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Le stampanti 3D in orbita con SpaceX

La stampa tridimensionale con leghe metalliche accelera lo sviluppo di nuovi razzi (e rende più semplice andare in orbita)

Le stampanti 3D stanno semplificando la produzione di moltissime prodotti e componenti, compresi quelli per la costruzione di razzi da lanciare in orbita. Anche la più sofisticata delle ingegnerie può sfruttare i nuovi metodi di stampa per semplificare i lanci. E il vantaggio non è solo economico: la stampa 3D permette di accelerare la ricerca che porta gli astronauti fuori dalla nostra atmosfera.

Le stampanti 3D semplificano lo sviluppo dei razzi spaziali

La “space economy” sta crescendo a un ritmo che, fino a qualche anno fa, nessuno avrebbe mai creduto possibile. Dal turismo spaziale al lancio di satelliti per internet, il numero di razzi lanciato negli ultimi anni continua a salire. E con la corsa verso Marte nel pubblico e ai servizi satellitari nel privato, manderemo in orbita (o anche oltre) tantissimi velivoli spaziali.

Quindi la tecnologia dei motori e propulsori dei razzi migliora in continuazione. Ma se le simulazioni al computer possono aiutare a commettere meno errori, chi segue le avventure spaziali di aziende come SpaceX sa che le esplosioni sono molto più comuni di quanto si voglia credere. Il ricercatore dell’Università del Surrey Oliver Hitchens spiega che nell’ambiente si chiamano RUD: Rapid Unscheduled Disassembly, uno smontamento rapido e non previsto.

Ma le esplosioni, per quanto frustranti e a volte spettacolari, fanno parte del processo. Non c’è altro modo per testare un sistema di lancio che provarlo. Quindi il ciclo di solito è: costruire un propulsore, testarlo, capire perché è esploso e poi ricominciare.

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Tantissime ore di lavoro non solo teorico ma anche in fase di costruzione. Che possono ridursi grazie alla stampa tridimensionale.

Stampa tridimensionale di metalli resistente al calore

Finché le stampanti 3D potevano usare solamente delle plastiche, sarebbe stato impensabile utilizzarle nella costruzione dei razzi. Questi oggetti stampanti in 3D devono sopportare sollecitazioni strabilianti: i propulsori dei razzi generano un’energia comparabile a quella di una tonnellata di TNT che esplode. Le temperature arrivano fino a 8.000 gradi Celsius. Ma la stampa tridimensionale ha fatto passi da gigante non solo per la qualità delle stampe e la precisione degli ugelli, ma anche per i materiali utilizzabili.

La possibilità di utilizzare leghe metalliche resistenti al calore rende molto più veloce il processore di tentativo-esplosione così essenziale per costruire razzi funzionanti e sicuri per i nostri astronauti (o per lanciare satelliti). Strutture che prima dovevano essere montate partendo da centinaia di pezzi e semilavorati, ora possono essere stampate in pochi giorni.

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Razzi e stampanti 3D: semplificare un processo davvero complesso

I motori e propulsori che vediamo esplodere durante i test richiedono un lavoro davvero immenso. Di solito, ci vogliono tre anni per riuscire ad avere un sistema di lancio funzionante e sicuro per l’uso commerciale o per le missioni spaziali. Questo perché sono motori terribilmente complessi. Il motore F-1 del Saturn V che lanciò Neil Armstrong sulla Luna nel 1969 aveva ben 5.600 componenti. Molti dei quali arrivavano da fornitori diversi, altri che dovevano essere saldati a mano oppure avvitati manualmente.

Per rendere le missioni spaziali più frequenti e meno complicate, diventa necessario sveltire il processo di costruzione. Per farlo, uno degli obiettivi è ridurre il numero di parti. Questo non solo riduce il tempo di assemblaggio ma evita che ci siano problemi con la supply chain, qualcosa che tutte le agenzie spaziali hanno dovuto gestire negli ultimi due anni.

Chi costruisce razzi sta quindi puntando su un processo chiamato “sinterizzazione laser selettiva“. Si tratta di un processo utilizza della polvere di metallo che viene riscaldata da un laser e fusa in alcuni punti. Fatto questo, si aggiunge un altro strato di polvere di metallo, e così via fino a costruire l’intera parte. Questo permette di sfruttare i laser per creare parti complesse e su molti livelli. Potete vedere come funziona nel video qui sotto.

Quello che prima richiedeva diverse parti, da diversi fornitori, ora può essere costruito nello stabilimento dove si assembla il razzo in pochi giorni. Inoltre, dovendo utilizzare meno bulloni, viti e parti fissanti aiuta a ridurre il peso totale del razzo.

La differenza è abissale: ricostruire oggi il motore F-1 dell’allunaggio richiederebbe solo 40 parti, invece che 5.600. Nessuna compagnia ha in programma di ridurre i pezzi a uno solo, ma sono stati fatti dei grandi passi per l’innovazione spaziale. Forse non grandi come il celebre passo di Neil Armstrong, ma comunque enormi.

Un razzo stampato in 3D

Al momento stampare un intero razzo in 3D resta impraticabile. Ma la tecnologia sta correndo velocemente nel campo della stampa 3D. E sembra evidente che tutte le principali agenzie spaziali stiano andando in questa direzione. Il settore privato in particolare sembra interessato all’abbassamento dei costi che comporta questa tecnologia. Aziende come Rocket Lab in Nuova Zelanda utilizza regolarmente la stampa tridimensionale per i motori e Relativity Rocker nel Regno Unito la utilizza per tutto il razzo, sebbene poi assembli le varie componenti con un team di ingegneri e operai.

Lo “smontamento rapido non programmato” delle esplosioni sarà sempre più veloce del complesso lavoro di progettare e costruire un razzo. Ma la stampa 3D sta riducendo il lavoro necessario per la costruzione. E rende andare in orbita un poco più semplice, ogni giorno.

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Source
The Conversation

Stefano Regazzi

Il battere sulla tastiera è la mia musica preferita. Nel senso che adoro scrivere, non perché ho una playlist su Spotify intitolata "Rumori da laptop": amo la tecnologia, ma non fino a quel punto! Lettore accanito, nerd da prima che andasse di moda.

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