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Era Ora: com’è il film Netflix con Edoardo Leo

Il tempo vola, si dice spesso. Per qualcuno però letteralmente scorre veloce come un lampo, senza lasciare ricordi impressi nella mente. Lo stress da lavoro, la vita sregolata, problemi psicologici. Tutte potenziali motivazioni che non sembrano essere la causa delle amnesie di Dante, un Edoardo Leo convincente fino a un certo punto in Era Ora. Il nuovo dramedy Netflix uscito lo scorso 16 marzo che cerca di far riflettere su alcune delicate tematiche quotidiane, ma con una trama e una regia che ci hanno scarsamente soddisfatto. Trae spunto inoltre dal film australiano del 2021 Come se non ci fosse un domani (Long Story Short), pellicola sconosciuta ai più, un segnale premonitore di scarso successo anche per questo nuovo film, a nostro avviso. Tutte le motivazioni nella nostra recensione.

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Era Ora, una storia “senza tempo”

La fine fa paura, sin dall’inizio. Quante volte ci siamo soffermati a pensare a quanto ci si avvicini sempre più inesorabilmente alla vecchiaia, al tempo che passa, anche se magari si è ancora in forze e si ha dalla propria la gioventù? La verità è che il tempo vola, ma Dante non se ne accorge. Letteralmente. Ogni giorno che noi vediamo sullo schermo è quello del suo compleanno. Ma noi, come lui, non sappiamo cosa succede da un anno all’altro.

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Così si ritrova prima a scambiare la sua fidanzata per un’altra donna, Alice, con la quale va a convivere, poi ha una figlia, Galadriel, a testimoniare la passione di Alice per il Signore degli Anelli e l’amnesia di Dante sul perché non abbia impedito che la figlia si chiamasse così. Poi però c’è anche una promozione sul lavoro a direttore, la relazione con la segretaria Francesca (Francesca Cavallin), Alice che nel frattempo se n’è andata dopo sedute di coppia andate male e la sua nuova convivenza con Omar, il terapeuta buddista. Senza dimenticare il cancro del fratello o l’Alzheimer del padre. Tutto questo il giorno del suo compleanno, anno dopo anno, dal 2010 al 2019.

La recensione di Era Ora, dramedy Netflix con Edoardo Leo

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Dante però non sa cosa succede nel frattempo, non ne ha la minima idea. Non si accorge di nulla e non sa nemmeno perché tutto questo stia accadendo senza che lui abbia la minima memoria. Vive come in una dimensione parallela, dove a un certo punto, sempre il giorno del suo compleanno, si risveglia da una sorta di bolla e prende coscienza di quanto stia succedendo intorno a lui.

Se nella vita quotidiana intraprende una relazione con Francesca, il giorno del suo compleanno sostiene di amare ancora la sua ex Alice. E così via, perdendo la cognizione del tempo, non capendo perché perfino l’arredo di casa sua sia cambiato o Alice ormai frequenti un’altra persona.

Una vita di fretta, come la scrittura e la regia

Tutto cambia e non ce ne rendiamo conto, o forse lo comprendiamo più tardi, troppo tardi. La vita scorre inesorabilmente, e non ne possiamo nulla a volte. Altre volte invece dovremmo, potremmo intervenire, ma siamo troppo presi dal turbinio del quotidiano che ci avviluppa. Dante pensa che il problema sia addormentarsi, e che tutto cambi prima del suo risveglio. Il cambiamento però avviene anche di fronte ai suoi occhi.

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E di tutto questo girotondo, solo una cosa sembra voler rimanere stabile: l’attaccamento folle di Dante al lavoro. Oltre al suo amore per Alice. Due sono le costanti in questo film di circa due ore, durante le quali però il senso di fondo ci sfugge per i primi trenta o quaranta minuti. Siamo sempre in attesa di una spiegazione che non arriva, un momento in cui ci possa essere almeno un’epifania, una chiarificazione dell’accaduto anche in termini poetici e con scelte registiche un poco ricercate.

Possiamo forse ritrovare questo momento nella mostra di quadri che Alice aveva realizzato in memoria del suo passato, nel quale torna sempre la presenza di Dante. Ma non è sufficiente. Era Ora è un’esortazione che sembra voler trovare uno sfogo, ma che di fatto è assente in questa pellicola. Un momento culminante di cui siamo sempre in attesa, ma che non trova quel climax ascendente chiaro ed evidente che avremmo voluto.

Il più bello arriva sempre sul finale?

I personaggi sono tratteggiati allo stesso modo di come è stata gestita la trama: sommariamente. Di Dante non sappiamo nulla di veramente personale, se non che lavora parecchio, o così capiamo, visto che di effettivi momenti di lavoro estenuante non c’è l’ombra. Il santone Omar, interpretato da Raz Degan, è solo una comparsa di qualche minuto, che non lascia il segno che avrebbe dovuto, come spesso cercano di fare gli attori a cui è dedicato solo un breve cameo. Nulla di indimenticabile, anzi.

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Francesca Cavallin rimane una macchietta stereotipata, la segretaria nevrotica e un po’ algida che intrattiene una breve relazione con il capo, da lei poi terminata (due volte) con una sceneggiata classica e poco significativa ai fini della storia. Anche qui nessuna rivelazione simbolica. Forse il vero momento di crasi sta nel breve, ultimo discorso che il padre di Dante fa al figlio, prima che l’Alzheimer lo porti via.

Forse è davvero questo il punto di rottura e il giro di boa che invita Dante a riflettere davvero su quanto ha perso, e sul fatto di doversi riprendere il tempo perduto prima che sia troppo tardi anche per suo fratello e per la famiglia che sta cercando di ricostruire.

La recensione di Era Ora in pillole

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Un tentativo andato male, quello di Era Ora. I messaggi che ci vuole inviare sono diversi, interessanti, toccanti per certi aspetti. C’è la denuncia sottesa del burnout, che stavolta ti porta a dimenticare di vivere il presente, la sensazione di scollamento con la vita reale e di sentirsi avviluppati in maniera sempre più deleteria e annichilente dal proprio lavoro. La lontananza dagli affetti più cari e il completo distacco dalla realtà e da quanto ci circonda, così come il compimento di azioni di cui non abbiamo nemmeno memoria sono aspetti affrontati in maniera leggera e poco significativa da parte della regia.

Quest’ultima appare a tratti anche confusa, come se volesse sperimentare delle inquadrature diverse dalla classica figura intera o piano americano, ma solo in pochi sparuti momenti. Uno scollamento e una mancanza di coerenza con il resto del lavoro che si fanno sentire, sia nella regia, sia nella trama, sia di conseguenza nel risultato complessivo. A fronte di questa confusione ed eccessivo pressapochismo, la domanda che ci rimane quando si chiude il sipario al minuto 108 è: “In fondo, Era Ora di cosa?

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