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Il filo nascosto: La gatta sul tetto che scotta di Richard Brooks

Per il nuovo appuntamento con Il filo nascosto, parliamo de La gatta sul tetto che scotta, classico con Paul Newman ed Elizabeth Taylor.

«La verità è sporca quanto le bugie!», esclama la gatta sul tetto che scotta Maggie Pollitt in uno dei tanti accesi confronti con suo marito Brick, sintetizzando il tema portante di un vero e proprio classico del cinema, adattamento dell’omonimo dramma teatrale di Tennessee Williams. Un’opera dolorosa e struggente, in cui le squallide bugie e le celate verità assumono un ruolo centrale, e trovano ulteriori sfumature nelle rigide regole della produzione cinematografica americana dell’epoca.

Nello scorso appuntamento con la nostra rubrica cinematografica Il filo nascosto, abbiamo analizzato Lolita di Stanley Kubrick, soffermandoci sui pesanti tagli applicati al testo di Nabokov resi necessari dal famigerato codice Hays, che al tempo impediva la trattazione esplicita di tutto ciò che era considerato perversione sessuale. La gatta sul tetto che scotta, distribuito nel 1958, è un esempio altrettanto lampante delle limitazioni dovute a queste severe linee guida morali. La tematica dell’omosessualità, fondamentale per il clamoroso successo teatrale, viene infatti platealmente sfumata per il grande schermo da Richard Brooks, modificando sostanzialmente il percorso esistenziale dei protagonisti.

Un forzato tradimento del testo originale che non ha però impedito al film di entrare prepotentemente nell’immaginario collettivo, grazie soprattutto alle formidabili prove di Paul Newman ed Elizabeth Taylor, capaci di raccontare attraverso i loro sguardi e i loro loquaci silenzi quello che non poteva essere espresso a parole.

La gatta sul tetto che scotta: segreti e bugie in un intramontabile capolavoro

Dopo essersi fratturato una gamba durante un’improvvisata sessione notturna di corsa a ostacoli, Brick Pollitt è costretto a una difficile convivenza con la moglie Maggie e con i parenti più stretti nella residenza di famiglia in Mississippi. Il trauma fisico riportato lo costringe all’utilizzo delle stampelle e a una sostanziale immobilità, ma è la mente dell’uomo a soffrire maggiormente. A seguito del suicidio dell’amico e compagno di squadra di football Skipper, con il quale viveva un rapporto quasi simbiotico, Brick si trova infatti in uno stato di profonda depressione, che lo porta ad assumere costantemente ingenti quantità di alcol e non gli permette di vivere una sana relazione coniugale con Maggie, che in cuor suo accusa di un tradimento avvenuto proprio con il compianto Skipper.

Nel frattempo, intorno a Brick e Maggie si sviluppano misere dinamiche familiari, causate dalla grave malattia del padre di lui, soprannominato Big Daddy (Burl Ives). L’uomo ignora di avere davanti a sé soltanto pochi mesi di vita, ma già infuria la lotta per mettere le mani sulla sua eredità. Mentre Brick è fondamentalmente disinteressato alla questione, il fratello Cooper e la cognata Mae esplicitano la loro volontà di prendere in mano le redini delle attività familiari, sottolineando anche la loro prolificità. La cosa turba profondamente Maggie, che fa notare al marito questi movimenti e reclama un figlio da lui, al momento impossibile per la prolungata astinenza sessuale fra i due. Come una gatta su un tetto che scotta, la donna è decisa a fare tutto ciò che può per non cadere. Al termine di una notte di liti e chiarimenti, emerge un rinnovato quadro familiare e sentimentale.

La gatta sul tetto che scotta e il tema dell’omosessualità

Lo stravolgimento del sottotesto omosessuale avrebbe potuto penalizzare fortemente La gatta sul tetto che scotta, trasformandolo in una sorta di versione edulcorata e depotenziata della memorabile opera teatrale. A discapito della profonda insoddisfazione di Tennessee Williams e dello stesso Paul Newman per l’adattamento, Richard Brooks e il suo co-sceneggiatore James Poe riescono a trasformare una limitazione in risorsa, incuneandosi nelle tante verità non dette del racconto e utilizzando la sessualità di Brick come un tassello di una personalità frastagliata e tormentata, davanti alla quale è impossibile rimanere indifferenti.

Anche se dal sublime testo emergono solamente il dolore di Brick per la morte di un caro amico, il suo rimorso per non essere stato presente nel momento in cui avrebbe potuto evitare la sua morte e la rabbia per il presunto tradimento di Maggie (da lei smentito), la ritrosia dei personaggi e le loro emblematiche pause nel corso di dialoghi fondamentali rendono evidente, soprattutto con la consapevolezza odierna, la vera natura del dramma interiore del protagonista. Un lavoro sull’immagine accentuato dallo status di divi di Paul Newman ed Elizabeth Taylor.

I due non hanno soltanto “costretto” la produzione a trasformare quella che avrebbe dovuto essere un’opera in bianco e nero in un film a colori, per non fare perdere agli spettatori un’occasione per ammirare una volta in più i loro splendidi e iconici occhi, ma hanno anche utilizzato la loro immagine come chiave narrativa. «Non voglio nessun altro che te. Anche con gli occhi chiusi non vedo che te. Perchè non diventi brutto, Brick? Vorrei che diventassi brutto e grasso per non farmi soffrire tanto», afferma Maggie davanti all’imperturbabile fascino di Paul Newman in una delle più strazianti dichiarazioni d’amore mai viste al cinema, avvolta in un indimenticabile vestito bianco che ha contribuito ad alimentare il mito di Elizabeth Taylor.

Il rapporto fra padre e figlio

La gatta sul tetto che scotta

Lo scontro emotivo e verbale fra Brick e Maggie rischia di fare passare in secondo piano un’altra componente fondamentale de La gatta sul tetto che scotta, cioè il rapporto dell’uomo con il padre. Dopo aver interpretato il ruolo di Big Daddy a teatro, Burl Ives compie un lavoro encomiabile anche per il grande schermo, trasmettendo la progressiva perdita di forza e sicurezza del suo personaggio. Introdotto come una figura patriarcale dominante e priva di fragilità, Big Daddy trova proprio in Brick un inaspettato intralcio ai suoi atteggiamenti da padre e marito tossico.

Con il passare dei minuti e dei dialoghi, quella che era partita come una dura reprimenda del padre nei confronti del figlio, volta a comprendere le cause del suo alcolismo e a migliorare lo stato di salute del suo matrimonio, si trasforma in una resa dei conti fra due persone che, nonostante il loro stretto legame di sangue, non sono mai state in grado di comprendersi e amarsi. Ad accentuare la perdita di ascendente e aggressività di Big Daddy arriva poi la rivelazione quasi casuale di Brick.

Nel momento in cui il padre comprende che ciò che gli era stato dipinto come un banale e transitorio problema di salute è in realtà una vera e propria condanna a morte, La gatta sul tetto che scotta evolve ulteriormente, demolendo dalle fondamenta la figura maschile e tramutandola in un coacervo di sofferenza, inadeguatezza e debolezza. Un quadro più attuale che mai, reso immortale da una sopraffina scrittura e da un cast in stato di grazia.

Gli schemi sociali e gli intrighi familiari

La gatta sul tetto che scotta

Altrettanto interessanti sono i raggelanti schemi familiari e sociali che emergono da La gatta sul tetto che scotta, ben rappresentati dai mediocri cognati di Maggie e dal loro apparentemente felice nucleo familiare, in cui i figli sventolano felicemente e inconsapevolmente la bandiera confederata e i genitori orchestrano complotti per impossessarsi del patrimonio di famiglia, arrivando addirittura a origliare i discorsi di Brick e Maggie per provare le loro difficoltà in camera da letto. Proprio Maggie rappresenta l’altra faccia della stessa ipocrita medaglia. La donna è infatti schiacciata dal peso dell’aspettativa sociale, che la identifica nel ruolo di madre e moglie devota; al contrario dei cognati però, non ricorre a bugie e sotterfugi per prendere ciò che ritiene sia suo, ma ne parla invece apertamente, esponendo il suo piano alla luce del sole, mantenendo così una propria fragile integrità morale.

I due elementi alieni a questo desolante quadro sono lo stesso Brick, che dall’abisso esistenziale in cui è caduto ammette candidamente di non avere più nulla da reclamare o desiderare, e Ida “Big Momma” Pollitt, apparentemente ignara della fitta rete di intrighi intorno a lei e persino del triste destino del marito, rinchiusa nell’invisibile prigione di un matrimonio ormai spento, in cui la rassegnazione e la sopportazione hanno preso lentamente il posto dell’amore e della passione. Il simbolo di una società talmente assuefatta dalla preoccupazione per ciò che si deve mostrare all’esterno da mettere in secondo piano la propria essenza e il proprio benessere interiore.

La gatta che vuole rimanere sul tetto che scotta

Richard Brooks sfrutta nel migliore dei modi la forza del testo teatrale, dando vita a quella che è sostanzialmente una lunga serie di duelli verbali e sentimentali, in cui è difficile trovare un vero vincitore. Un’opera in cui la parola e i suoi interpreti occupano un ruolo preponderante, e alla quale basta una manciata di interni per mettere in scena un teatro sociale e familiare da cui si esce annichiliti e profondamente turbati, anche a più di 60 anni di distanza.

Mentre la fine di Big Daddy e il destino del suo patrimonio rimangono fuori campo, è Brick a ritrovare la serenità perduta e a illuminare nuovamente il suo matrimonio, al termine di una notte impossibile da dimenticare. «È finita con le bugie e i bugiardi, in questa casa. Chiudi a chiave», dice Paul Newman, in un finale altamente simbolico, solo apparentemente più benevolo e conciliatorio rispetto all’opera teatrale. A ben guardare infatti, ciò che a breve si consumerà nella camera di Brick e Maggie è ancora una volta una maniera per trasformare un’accettabile bugia (la falsa gravidanza di lei) in una labile verità.

Sarà una tregua momentanea dalle falsità o una pace duratura all’insegna della sincerità? Ancora oggi, difficile dare una risposta a questa domanda, perché in fondo siamo tutti come Maggie, gatti in precario equilibrio su un tetto rovente ma comunque desiderosi di rimanerci il più a lungo possibile.

La gatta sul tetto che scotta

Il filo nascosto nasce con l’intento di ripercorrere la storia del cinema nel modo più libero e semplice possibile. Ogni settimana un film diverso di qualsiasi genere, epoca e nazionalità, collegato al precedente da un dettaglio. Tematiche, anno di distribuzione, regista, protagonista, ambientazione: l’unico limite è la fantasia, il faro che ci guida è l’amore per il cinema. I film si parlano, noi ascoltiamo i loro dialoghi.

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Marco Paiano

Tutto quello che ho imparato nella vita l'ho imparato da Star Wars, Monkey Island e Il grande Lebowski. Lo metto in pratica su Tech Princess.

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