Continua il nostro viaggio nel mondo della produzione automotive qui ad Auto for Dummies, la rubrica che vi spiega i segreti, o i presunti tali, del mondo dell’auto. Oggi continuiamo ad occuparci della produzione di una nuova automobile: dopo la differenza tra nuovo modello e restyling, oggi scopriremo cosa significano joint-venture, licenza e CKD. Pronti? Parte la catena di montaggio!
Vetture parenti, ma legali: ma esistono davvero?
Ora so cosa starete pensando: “Ma è impossibile! Non c’è qualche legge che impedisce alle Case di produrre lo stesso modello?” in realtà non è proprio così. Ovviamente il plagio e la copia non autorizzata sono illegali (ma non inesistenti, come vedremo tra poco), però la collaborazione non è vietata, anzi.
Oggi non analizzeremo la condivisione di motori, pianali o interni motori condivisi tra Case facenti parte lo stesso Gruppo. All’interno di un Gruppo Industriale, infatti, come abbiamo visto la settimana scorsa, è molto comune abbattere i costi distribuendo le piattaforme, i motori e le soluzioni ideati tra le varie Case del Gruppo. Vi rifaccio l’esempio delle auto medie del Gruppo Volkswagen, che condividono motori diesel e benzina, tranne alcuni rarissimi casi, e la piattaforma MQB, per ridurre i costi di produzione e sviluppo.
Oggi invece ci occupiamo di conoscere le automobili prodotte da Case “estranee” che condividono piattaforma, tecnologie, e a volte persino fabbrica di produzione, motori e trasmissioni. Ci sono infatti tre principali modi di “condividere” queste tecnologie. La prima è la joint-venture, ovvero quando due o più Case che non fanno parte dello stesso gruppo mettono insieme le forze per produrre una o più auto.
La seconda tipologia è la produzione su licenza di un modello, ovvero acquistare la proprietà intellettuale di un modello e riprodurlo, con qualche modifica, con il proprio brand. Infine, la terza opzione è il CKD, il Complete Knock Down, ovvero l’assemblaggio di un’auto spedita interamente da un’altra Casa. Quest’ultima soluzione è spesso utilizzata nei Paesi in via di sviluppo per abbattere i costi di importazione di automobili già fatte e finite, e al tempo stesso per dare lavoro nel Paese d’arrivo. Ma andiamo con ordine, e partiamo dalla diffusissima Joint-Venture.
La Joint-Venture, collaborazione tra Case separate
La joint-venture, letteralmente “impresa, progetto congiunto”, è, com’è facile intuire, l’unione di intenti tra due o più Case per produrre un’auto insieme. Le Case sono impegnate, con diversi livelli di coinvolgimento, nella realizzazione di un’auto fin dalla piattaforma, condividendo una base giù esistente o realizzando la base meccanica ex-novo. Anche la meccanica, gli interni e la produzione sono condivise.
C’è anche un’altra opzione: spesso infatti le Joint-Venture non sono paritarie, ovvero con le Case che si occupano in maniera equa di tutti gli aspetti della produzione, anzi. Di solito, un costruttore si occupa della meccanica, uno della piattaforma e un altro ancora della produzione, ma non sempre accade così. Ma so cosa vi state chiedendo: “Cosa guadagna una Casa scegliendo di aderire ad una Joint-Venture?”
Lo svantaggio principale è, ovviamente, avere un prodotto pressochè identico a quello di un diretto competitor, e di farsi “concorrenza diretta”. La bravura della produzione in Joint-Venture però è proprio quella di saper differenziare al meglio i modelli, o ancora meglio offrire l’auto “condivisa” su diversi mercati. Un esempio? General Motors, negli anni ’90, scelse di imbandire una Joint-Venture con Suzuki, per aggiungere alla sua gamma americana modelli compatti come la Swift o la Vitara con i marchi Geo e Saturn. In questo modo, in America la piccola Swift sarebbe stata venduta come Geo Metro, e come Swift in tutti gli altri Stati. In questo caso, General Motors offrì solo di finanziare la produzione, senza modificare la meccanica.
Le Joint-Venture infatti permettono di entrare in un segmento del mercato riducendo di molto i costi, magari collaborando con degli esperti del mercato desiderato. Volete un altro esempio? La più discussa Joint-Venture in Italia negli ultimi 20 anni, quella tra Mazda e FIAT per produrre MX-5 e la 124 Spider in copertina. In quel caso, Mazda aveva bisogno di un partner per produrre la nuova Miata per abbattere i costi di produzione. Dall’altro lato, FIAT tentò la fortuna entrando nel mercato delle sportive due posti con trazione posteriore, di cui la Mazda MX-5 è la regina indiscussa. In questo caso, FIAT finanziò il progetto e scelse di utilizzare una carrozzeria totalmente originale e i suoi motori 1.4 MultiAir. Il resto della meccanica e anche la produzione era a cura di Mazda nei suoi stabilimenti di Hiroshima, in Giappone.
Il risultato, sfortunatamente, fu deludente: se la MX-5 rimane la sportiva più venduta del mondo, la 124 ha fallito la sua ambizione di diventare la piccola sportiva con gusto italiano, concludendo la sua vita commerciale dopo pochi anni dopo il debutto nel 2016. Ma non ci sono solo Joint- Venture sfortunate, anzi. Un esempio di Joint-Venture di ben maggiore successo è quella di Toyota GT86 e Subaru BRZ. Le due sportive giapponesi, sorelle sotto ogni punto di vista e prodotte (quasi) all’unisono da Toyota e Subaru, hanno portato una sportiva economica, leggera e divertente che, senza Joint-Venture, non avremmo mai potuto vedere. Dopo un discreto successo, la Toyobaru, com’è nota tra gli appassionati, è stata confermata per una nuova generazione. Toyota GR86 e Subaru BRZ arriveranno tra quest’anno e l’anno prossimo… curiosi?
Non possiamo poi non citare lo sterminato mondo dei veicoli commerciali. Per contenere i costi, infatti, tantissime Case molto diverse tra loro collaborano per produrre un van completo ed economico. I più famosi? I FIAT Ducato, Peugeot Boxer e Citroen Jumper prodotti ad Atessa, in Abruzzo, dalla Sevel e tra i più diffusi furgoni medio-grandi del mondo.
La Joint-Venture, quindi, permette di produrre modelli moderni, completi e ben realizzati senza svenarsi. Si possono così presidiare segmenti del mercato costosi e di nicchia, come quelli delle auto sportive, o segmenti redditizi ma molto costosi da realizzare, come le Citycar, i multispazio o i veicoli commerciali, oppure ancora per proporre modelli diversi dalla propria solita line-up in alcuni mercati.
Produrre un’auto su licenza e in CKD
Arriviamo alla seconda parte del nostro approfondimento, ovvero quella dove analizziamo la produzione di modelli già pronti allì’uso. Spesso infatti le aziende, per diversi motivi, decidono di comprare modelli già pronti da altre Case, da produrre o addirittura solo da assemblare.
Quando succede questo? Spesso i motivi sono principalmente economici. Una Casa che vuole affermarsi in un mercato giovane o ancora embrionale, ad esempio, spesso nel passato ha scelto di produrre un’automobile già realizzata e sviluppata da un’altro costruttore. I vantaggi? L’auto “acquistata” è collaudata, studiata e prodotta già da un’altra Casa, limitando l’investimento dell’acquirente alla sola produzione e ad eventuali modifiche estetiche o meccaniche. In Paesi in via di sviluppo, invece, si sceglie spesso di produrre auto su licenza, magari di una o due generazioni precedenti. Questo permette di avere automobili affidabili e con un prezzo d’acquisto della licenza molto contenuto. Questo porta ad un listino basso, perfetto quindi per i Paesi in crescita.
Un esempio della produzione su licenza è quello della FIAT 124, uno dei più noti a livello mondiale. La berlina italiana, realizzata nel 1966, venne scelta dall’Unione Sovietica come auto da produrre su licenza per motorizzare il Paese. Nel 1970, infatti, l‘URSS acquistò i diritti per permettere alla Avto-VAZ di produrre a Togliattigrad la 124, rinominata 2101. Una 124 con un badge diverso, quello Lada, motori più robusti e una carrozzeria più spessa, perfetta per i climi rigidi russi. In quel caso, infatti, FIAT ha ceduto la licenza alla Lada, che modificò leggermente l’estetica e la meccanica della 124, producendola dal 1970 fino al 2012. Ma FIAT fece anche di più. Addestrò gli operai sovietici, si occupò della realizzazione della fabbrica di Togliatti e realizzò persino un “vocabolario dei nuovi termini automobilistici italiano-russo”.
Un altro esempio della produzione su licenza è il mitico, ma poco conosciuto, Hyundai Galloper. Nel 1991, infatti, la Casa coreana stava tentando di ritagliarsi il suo spazio nel mercato mondiale, cercando di imporsi come costruttore di auto robuste, affidabili e dall’ottimo rapporto qualità-prezzo. Per farlo, però, servivano modelli di qualità in diversi segmenti. La Sonata, uno dei primi modelli offerti in Europa a godere di un discreto successo, sfoggiava oltre al disegno di Giorgetto Giugiaro anche una meccanica di derivazione Mitsubishi. E da questa partnership già in atto con la Casa nipponica nacque l’idea di realizzare una versione “Hyundaizzata” del mitico Mitsubishi Pajero, uno dei fuoristrada più capaci e robusti in circolazione.
Hyundai acquistò i diritti per produrre su licenza il Mitsubishi Pajero prima serie, e dal 1991 al 2003 lo propose su diversi mercati, prima con pochissime modifiche e poi personalizzandolo sempre più. Dal Pajero originale, il Galloper riprendeva gran parte della meccanica, e quindi un’incredibile robustezza e capacità fuoristrada. Di contro, però, il prezzo era più basso dell’equivalente Mitsubishi. Una produzione su licenza semplice e pragmatica, che però ha aiutato Hyundai a farsi conoscere ed apprezzare anche con la seconda serie, chiamata Terracan e basata sulla seconda serie di Mitsubishi Pajero, prodotta dal 2002 al 2007. Una storia a cui si fa fatica a credere vedendo ciò che è diventata Hyundai oggi. Ma un passo fondamentale per poter diventare la Casa di successo che tutti oggi conosciamo.
Il Complete Knock Down, per evitare dazi o produrre auto in Paesi in crescita
Chiudiamo la nostra carrellata con l’ultimo metodo di produzione di oggi, il CKD, o Complete Knock-Down, traducibile come “completamente smontato”. Questo è la tipologia di produzione meno conosciuta, ma allo stesso tempo una delle più interessanti in circolazione. Questa formula così particolare infatti consiste nell’assemblaggio da parte di un’azienda dell’intera auto, o di gran parte di essa, a partire da un vero e proprio Kit di pezzi e componenti spedite dalla Casa d’origine.
Per capire alla perfezione di cosa stiamo parlando, si può pensare al CKD come ad un Kit LEGO. Una scatola LEGO è realizzata in una fabbrica, tradizionalmente in quella di Billund, in Danimarca. Questa contiene tutti i pezzi e le istruzioni necessarie per assemblare un giocattolo, che sia questo un’auto, un Creeper di Minecraft o un monumento. Questo permette a tutti coloro che acquistano un set LEGO di costruirlo in autonomia, dovunque desiderino. Lo stesso principio è utilizzato nel CKD. Una Casa produce un vero e proprio Kit con motori, interni, scocca, trasmissione e chi più ne ha più ne metta.
Una volta prodotto tutto l’occorrente per la costruzione, questo kit viene spedito in uno stabilimento dove degli operai assembleranno il tutto, e in pochissimo tempo avranno l’auto pronta per la strada. Ma perchè viene utilizzato questo sistema, e dove? Il CKD è molto diffuso nei Paesi in via di sviluppo, o in quelli molto lontani perchè venga spedita un’automobile completa. In Sud Africa, ad esempio, gran parte del mercato interno è realizzato in CKD. La distanza è tale che è molto più economico, veloce e meno rischioso spedire un kit piuttosto che un’auto fatta e finita. BMW, Mercedes, Volkswagen e anche Alfa Romeo fino a qualche anno fa sfruttano o hanno sfruttato il CKD in nel Paese africano, dove spedire via mare le auto già fatte e finite era impensabile per costi e distanze.
Il CKD viene poi notevolmente sfruttato nei paesi meno industrializzati, principalmente quelli del Medio-Oriente e del Sud-Est Asiatico. Produrre un’auto, infatti, è notevolmente costoso. Le risorse necessarie per realizzare tutti i componenti base di un’auto, dalla realizzazione dei lamierati negli altoforni, a quella dei motori, l’ingegnerizzazione, la ricerca e sviluppo e i collaudi sono incredibilmente alte. Realizzare poi una catena di montaggio completa richiede, oltre che nuovamente molte risorse, anche conoscenze e competenze non comuni in tutto il mondo. Per questo, in Paesi con una scarsa tradizione automobilistica come ad esempio l’Iran, la Thailandia o la Malesia, si producono automobili in CKD. Questo permette di avere automobili già pronte nel proprio Paese, dare lavoro a centinaia di persone per l’assemblaggio finale ma, soprattutto, per evitare tassazioni.
Spesso infatti in diversi Paesi in via di sviluppo si cerca di incentivare l’acquisto dei prodotti locali con l’introduzione di tasse contro veicoli importati. In questo modo, ad esempio, se il costo di un’auto prodotta in Malesia è di 20.000 euro, un’auto equivalente però importata subisce un aumento del 25%, passando a 25.000 euro. Questo succede ad esempio proprio in Malesia, dove le Case locali Proton e Perodua vengono supportate dal Governo anche in questo modo. Per ovviare al problema, però, diverse Case come Mercedes, BMW, Volkswagen e altre si appoggiano ad aziende locali per produrre i loro modelli in CKD in loco. Questo porta ad un abbassamento importante dei prezzi, un taglio appunto di oltre il 25%. Ma non sono solo i Paesi in sviluppo gli unici ad aver instaurato delle tassazioni contro le auto straniere. L’esempio più famoso è quello degli Stati Uniti.
Se infatti per le auto non ci sono tassazioni di sorta, è in vigore per pick-up e veicoli commerciali un’imposta fissa, la Chicken Tax. Nata negli anni ’50 per arginare l’importazione di polli da Germania e Regno Unito, vista la crescente popolarità dei furgoni Volkswagen in America venne estesa anche ai veicoli commerciali, che da allora cominciarono a sottostare ad un prezzo maggiorato del 25%. Se però il Governo degli States bandì la tassa sul pollo nei decenni successivi, è rimasta invariata la tassa sull’importazione di pick-up e furgoni dall’estero, in vigore ancora oggi. Ed è anche per questo che i camion europei come Iveco, Volvo o Scania, o diversi pick-up europei, come il Volkswagen Amarok, non vengono nemmeno proposti in America. Con un prezzo di 1/4 superiore, sarebbe impossibile competere. Ci sono però alcune Case, anche americane, che hanno ovviato al problema ricorrendo al CKD.
Dodge, ad esempio, si accordò con Mercedes, che all’epoca faceva parte del Gruppo DaimlerChrysler, per sostituire il suo vecchissimo Dodge Ram Van con il furgone Sprinter, prodotto da Mercedes-Benz in Germania. La Chicken Tax, però, avrebbe ammazzato il van, visto che veniva prodotto a Düsseldorf. Come fare? Da Düsseldorf, lo Sprinter già modificato nell’estetica per essere a tutti gli effetti un Dodge Sprinter, veniva spedito in Kit, e poi ri-assemblato in una fabbrica appositamente creata in Sud Carolina. Semplice, ma geniale.
E le auto gemelle? E i cloni? Tutta “ciccia” per le prossime puntate!
Con questa pienissima puntata noi ci salutiamo. Come vi abbiamo anticipato la volta scorsa, la nascita di un nuovo modello di auto non è sempre così semplice come può sembrare. Tra tasse, costi di produzione, spese di collaudo e sviluppo della catena di montaggio, spesso bisogna tentare nuove vie per creare nuovi modelli. Joint-Venture, licenze e CKD sono tre di questi metodi, ma ce ne sono ancora alcuni. Le auto gemelle tra diverse Case in un gruppo, Cloni e vere e proprie copie non autorizzate. Siete pronti a scoprire altri segreti del mondo dell’auto? Non vi resta che seguire Auto for Dummies ogni venerdì, sempre qui su techprincess. Ciaoo!
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- Garuzzo, Giorgio (Autore)
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Ultimo aggiornamento 2024-10-06 / Link di affiliazione / Immagini da Amazon Product Advertising API
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