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Facebook crea dipendenza a un utente su otto: lo dice una ricerca

Il report pubblicato dal Wall Street Journal

Il Wall Street Journal sembra ormai essere il nemico numero uno di Facebook.

Una nuova, clamorosa inchiesta è stata pubblicata venerdì 5 novembre sul sito del più diffuso quotidiano americano (con i suoi 2 milioni di copie al giorno). Ed è destinata a regalare nuove notti insonni a Mark Zuckerberg. Peraltro, proprio di notti insonni, e di altri disturbi, parla il report, che avrebbe individuato alcuni danni psichici da “Facebook addiction” (dipendenza da Facebook) in un elevato numero di utenti.

Prima di scoprire più nel dettaglio il risultato della ricerca, ricordiamo da quali documenti è stata desunta. Ossia dagli stessi che, a partire da qualche settimana fa, hanno pesantemente contribuito a decretare il crollo d’immagine della più famosa piattaforma social del mondo.

Il Wall Street Journal e Facebook: come tutto ebbe inizio

Come i nostri lettori sanno, tutto è iniziato con le clamorose dichiarazioni dell’ex dipendente di Facebook France Haugen.

Il primo giornale ad aver raccolto e pubblicato parte del materiale scottante, secondo cui “Facebook preferisce i profitti alla sicurezza”, è stato proprio il Wall Street Journal: i suoi Facebook Files sono apparsi in undici puntate a partire dallo scorso 13 settembre.

facebook wall street journal

Dai Facebook Files ai Facebook Papers

Il Wall Street Journal con i suoi Facebook Files avrebbe dato al pubblico solo un piccolo antipasto di ciò che da lì a pochi giorni avrebbe avuto un effetto deflagrante.

Stiamo parlando dei Facebook Papers, fatti uscire all’unisono lunedì 25 ottobre dalle 17 maggiori testate giornalistiche a stelle e strisce. Si tratta di qualcosa come 10.000 pagine dei più vari documenti interni all’azienda (che adesso si chiama Meta), nei quali vengono mostrate lacune piccole e gravissime. Dal mancato controllo sulle notizie a ipotesi ben più raggelanti, come la connivenza con alcuni regimi autoritari.

Ebbene, proprio da questi documenti emerge ora un report, pubblicato il 5 novembre sul Wall Strett Journal, che vedrebbe Facebook come causa di problemi psichici a svariati utenti. Vediamo in che modo.

Facebook e la dipendenza da social

Il nuovo report pubblicato dal Wall Street Journal ai danni di Facebook deriva nuovamente dai documenti forniti da Frances Haugen. È una ricerca, effettuata dalla società di Menlo Park, sulle conseguenze negative del social sul sonno, sul lavoro e sulle relazioni. Sino ad arrivare, nel caso di alcuni utenti, a una vera e propria forma di dipendenza.

360 milioni di utenti danneggiati

I numeri sono impressionanti. Secondo la ricerca, circa il 12,5% degli utenti di Facebook subirebbe contraccolpi psicologici. Con ricadute sul sonno, sul lavoro e sulle relazioni sociali, compresa la genitorialità. Sarebbero dunque 360 milioni le persone coinvolte.

facebook meta

Facebook e il suo “uso problematico”

Secondo la ricerca interna riportata dal Wall Street Journal, Facebook creerebbe una dipendenza più spiccata rispetto alle altre piattaforma social, anche se non vengono illustrati i motivi.

È quello che la stessa azienda ha definito un “uso problematico” del loro social.

La ricerca è stata avviata anni fa da un team interno (poi chiuso nel 2019) che si occupava della  mitigazione dei comportamenti dannosi e del miglioramento del benessere degli utenti. Ed è stata presentata nel marzo del 2020.

I risultati appaiono piuttosto sconvolgenti. Diversi utenti “non hanno il controllo sul tempo che trascorrono su Facebook”, e ciò porta a inevitabili conseguenze nella vita. Tra cui la “perdita di produttività quando le persone smettono di completare le attività della loro vita per controllare frequentemente Facebook, una perdita di sonno quando rimangono svegli fino a tardi scorrendo l’app e il degrado delle relazioni di persona quando le persone sostituiscono il tempo insieme al tempo online”.

Si tratterebbe insomma di una dipendenza da Internet, di cui l’azienda è a conoscenza da anni.

La risposta di Meta

Pronta e articolata la risposta di Meta, che ha definito “irresponsabile” l’articolo. “Perché, come si nota nello studio stesso, la ricerca è stata progettata per essere la più ampia possibile per aiutarci a comprendere meglio la sfida.

L’uso problematico non equivale alla dipendenza. L’uso problematico è stato utilizzato per descrivere il rapporto delle persone con molte tecnologie, come TV e smartphone.

Abbiamo creato strumenti e controlli per aiutare le persone a decidere quando e come utilizzare i nostri servizi. Inoltre, abbiamo un team dedicato che lavora sulle nostre piattaforme per comprendere meglio questi problemi e garantire che le persone utilizzino le nostre app in modi che siano significativi per loro.

Studiamo il benessere da più di un decennio. Ciò è dimostrato dalle varie ricerche pubblicate in collaborazione con un team di esperti come l’Aspen Institute, l’Humanity Center. E dal nostro ruolo di sponsor fondatore del Digital Wellness Lab, gestito congiuntamente dall’Università di Harvard e all’ospedale pediatrico di Boston”.

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Claudio Bagnasco

Claudio Bagnasco è nato a Genova nel 1975 e dal 2013 vive a Tortolì. Ha scritto e pubblicato diversi libri, è co-fondatore e co-curatore del blog letterario Squadernauti. Prepara e corre maratone con grande passione e incrollabile lentezza. Ha raccolto parte delle sue scritture nel sito personale claudiobagnasco.com

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