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SIAE chiarisce tutti i dubbi sul mancato accordo con Meta

Come mai Meta ha trovato accordi con 150 paesi e con SIAE no?

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Da ormai una settimana si discute del mancato accordo tra SIAE – Società Italiana Autori ed Editori – e Meta, il colosso tech che raggruppa Facebook, Instagram e WhatsApp. Un mancato accordo che, come un fulmine a ciel sereno, ha di punto in bianco portato alla rimozione dell’intero catalogo musicale italiano dalle library social di Facebook e Instagram

Ricordiamo che SIAE è la principale collector di royalties e diritti di autore in Italia, e ha lo scopo di tutelare le opere dei propri associati. Ciò vuol dire che per poter offrire agli utenti la possibilità di utilizzare musica nelle storie e nei Reels, Meta paga la società, che poi ripartisce gli introiti agli autori ed editori che quella musica l’hanno creata e distribuita. A quanto pare però le due parti non hanno trovato un accordo.

Sulla questione ci siamo già espressi, con toni abbastanza duri, nel nostro articolo dedicato. Tuttavia restavano alcuni dubbi importanti: perché Meta ha avuto questo problema solo con l’Italia e non con gli altri 150 Paesi in cui opera? L’accordo è saltato a causa di una proposta eccessivamente esosa da parte di SIAE? Perché improvvisamente sono stati rimossi anche brani stranieri e canzoni italiane di artisti non appartenenti al repertorio SIAE? A queste domande, fino ad oggi inevase, arriva una lettera di SIAE ai propri associati, nella quale la società fa chiarezza.

SIAE ha chiesto troppi soldi?

Tra le prime speculazioni in merito alla vicenda c’era chi suggeriva che SIAE avesse proposto a Meta una cifra troppo elevata. Beh non è andata così (almeno questa è la versione di SIAE). 

La negoziazione è stata interrotta per il rifiuto di Meta di condividere con SIAE le informazioni necessarie alla definizione di una somma congrua per remunerare gli autori e gli editori”, afferma la Società. “Le normative europee stabiliscono che gli aventi diritto debbano ricevere una somma adeguata e proporzionata per l’utilizzo delle loro opere”

Insomma: Meta avrebbe imposto a SIAE una cifra forfettaria, nella formula del “prendere o lasciare”. SIAE, d’altro canto, ha richiesto l’accesso ai dati di utilizzo del proprio catalogo, per poter presentare una richiesta congrua. 

“Meta ricava cifre astronomiche dalle opere musicali: queste sono tutte informazioni vitali per il calcolo di una somma adeguata e proporzionata”, si legge nella lettera agli autori. “La trasparenza nelle negoziazioni è un obbligo sancito dalle Direttive Europee, a tutela degli aventi diritto. Ci siamo sempre dichiarati disponibili a rivedere le nostre richieste rispetto ai termini dell’accordo qualora Meta avesse condiviso i dati dei ricavi derivati dall’utilizzo delle opere musicali. Finora non abbiamo risposte. L’unico dato a nostra disposizione è quello pubblico, che Meta dichiara negli Stati Uniti: un fatturato di 116 miliardi di euro nel 2022”.

Come mai Meta ha fatto accordi con 150 paesi e con SIAE no?

Una domanda lecita: se Meta trova accordi con tutti e con l’Italia no, allora il problema dev’essere l’Italia. In realtà, come ci spiega SIAE, non è esattamente così. La Società ci fornisce una duplice risposta:

In primis SIAE è la prima società di collecting in Europa, all’indomani della Direttiva Europea sul Copyright, ad aver avuto il contratto in scadenza con Meta. Ciò vuol dire che non è l’unica ad aver avuto un problema con Meta, è solo la prima. La stessa situazione potrebbe presentarsi nei prossimi mesi per le altre società di collecting in Europa, non appena i contratti che queste hanno con Meta scadranno. A oggi non è noto né quali siano questi 150 paesi, né che tipo di accordi Meta abbia stipulato.

La seconda risposta che ci da SIAE è la medesima che vi avevamo proposto noi nel nostro articolone dedicato all’argomento. Meta vive un momento particolarmente critico dal punto di vista finanziario. Mark Zuckerberg, dopo il disastroso quarto trimestre 2022, aveva dichiarato che il 2023 sarebbe stato l’anno dell’efficienza. Un modo elegante per dire che Meta avrebbe stretto la cinghia. Non a caso gli ultimi due mesi sono stati caratterizzati da imponenti ondate di licenziamenti. Nella lettera SIAE afferma:

“Viene naturale pensare che, oltre che sulla pelle dei dipendenti, il taglio dei costi si voglia fare anche a discapito del lavoro di autori ed editori”.

SIAE pone anche la domanda una prospettiva diversa: “perché siamo riusciti a stringere accordi con tutti (Youtube, Tiktok, Spotify, etc.), ma non con Meta?

Perché sono sparite anche le canzoni non tutelate da SIAE?

Come prima conseguenza del mancato accordo, Meta ha rimosso la totalità della musica dalle proprie library Instagram e Facebook. Ciò vuol dire che per diversi giorni gli utenti non hanno avuto accesso a praticamente il 99% delle canzoni globali. Esse comprendevano anche brani internazionali e non gestiti da SIAE. Non solo: a farne le spese sono stati anche gli autori Soundreef (competitor di SIAE in Italia), i cui brani sono stati anch’essi rimossi. Inizialmente si è pensato fosse una sorta di “ritorsione di Meta”. Una “vendetta trasversale” per punire l’Italia.

In realtà alla base di questa manovra c’è solo una gran confusione. Meta ha dovuto riorganizzare la sua intera library, cercando di individuare quali canzoni potevano rimanere in catalogo e quali andavano rimosse. Ad oggi la musica internazionale (o almeno gran parte di essa) sembra tornata online sulle piattaforme Meta. Restano offline i brani italiani degli artisti Soundreef. Quest’ultima ha già manifestato la volontà di procedere per via legali se la situazione non dovesse risolversi.

SIAE ci spiega che “neanche l’industria musicale italiana era stata preallertata da Meta rispetto a questa decisione. Un fatto può aver creato non pochi problemi alle case discografiche che avevano un nuovo prodotto o album da lanciare. La verità è che da questa presa di posizione di Meta ci perdono tutti: la filiera musicale, gli autori, gli editori, SIAE tutta e la stessa Meta”.

SIAE doveva accettare la proposta unilaterale di Meta: garantisce visibilità agli autori, anche se non soldi

Una piccola ma rumorosa schiera di autori ha accusato SIAE di aver pensato solo ai propri interessi economici. Secondo questo gruppo SIAE avrebbe dovuto accettare qualsiasi proposta, in quanto gli autori ne avrebbero beneficiato in termini di pubblicità, mantenendo la propria musica sui social.

A queste persone SIAE risponde in modo, a nostro avviso, ineccepibile. Chiunque abbia suonato, anche solo nel pub sotto casa, sa bene quanto sia difficile ottenere un riconoscimento economico. Chiunque abbia suonato si è sentito dire, almeno una volta, cose del tipo “non ti pago, ma ti do visibilità nel mio locale”. Nel frattempo, però, quel locale guadagnava soldi sugli avventori del concerto. Allo stesso modo SIAE risponde con questa dichiarazione:

“Ma io ti pago in visibilità: quanti autori, artisti, e professionisti in generale, si sono trovati davanti a questa risposta nel corso della loro carriera? A imporre l’obbligo – per le piattaforme di condivisione di contenuti – di pagare il diritto d’autore in modo proporzionato è la Direttiva Copyright per la quale gli stessi autori ed editori di tutta Europa si sono battuti per anni. Comprendiamo che l’aspetto promozionale sia fondamentale per un artista, in particolare per gli emergenti. Il ritorno economico, in termini di diritto d’autore, è però una questione non solo di principio ma anche di natura pratica ed economica”.

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Marco Brunasso

Scrivere è la mia passione, la musica è la mia vita e Liam Gallagher il mio Dio. Per il resto ho 30 anni e sono un musicista, cantante e autore. Qui scrivo principalmente di musica e videogame, ma mi affascina tutto ciò che ha a che fare con la creazione di mondi paralleli. 🌋From Pompei with love.🧡

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