Non c’è dubbio che una buona fetta del merito per il rinnovato interesse intorno all’ambito aerospaziale sia da attribuire alla crescita e alle aspirazioni di SpaceX. Ma l’azienda di Elon Musk e Gwynne Shotwell non è l’unico attore privato importante in circolazione: anche la neozelandese Rocket Lab, con i suoi razzi Electron, sta infatti lasciando il segno sia a livello commerciale che tecnologico. Andiamo quindi a conoscere questa azienda e il suo approccio diverso ma forse più efficace allo spazio.
Non chiamatela SpaceX neozelandese
Per quanto la tentazione di paragonarle sia forte e in parte giustificata, Rocket Lab e SpaceX sono due compagnie molto diverse. Se quest’ultima è infatti spinta da una visione quasi idealistica dello spazio, la prima si comporta invece come una vera e propria azienda.
Questo non vuol dire che SpaceX non pensi ai profitti, anzi. Con il suo modello di riutilizzo dei vettori e i suoi design moderni è infatti riuscita a rendere i suoi voli molto più economici delle soluzioni di NASA o di altre agenzie spaziali. I suoi progetti, però, prevedono una crescita dei razzi in termini di potenza e di capacità, con prima il Falcon 9, poi il Falcon Heavy e presto Starship. L’obiettivo finale è inoltre chiaro: SpaceX punta a diventare la prima azienda per quanto riguarda il volo umano, e le altre attività, come il lancio di satelliti e la costellazione Starlink, sono importanti ma ancillari.
È in questo scenario che entra in gioco Rocket Lab con i suoi razzi Electron.
Gli inizi di Rocket Lab
La storia di Rocket Lab inizia nel 2006 con gli neozeolandesi Peter Beck, CEO e CTO, e Mark Rocket, il principale investitore e co-direttore fino al 2011. Così come SpaceX ha iniziato il suo percorso con il piccolo Falcon 1, anche quest’azienda ha approcciato gradualmente il campo aerospaziale.
Gli obiettivi e le ambizioni di Rocket Lab l’hanno presto portata allo sviluppo di un vero e proprio vettore capace di raggiungere l’orbita terrestre. Dopo uno spostamento nel 2013 della registrazione ufficiale dalla Nuova Zelanda agli USA, l’azienda ha infatti portato avanti e ultimato la realizzazione di Electron, attualmente il suo principale (e unico) modello di razzo capace di portare satelliti in orbita.
Il primo volo commerciale, avvenuto l’11 novembre 2018 e chiamato in maniera appropriata “It’s Business Time”, ha segnato l’inizio una serie di undici voli portati a termine con successo, interrotta solo recentemente da un lancio fallito per cause ancora da determinare. Oltre alle operazioni commerciali, a dicembre 2018 è cominciata anche la collaborazione di Rocket Lab con NASA, segnata dal progetto ELana (Educational Launch of Nanosatellites).
Più piccolo, più economico, più efficiente
Rispetto ad un razzo come il Falcon 9 di SpaceX, Electron è incredibilmente piccolo. Parliamo infatti di un vettore alto solo 17 m e capace di portare in orbita un carico massimo di 150 kg (a differenza dei 70 m e dei 9600 kg di carico di un Falcon 9).
SpaceX, con i suoi circa 60 milioni di dollari per lancio, rimane comunque sulla carta più economica a parità di carico (circa 1 milione per 150 kg). Ma difficilmente questa efficienza economica può essere effettivamente raggiunta. È infatti molto difficile riuscire a riempire completamente la stiva o integrare tra loro diversi satelliti assicurando che tutti quanti saranno poi messi in orbita correttamente.
Rocket Lab, invece, offre ai suoi clienti la possibilità di avere dei voli quasi dedicati ad un costo comunque competitivo. Permette inoltre un’integrazione facilitata di piccoli satelliti, utili ad esempio ad piccole aziende e università, per poche decine di migliaia di dollari. Una combinazione di costo e flessibilità che potrebbe rendere a regime l’azienda la regina dei lanci commerciali di satelliti.
Never settle
Nonostante Rocket Lab abbia già raggiunto un livello tecnologico e commerciale notevole, l’azienda non è intenzionata a fermarsi qui. A novembre 2019 ha infatti dichiarato che intende ridurre ulteriormente i tempi di costruzione dei suoi vettori, portandoli dagli attuali 18 giorni a soli sette giorni.
Sembra inoltre che SpaceX sia servita in qualche modo da ispirazione, almeno dal punto di vista della riutilizzabilità. Rocket Lab ha infatti annunciato ad agosto 2019 che sperimenterà il recupero del primo stadio. A differenza di SpaceX, però, non lo farà “semplicemente” atterrare. L’azienda prevede infatti di utilizzare un paracadute e di recuperare il modulo a mezz’aria usando un elicottero. La procedura dev’essere ancora sperimentata nella sua completezza, ma Rocket Lab è riuscita intanto a testare con successo il rientro del primo stadio dallo spazio, validandone quindi gli scudi termici.
Non c’è dubbio che Rocket Lab sia un’azienda dinamica e innovativa. La sua presenza sta rivoluzionando il settore aerospaziale in aspetti forse meno spettacolari di quelli riguardanti l’esplorazione umana, ma che rimangono comunque fondamentali per rendere lo spazio un’opportunità commerciale sempre più diffusa e alla portata di tutti. E noi non vediamo l’ora di osservare (e raccontarvi) le loro prossime mosse.
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