Chi scrive queste righe è padre di una ragazzina di undici anni. E come tutti i signori di mezza età, essendo gelosissimo della propria giovinezza, cerca di far conoscere alla prole libri, film e oggetti di culto di qualche decennio fa (a prescindere dal loro intrinseco valore, si intende).
Uno dei più recenti capitoli di questa operazione ha previsto la proiezione domestica di una mitica pellicola, uscita nel nostro Paese quasi esattamente quarant’anni fa, il 28 ottobre 1983.
Si tratta di Wargames – Giochi di guerra, film che a quei tempi, in piena Guerra fredda, ha avuto un inevitabile successo planetario.
È interessante riparlarne oggi, perché l’opera risulta ancora attualissima per almeno due motivi.
Ma iniziamo parlando della trama del film.
Lo spauracchio dell’atomica e Wargames – Giochi di guerra
Molti tra i lettori over quaranta di Tech Princess ricorderanno gli anni in cui si era innalzata la tensione tra i due cosiddetti blocchi. E lo spauracchio della guerra nucleare aveva prodotto opere spesso discutibili o quanto meno eccessivamente catastrofiche, come The Day After – Il giorno dopo.
In questo clima plumbeo, il successo di Wargames – Giochi di guerra è dovuto anche al suo tono tutto sommato leggero, al lieto fine e a un non banale messaggio pacifista.
La trama del film
A Seattle il giovane David, studente svogliato e genietto matematico, riesce e introdursi in un supercomputer della Difesa degli Stati Uniti.
Con la sua compagna di college e amica Jennifer inizia a giocare alla Guerra termonucleare globale (schierandosi peraltro dalla parte dell’Unione Sovietica), senza sapere che il presunto gioco sta per scatenare la Terza guerra mondiale. Il ministero della Difesa è in piena apprensione, il lancio delle testate nucleari da parte delle due superpotenze è sempre più vicino. E, udite udite, quando David capisce del suo involontario ruolo e smette di giocare è troppo tardi: il mega computer, dotato di intelligenza artificiale capace di apprendere dai propri errori (vi ricorda niente?) prosegue da sé nel gioco.
A questo punto il povero David, che fino ad allora passava il proprio tempo libero giocando ad Arkanoid nei bar di quartiere, ha poche ore a disposizione per salvare l’umanità dalla catastrofe.
Contatterà Stephen Falken, l’ex scienziato che ha programmato il supercomputer, ora ritirato a vita monastica, e… E ci sogniamo di raccontarvi il finale.
I personaggi
Wargames – Giochi di guerra, pur attraversato da una bella tensione, non è un capolavoro.
I personaggi, tagliati con l’accetta, sono stereotipatissimi. David è il classico genio ribelle, imbranato, cocciuto e dal cuore d’oro. Jennifer (ma i due quanto sono amici e quanto si piacciono? Mica ci è dato di saperlo) è la classica giovane americana bella, sì, ma non irraggiungibile. Saggia fino alla pedanteria, fa running e jogging (probabilmente seguendo i corsi di Jane Fonda).
Falken è lo scienziato isolatosi dal mondo per le sue idee libertarie, così come non mancano il generalissimo guerrafondaio e l’informatico libertario che tifa per David.
Insomma: Wargames – Giochi di guerra è un prodotto ben fato e consolatorio, che piace tanto ai più giovani e si fa vedere anche dagli adulti.
A noi, piuttosto, hanno stupito almeno due agganci alla realtà, a quarant’anni dalla sua uscita in Italia.
Wargames – Giochi di guerra e il messaggio pacifista
Superfluo e quasi doloroso dire quanto sia urgente oggi un ragionamento sulla follia della guerra.
Nel film ci pensa il supercomputer della Difesa, che interpreta il possibile conflitto come un gioco. E che alla fine della storia arriva a una semplice e disarmante soluzione: nella guerra non vince nessuno, l’unico modo per spuntarla è… non partecipare. E invita l’interlocutore a una più rilassante partita a scacchi.
- Bischoff, David (Autore)
L’intelligenza artificiale
Pochi giorni dopo l’uscita di Wargames – Giochi di guerra, i ragazzini di mezzo mondo si erano convinti di poter violare chissà quali sistemi informatici con i computer piazzati nelle loro camerette.
Al di là di ciò, il film è clamorosamente anticipatorio dell’attuale intelligenza artificiale generativa. Il computerone della Difesa che apprende dai propri sbagli e dal dialogo con gli umani, e fornisce risposte articolate, sensatissime e spesso acute, ricorda da vicino i più sofisticati chatbot conversazionali dei nostri giorni.
E il messaggio complessivo sembra confermare quanto anche noi andiamo ripetendo da tempo: l’intelligenza artificiale non è né buona né cattiva, dipende dall’uso che se ne fa e dalle nostre intenzioni. Perché le macchine non avranno un senso morale, ma gli umani sì.
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