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Ultima notte a Soho: com’è il film di Edgar Wright con Anya Taylor-Joy

Ultima notte a Soho è un film di Edgar Wright, presentato fuori concorso alla 78ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, con Anya Taylor-Joy, Thomasin Harcourt McKenzie, Matt Smith, Terence Stamp e Diana Rigg

In questo thriller psicologico, Eloise (Thomasin McKenzie), che sogna di diventare una fashion designer, riesce misteriosamente a catapultarsi negli anni Sessanta dove incontra Sandie (Anya Taylor-Joy), un’aspirante cantante di grande fascino. Ma il glamour non è esattamente quello che sembra: i sogni del passato iniziano a infrangersi e approderanno a qualcosa di molto più oscuro.

Ultima notte a Soho: com’è il film di Edgar Wright

Ultima notte a Soho

“Se aveste la possibilità di tornare indietro nel tempo, lo fareste?” Il desiderio di realizzare Ultima notte a Soho nasce dalla volontà del regista Edgar Wright (L’alba dei morti dementi, Hot Fuzz, Scott Pilgrim vs. the World, La fine del mondo, Baby Driver – Il genio della fuga) di fare un film su Central London. “In qualche modo il mio film è una lettera d’amore. Non solo indirizzata a questa parte di mondo ma a un decennio leggendario, gli anni Sessanta, quando Soho era il centro dell’universo”. 

Edgar Wright scrive e dirige un thriller dalle tinte oscure con Thomasin McKenzie (Leave No Trace, Jojo Rabbit) e Anya Taylor-Joy (Emma, ​​The Queen’s Gambit), portando sullo schermo la Swinging London degli anni ’60, le strade oscure di Soho, il suo affetto per la musica e la moda di quel periodo e l’ossessione per i film che hanno determinato la sua visione di regista.

Edgar Wright porta sullo schermo la Swinging London degli anni ’60

Ultima notte a Soho è un’esplosione di colore, un ritratto abbacinante e visionario che ricorda i lavori di Mario Bava e Dario Argento, con una riflessione sul tema del doppio che ci riporta a La donna che visse due volte di Alfred Hitchcock. Edgar Wright è celebre per le sue colonne sonore curate e i profondi tagli musicali, e nel suo ultimo lavoro non fa eccezione. Man mano che il film si sviluppa, sembra che le due epoche si fondano in una sola, questo grazie anche ad un utilizzo epico della musica che porta a un livello superiore la fusione fra sonoro e immagine già cominciata con Baby Driver – Il genio della fuga.

Infatti, come per il giovane pilota Baby, la musica è per la protagonista un mezzo attraverso cui può allontanarsi dal mondo, dalle preoccupazioni ed entrare contatto con un passato che la ispira e le parla. Gli anni ’60 forniscono a Eloise un rifugio: nelle sue cuffie scorrono diversi stupendi pezzi anni ’60, fra cui spiccano Downtown di Petula ClarkYou’re My World di Cilla Black, mentre i poster di Twiggy e di Audrey Hepburn in Colazione da Tiffany adornano le sue pareti, come la collezione di vinili vintage della sua famiglia.

Ultima notte a Soho gioca con i generi

Ultima notte a Soho si diletta a giocare con i generi, trasformandosi da fiaba oscura, ghost story, a horror. Wright è un narratore adrenalinico, che ha scelto due protagoniste perfette per i due ruoli di Eloise e Sandie, che rispecchiano i contrasti di Soho, e la contrapposizione tra il suo periodo di massimo splendore del quartiere a luci rosse e la sua immagine moderna dei giorni nostri. “Questa zona del centro di Londra è sempre stata sede di bar, discoteche, teatri e cinema, e negli ultimi decenni è stata il fulcro dell’industria cinematografica del Regno Unito.

Da due secoli a questa parte Soho è il centro del peccato: strip club, bordelli e strani personaggi in agguato nelle stradine buie”. Questo è il brivido di Soho, che nel lavoro di Wright diventa un personaggio vibrante, melodico, un tripudio di luci al neon e colori accesi: Wright non vuole solo mostrarci Londra negli anni ’60, il suo desiderio è portarci dentro quell’epoca.

Ultima notte a Soho arriverà nelle sale italiane il 4 novembre, distribuito da Universal Pictures.

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Lucia Tedesco

Giornalista, femminista, critica cinematografica e soprattutto direttrice di TechPrincess, con passione ed entusiasmo. È la storia, non chi la racconta.

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