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No Time To Die: la chiusura della gloriosa era di Daniel Craig

La giusta funzione di un uomo è di vivere, non di esistere. Non è un caso che l’attesissimo 25esimo capitolo della saga di James Bond, dopo i ritardi legati alla pandemia, si concluda con una frase attribuita a Jack London, le cui storie d’avventura sono state influenti per molti della generazione del suo autore, Ian Fleming, che ha ovviamente trovato ispirazione in loro così come nel suo sguardo sulla vita. 

No Time to Die rappresenta il quinto e ultimo lavoro di Daniel Craig come l’agente segreto 007; in 15 anni di grande successo, si deve a lui gran parte del merito per averlo tenuto in vita in maniera ineccepibile, per averlo umanizzato, per avergli donato più complessità di quanta ne avesse mai avuto, inserendolo nella nostra contemporaneità. 

No Time To Die: la recensione del nuovo capitolo di James Bond

No Time To Die

No Time to Die ci riporta non solo nella vita di un James Bond in pensione, e in stato di grazia apparente – Bond è in vacanza in Giamaica, un luogo appropriato, dato che Ian Fleming ha scritto i suoi romanzi lì – ma anche all’interno del rapporto di Bond con Madeleine Swann (Lea Seydoux). La sua lunga vacanza viene interrotta proprio da Felix Leiter (impersonato nuovamente da Jeffrey Wright), che lo vuole con sé per una missione: salvare lo scienziato rapito Waldo Obruchev.

Missione a cui Bond decide di partecipare, e che si rivela solo la punta dell’iceberg di una minaccia molto più grande, portata avanti dal terrorista Lyutsifer Safin (Rami Malek) attraverso una pericolosissima tecnologia, che si comporta esattamente come un virus.

No Time To Die: Daniel Craig torna al cinema con il suo James Bond

No Time To Die

Diretto da Cary Joji Fukunaga, No Time To Die mette in evidenza le sue grandi doti di narratore. Il regista realizza un ottimo lavoro nella misura in cui riesce a calibrare l’azione e la storia d’amore, non lasciando mai il pubblico senza omaggi e riferimenti ai precedenti film di Bond. C’è molta innovazione in questo capitolo di 007, come il senso del tempo che cambia, il dolore e la posta in gioco emotiva, come anche molti temi che ritornano, ben presenti nei film precedenti, l’epica, il pathos, la commedia, e acrobazie spettacolari.

È la chiusura di un cerchio, che da Casino Royale ci conduce sino a Quantum of Solace, Skyfall e Spectre, attraverso l’esplorazione del passato di un personaggio che è sempre vissuto nel presente. Fukunaga ha collaborato con i veterani dei film di Bond, Neal Purvis e Robert Wade, e Phoebe Waller Bridge per la scrittura della sceneggiatura; No time To Die diventa la seconda possibilità di James Bond per assaporare la felicità, quella felicità che gli è sfuggita tra le mani.

Daniel Craig in una delle sue interpretazioni più commoventi dell’agente 007

No Time To Die

Daniel Craig si è distinto per essere lo 007 più vulnerabile: il suo Bond è sensibile, sanguina, è febbrile, e ha cicatrici visibili e ben distinte. Sean Connery sarà sempre apprezzato per aver dato alla luce il personaggio, ma è con Daniel Craig che finalmente James Bond ha uno spessore, una complessità che gli ha permesso di crescere.

Nell’ultimo e più commovente lavoro dell’attore britannico, James Bond fa il punto della sua vita, del suo passato, delle sue ferite: e così No Time to Die diventa una storia sulla necessità di lasciarsi alle spalle il passato. Sebbene diversi Bond siano andati e venuti prima, nessuno di loro ha mai avuto davvero bisogno di fare un inchino – metaforico – al pubblico, alla storia, all’autore, al personaggio. Questo James Bond lo fa, con i suoi tempi, proustiani e tortuosi, con il suo stile, con la sua postura di sempre, senza mai spingere troppo sull’acceleratore, d’altronde ha tutto il tempo del mondo. 

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