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Pinocchio: Guillermo del Toro ridà vita (finalmente) al burattino di legno

Mimic, Hellboy, Pacific Rim, Crimson Peak, La forma dell’acqua, la trilogia de Lo Hobbit, La fiera delle illusioni. E ancora la partecipazione in Death Stranding di Hideo Kojima, per passare dal cinema al comparto videoludico. Questi sono solo alcuni, piccoli accenni al palmarès cinematografico di Guillermo del Toro, che torna sugli schermi, questa volta dello streaming di Netflix, con un titolo che sta scaldando il cuore di parecchi abbonati. Parliamo della sua lettura di Pinocchio, un film realizzato in stop-motion che ha visto la luce lo scorso 4 dicembre. Un progetto che è stato da sempre molto a cuore per il regista, come ha dimostrato la sua performance complessiva e il successo di riproduzioni sulla piattaforma, posizionandolo attualmente nella top ten dei film più visti. Seguiteci nella nostra recensione per scoprire insieme le nostre opinioni in merito.

Pinocchio di Guillermo del Toro, il ritorno di un burattino umano (e un po’ dark)

Cominciamo dalla sinossi di questa storia, che per quanto possiate pensare di conoscere, è sempre interessante leggere l’intreccio stabilito da ciascuna versione proposta. Siamo dunque in Italia, dove facciamo la conoscenza di Geppetto e del suo unigenito Carlo, durante la Prima Guerra Mondiale. In questo quadro di oltre cent’anni fa, scopriamo che Geppetto, rinomato falegname, sta lavorando alla rappresentazione del Cristo Crocifisso nella chiesa del suo paesello. Il figliolo è affascinato da queste creazioni, talmente tanto da rimanere impalato troppo a lungo a fissare il crocifisso mentre le bombe lanciate dall’alto colpiscono per errore proprio la chiesa.

Il tempo passa, ma non per l’inconsolabile Geppetto. Così scopriamo, attraverso la voce del Grillo Parlante, che nemmeno stavolta perde l’occasione di mettere in mostra la sua proverbiale supponenza, come l’ormai anziano falegname abbatte il pino che era nato dall’ultima pigna tenuta fra le mani di Carlo, ora sovrastante la sua sepoltura. Con questo legno, realizza un burattino a immagine e somiglianza del piccolo, e per magia, la notte in cui il burattino era stato terminato, appare lo spirito del bosco che aveva ascoltato la disperazione del vecchio falegname. Esaudisce dunque, in qualche modo, il suo desiderio di riavere il figliolo, regalando il dono della vita al burattino.

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Un pezzo di legno che si anima in una nazione flagellata dal fascismo, a quasi venticinque anni dalla scomparsa di Carlo. Già da questi tratti, comprendiamo come si delinei la vicenda legandosi a doppio filo con la sequenza di fatti storici realmente accaduti, e che non rimangono passivamente sullo sfondo, ma interferiscono con essa.

Una nuova lettura, tra il fascismo e la fatica di crescere

Questa nuova chiave di lettura della favola di Collodi prende dunque una determinata ispirazione dal lavoro di Gris Grimly, prendendo le distanze, sia in termini artistici, sia in termini di successo riscosso, dal recente film di Zemeckis, sempre dedicato a questo personaggio di fantasia.

L’approccio è dunque diverso, in una versione sicuramente fresca, inedita, anticonformista e con immancabili tinte dark, per trasmettere messaggi crudi e diretti. Come aveva già fatto, del resto, nel sopracitato Labirinto del Fauno con il regime di Francisco Franco e ne La Forma dell’Acqua circa la guerra fredda. Ora è il fascismo italiano a diventare vittima del suo attacco su pellicola, affiancando questo messaggio però a quello più roseo della libertà, attraverso le scelte compiute dal burattino.

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Pinocchio infatti sperimenta diversi momenti tragici e complessi per poter migliorare la sua percezione del mondo circostante, proprio come accade a qualsiasi bambino e ragazzino in fase di crescita. Personaggio, tra le altre cose, che gode nella sua versione originale del doppiaggio di Gregory Mann, accanto a un ensemble di voci di tutto punto. Nel cast di Pinocchio di Guillermo del Toro si contano infatti i nomi di Tilda Swinton, Cate Blanchett, Finn Wolfhard e Ewan McGregor, solo alcuni tra i formidabili attori. Non meno importanti le scelte nella localizzazione italiana, con Ciro Clarizio, nel doppio ruolo di Pinocchio e Carlo (nome scelto dal regista per omaggiare Collodi), Pasquale Anselmo e Bruno Alessandro.

Una favola…immortale

Infine le scelte narrative legate a Pinocchio di Guillermo del Toro, che cerchiamo di analizzare senza anticipare troppo a coloro che ancora non hanno avuto il piacere di vedere questo lavoro. Una delle più importanti variazioni sul tema sono dettate dall’assenza dell’Isola del Piacere, dove il burattino si trasforma in un asino. Al suo posto, Pinocchio viene arruolato nell’esercito giovanile di Mussolini, insegnandogli ad attaccare e uccidere.

Uccisioni che conferisce e che subisce a sua volta, più volte, conducendolo a un incontro faccia a faccia con la Morte stessa, scoprendo così la sua immortalità. Un cambiamento troppo forte per i più piccoli, soprattutto per coloro che già conoscono la versione disneyana della favola, e anche per qualche adulto conservatore o suscettibile. Non neghiamo che anche noi siamo rimasti colpiti da questa riscrittura audace, ma a volte necessaria, e in parte auspicabile da parte di un autore come del Toro.

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La recensione di Pinocchio di Guillermo del Toro in pillole

Pinocchio di Guillermo del Toro rincara la dose di quel gusto dolceamaro che la favola ha già nella sua versione originale, ma che qui subisce una decisa amplificazione. Vengono sottolineate sfumature classiche, ma con un intreccio diverso e originale, che colloca questo Pinocchio in un’Italia “d’altri tempi”, ma ben diversa da un’altra rilettura in chiave animata com’era successo con Bruno di Disney+. Tutto il film racconta di pericoli e malinconia, proponendo uno sguardo alla realtà trasmettendo paure e che mettono a repentaglio il lato più dolce della vita. Del Toro sa gestire i sentimenti, equilibrando il tutto in maniera delicata e mai esagerata. Il tutto reso con una grafica sicuramente pregna di simbolismi e rappresentazioni ben fatte dei personaggi, con citazioni e messaggi, anche impliciti, sottili e carichi di espressività.

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