di narrare la guerra che ha solo risvolti positivi? Ma siamo poi sicuri che si tratti di una narrazione?

Dalla narrazione alla fotografia

Metaforicamente, si parla di narrazione per intendere uno sviluppo articolato di un concetto, con tutti gli approfondimenti del caso. La fotografia di un evento è invece il suo riassunto per sommi capi.

Introduzione non oziosa: non è infatti un caso se i social che in Ucraina stanno fungendo da agenzie di stampa in diretta sono quelli meno narrativi. Chi ci sta parlando del conflitto, Twitter e Facebook? No, soprattutto Instagram e TikTok. Con un’ulteriore menzione per Telegram, utilizzato dalla popolazione ucraina per organizzarsi contro l’esercito invasore.

Anche qui, nulla di cui stupirsi. La brevità spesso è necessaria (sotto i bombardamenti, per essere espliciti, è meno complicato postare una foto o un breve video che non esprimere un ragionamento su Facebook). Inoltre i messaggi icastici, siano video, immagini o brevi testi, hanno un maggiore impatto emotivo. Ecco un altro punto su cui soffermarsi.

L’emotività e la verità

L’aspetto emotivo, dicevamo. Un adagio recita che sull’onda dell’emotività si possono commettere enormi sciocchezze. Ed è vero: emotività e razionalità sono due variabili che si escludono a vicenda.

E questo conduce a un duplice problema. Il primo sta dalla parte dell’emittente: sapendo quanto forte sia l’impatto delle comunicazioni rapide e istintive dei social, è quasi inevitabile che c’è chi se ne stia approfittando. E così, più un social produce contenuti brevi in enorme quantità, più è facile che insieme alle notizie vere ci arrivino grossolane fake news in percentuali pericolose. Lo abbiamo analizzato parlando di TikTok, il social in questo senso più emblematico. Fake news prodotte da entrambi gli schieramenti, e che spesso diventano virali.

C’è poi un problema legato al ricevente. Se non si è più sottoposti solo a notizie che provengono da professionisti dell’informazione, con tempi e ritmi distesi, ma anche a (poniamo) immagini choc girate con uno smartphone, c’è un ulteriore rischio di assuefazione.

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I social e l’Ucraina: l’informazione cronica

Ora ci troviamo nel pieno di un’ondata emotiva, proprio in virtù di questa comunicazione meno approfondita e più istintuale. E che l’emotività giochi brutti scherzi l’abbiamo visto con l’inspiegabile sospensione – voluta dalla Bicocca e poi ritrattata (fuori tempo massimo) – del corso di Paolo Nori su Dostoevskij.

O con l’involontariamente ridicola esclusione dei gatti russi dalle competizioni internazionali.

Ma c’è un pericolo ulteriore e più profondo, su cui ha posto l’attenzione Francesca Mannocchi, inviata de La7 in Ucraina. I cittadini ucraini temono che il riflettore dell’emotività (l’inviata ha usato le parole “informazione cronica”) si sposti presto su un argomento nuovo e più attraente. Mannocchi, in collegamento a Propaganda Live, ha detto: “Gli ucraini hanno paura che noi tra 10 giorni ci saremo stancati della nostra stessa retorica.”

L’antidoto, come sempre, è uno solo: approfondire. Partire magari da un video di TikTok ma poi indagare le cornici, le cause, le implicazioni.

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Claudio Bagnasco

Claudio Bagnasco è nato a Genova nel 1975 e dal 2013 vive a Tortolì. Ha scritto e pubblicato diversi libri, è co-fondatore e co-curatore del blog letterario Squadernauti. Prepara e corre maratone con grande passione e incrollabile lentezza. Ha raccolto parte delle sue scritture nel sito personale claudiobagnasco.com

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