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Stop a TikTok anche in Italia per i dipendenti pubblici?

Ipotesi al vaglio del governo

Siamo tutti così presi dal capire se i chatbot conversazionali siano buoni o cattivi, che ci stiamo appassionando troppo poco di un’altra questione in fondo non dissimile. Ovvero quale sia la natura di TikTok, piattaforma social cinese che sta riscuotendo sempre maggior successo.

Sta o meglio stava, perché negli ultimi tempi sembra che si faccia a gara a metterla al bando. Nonostante l’azienda, almeno nel nostro continente, stia continuando a crescere e a investire.

La prima mossa l’hanno fatta gli Stati Uniti, che ha dicembre hanno vietato l’uso di TikTok sui device di deputati e staff della Camera dei Rappresentanti. Il ban si è poi esteso a tutti i dipendenti federali. Stop a TikTok anche in diverse università americane.

È poi arrivato l’altolà della Commissione Europea, che ha sospeso l’uso del social Made in Cina da tutti i dispostivi aziendali.

E adesso, è sia al vaglio del governo uno stop di TikTok anche in Italia, almeno per i dipendenti pubblici.

Partiamo da questa notizia e poi facciamo il punto della situazione.

TikTok

Stop a TikTok in Italia

L’eco delle censure di Washington e Bruxelles è evidentemente arrivato anche in Italia.

Infatti Paolo Zangrillo, ministro della Pubblica Amministrazione, ha detto che anche nel nostro Paese non è escluso uno stop di TikTok sui dispositivi dei dipendenti pubblici.

Zangrillo ha fatto sapere a Repubblica che “l’argomento è arrivato all’ordine del giorno da poco. Già la prossima settimana dovremo confrontarci e cercare di arrivare a una sintesi. Prenderemo una decisione in fretta”.

E ha aggiunto che “il tema è sul tavolo. Dobbiamo comprendere bene quale è effettivamente la profondità dei rischi legati alla sicurezza nazionale”.

Il ruolo del Copasir

Il ministro ha inoltre dichiarato che della questione si sta già occupando il Copasir, il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica.

Zangrillo ha detto: “Su questo argomento si sta già impegnando il Copasir, ma è evidente che il mio ministero, avendo 3,2 milioni di dipendenti, è fortemente coinvolto.

Le opzioni possono essere di muoversi come si è mossa la Commissione europea o eventualmente assumere una decisione diversa. È una scelta che non posso compiere in solitaria, mi devo confrontare con le altre istituzioni e insieme concorderemo una linea.”

Salvini contrario

Ma il governo non è coeso nel mettere il bavaglio alla piattaforma social di ByteDance.

È ad esempio scettico il vicepresidente del Consiglio, Matteo Salvini. Che ha commentato così tramite Twitter: ”Bloccare TikTok? È un interrogativo che coinvolge sicurezza e democrazia. Io sono perplesso e sono contrario a ogni tipo di censura, in una società liberale prima di arrivare a ‘blocchi’ radicali bisogna riflettere bene. Voi che ne pensate?”

I politici italiani e i social

Ed è emblematico che Salvini difenda TikTok comunicando su Twitter. Anche se con un certo ritardo i politici italiani, durante la campagna elettorale per le ultime elezioni politiche, hanno scoperto il potere promozionale dei social.

Tra ingenuità e repentini abbandoni subito dopo le elezioni, proprio TikTok è stato il social più frequentato dai nostri politici, soprattutto per guadagnarsi simpatie (e voti) dell’elettorato più giovane.

E Matteo Salvini, con i suoi 848.000 follower e 11,5 milioni di like, è secondo solo alla premier Giorgia Meloni.

Perché TikTok fa paura

Vale ora la pena di ricordare brevemente perché, dopo Stati Uniti e Commissione Europea, anche parte della politica italiana vorrebbe intimare lo stop a TikTok, almeno nei device dei dipendenti pubblici.

Il timore è che ByteDance, la società di TikTok, trattenga i dati degli utenti occidentali, nella migliore delle ipotesi per indirizzare campagne pubblicitarie ad hoc, nella peggiore per motivi di spionaggio.

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La risposta di TikTok

Interviene sulla questione del possibile stop a TikTok in Italia un portavoce dell’azienda.

“Tutti i dati degli utenti italiani, così come quelli europei, non sono conservati in Cina ma negli Stati Uniti e Singapore e presto all’interno dell’Unione europea nel data center irlandese. Così come dichiarato pubblicamente più volte, il governo cinese non ha mai chiesto l’accesso ai dati dei nostri utenti e, laddove dovesse, non li condivideremmo.

La nostra strategia di data governance, in conformità al Gdpr, si basa su un approccio volto a limitare il più possibile l’accesso ai dati, riducendone al minimo il flusso al di fuori dell’Europa nel rispetto di rigidi protocolli di sicurezza.

Vorremmo rimarcare la nostra piena disponibilità a chiarire i dubbi del governo italiano, auspicando in un confronto dettato da regole e processi certi e trasparenti”.

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Claudio Bagnasco

Claudio Bagnasco è nato a Genova nel 1975 e dal 2013 vive a Tortolì. Ha scritto e pubblicato diversi libri, è co-fondatore e co-curatore del blog letterario Squadernauti. Prepara e corre maratone con grande passione e incrollabile lentezza. Ha raccolto parte delle sue scritture nel sito personale claudiobagnasco.com

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