I meme sono importanti nuovi tasselli del linguaggio dei social media. Il loro scopo è solo quello di strapparci un sorriso o stanno cambiando il modo in cui discutiamo? Qual è l’impatto che questo nuovo alfabeto ha sul modo in cui discutiamo online? Con questo articolo vogliamo sollevare questi quesiti importanti sulla nostra società, per poi evitare di rispondere ed inserire invece un sacco di meme.
Cos’è un meme?
Chiunque abbia familiarità con i social network e passi un po’ di tempo online ha un’idea di cosa sia un meme. Ma darne una definizione è più complicato di quanto sembri. Si finisce per dire qualcosa come “ma sì, è tipo una foto su internet che prende in giro qualcuno”. Il concetto di meme (che deriva dal grego “mimisi”, che significa “imitazione“) però è nato in ambito accademico in un libro sull’evoluzione di Richard Dawkins, “Il gene egoista”.
- Dawkins, Richard (Autore)
Dawkins scrive “I meme (unità distinte di conoscenze, gossip, battute e quant’altro) stanno alla cultura come i geni stanno alla vita. Come l’evoluzione biologica è guidata dalla sopravvivenza dei geni più forti nel pool genetico, l’evoluzione culturale può essere guidata dai meme più di successo“.
Dopo aver letto questa citazione potreste aver pensato:
Quindi ora la smettiamo citare scienziati e ci accontentiamo di un esempio. Un meme di successo (e che ci piace molto) viene da una scena del cartone animato “Futurama“. In questa scena il protagonista Fry, un ragazzo che è rimasto ibernato mille anni ed ora vive nell’anno 3000, sta comprando un EyePhone, un dispositivo da inserire nell’occhio. Il commesso sta cercando di spiegargli le implicazioni per la sua salute e privacy quando Fry lo zittisce per dirgli:
“Stai zitto e prendi i miei soldi!” è solo un pezzetto, un gene della storia che vi ho introdotto brevemente e che continua per altri 20 minuti di gloriosa animazione. “Memeficarla” significa prendere soltanto l’immagine e il testo, privandola del contesto in cui si trova e riproponendola in un altro ambito.
Possiamo ad esempio usare quest’immagine per commentare il design di PlayStation 5. Chi legge il nostro commento capirà cosa vogliamo dire (in questo caso, “non m’importa se il design è strano, dammi la Play!”) e troverà la battuta più divertente se conosce il contesto originale della scena.
In sostanza, nell’era dei social un meme è un linguaggio che usa come alfabeto testo, immagini, video, GIF e ha per grammatica la conoscenza della cultura pop (film e serie TV, ma anche tweet e foto su Instagram).
Un meme per ogni occasione
Con in testa il riferimento culturale possiamo memeficare qualsiasi situazione. Ad esempio, prendiamo il celebre meme del “Travolta Confuso“, tratto da una scena di Pulp Fiction.
Si può usare questo pezzo di pop culture per commentare i meccanismi arcani di Windows.
Oppure per fare satira su un argomento della vita sociale o politica, che nel nostro esempio lasceremo vago per evitare che ci insultiate su ogni ogni nostro canale social.
Possiamo infine utilizzare la confusione del buon Travolta per scagliare tutto il nostro sarcasmo contro un’ottima testata online che cerca di raccontare un fenomeno sociale.
Le possibilità sono infinite. L’immagine o la GIF di Travolta sostituiscono la parola “confuso”. Con questa immagine diventata parola, questa unità minima del pensiero possiamo scrivere qualsiasi battuta o commento immaginabile.
La forza della viralità
La forza di un meme sta nella sua immediatezza. Sfrutta conoscenze pregresse per essere il più diretto e rapido possibile. Se qualcuno non capisce il riferimento dovrà cercarsi da solo il contesto più ampio: i meme sono fatti per comunicare con “quelli che sono sul pezzo”. Che saranno gratificati, perché sapranno di far parte di un gruppo qualificato.Grazie ai meme si può ricreare l’equivalente online delle “battute interne” fra un gruppo di amici, quelle che gli altri non potrebbero mai capire. Questo è possibile perché l’utilizzo dei meme crea un senso di comunità con le proprie regole e i propri riferimenti culturali.
Per lo stesso motivo i meme sono molto efficaci per la satira, anche se in forma nuova. Una vignetta satirica sulla prima pagina di un giornale ha bisogno che si leggano le notizie per essere capita, un meme no. E questo può avere impatti positivi sul discorso pubblico: se si denuncia un problema che è impellente, non c’è bisogno di un contesto. Ad esempio quando l’Accademia della Crusca affronta il problema dei congiuntivi.
Meme che fanno male
Non tutto può essere decontestualizzato senza conseguenze. Se prendere in giro la PlayStation 5 può essere fatto senza pensare troppo alle ripercussioni ma non sempre è così. La memeficazione del dibattito pubblico è una questione che ha un impatto sempre maggiore sulla nostra società. I social media sono diventati i luoghi dove si discute di diritti e libertà. Sono le piattaforme preferite di politici e militanti. Sono i luoghi dove sempre più persone si informano e dibattono.
Il giornale online The Coversation riporta questo tweet riguardo un referendum sul sistema elettorale nella British Columbia, una delle province canadesi.
In support of @FairVoteCanada 's efforts to relate to the youth with an edgy meme contest.
Enter below #2cool4fptp https://t.co/Mw42czETOj pic.twitter.com/rRswRTpVZw
— BCYouth4pr (@youth4pr) August 18, 2018
Questa immagine è in sostegno del sistema proporzionale, anche se sembra soprattutto suggerire che l’intera British Columbia è una provincia cafona. Ma il punto non è la chiarezza, è l’immediatezza. Non l’inizio di una discussione ma la proclamazione di un’idea. Il sistema proporzionale è sexy.
Il problema della satira senza contesto è proprio questo: conferma un giudizio che già abbiamo trasformandolo in una battuta. E non deve rispondere a nessun dato di fatto.
Non devono essere per forza bot russi che vogliono diffondere fake news. Può essere il prodotto, per esempio, di una persona che vuole fare una grafica da mandare ai propri amici in battuta, che viene poi condivisa e decontestualizzata. Mettiamo che questa persona voglia prendere in giro l’amico che lavora in biblioteca scrivendo “Istat: un bibliotecario su tre è un serial killer”. Se condivisa con qualcuno che non capisce la battuta, potrebbe sviluppare una paura irrazionale nei confronti dei libri.
Pensiamo in meme?
Il punto non è capire se i meme sono il Bene o il Male. Sono un linguaggio, come l’italiano. E un linguaggio può essere usato con qualsiasi fine: i Promessi Sposi sono scritti nella stessa lingua che ha emanato le leggi razziali.
La domanda vera è: il nostro linguaggio cambia il modo in cui pensiamo? Non vi preoccupate, non vogliamo fare un discorso filosofico. Wittgenstein non si capisce nemmeno spiegato usando solo dei meme.
Ci sono tuttavia dei dati che suggeriscono che la soglia media dell’attenzione si è abbassata con l’avvento di smartphone e social network. E si stanno moltiplicando anche gli studi che vedono un legame fra il discorso online e la polarizzazione della politica. Può darsi che usare i meme per comunicare ci porti a prediligere solo concetti che possano essere espressi in due righe, magari accanto alla fotografia di cane dalla faccia perplessa?
La risposta estesa a questa domanda è: “Questa tesi è basata solo su dati scollegati e conclusioni prese a priori. I cambiamenti sociali sono fenomeni complessi e meritano di essere contestualizzati. Mettere il link a un paio di articoli accademici non sostituisce gli anni di ricerca sociologica necessari a rivelare questi cambiamenti.”
La risposta meme è:
I meme sono quindi una risorsa potente per suscitare risate e formare un senso di comunità online. Tuttavia è impossibile fondare un dialogo costruttivo sulla confusione di John Travolta. Quando siamo in cerca di informazioni e di confronto dovremo faticare un po’ di più e andare a scoprire il contesto. Solo a quel punto potremo riassumere tutti i nostri sforzi intellettuali nel meme più epico che riusciamo ad immaginare.
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