Sta cambiando il modo di acquistare i beni di consumo.
È ormai appurato che la vendita online è sempre più gettonata: è semplice, pratica, sicura e spesso fa risparmiare. Inutile aggiungere che una grande impennata degli acquisti da remoto si è avuta in concomitanza con il primo lockdown, quando era diventato necessario comprare attraverso computer e smartphone.
Le code ai supermercati e le restrizioni (che, ricordiamolo, per un certo periodo hanno imposto una sola spesa quotidiana effettuata da un unico membro per famiglia) ci hanno insegnato anche a fare le compere dal pc. Non solo prodotti alimentari ma anche oggetti di uso domestico. E l’abitudine è rimasta: spesso la consegna è a domicilio, o al massimo si viene avvisati quando i prodotti sono pronti, e non resta che ritirarli.
Sulla scia di questo nuovo modo di fare acquisti, molte aziende che vendono beni di consumo stanno modificando il loro business, puntando sempre di più verso l’acquisto ricorrente.
Che se nel caso di un servizio è un abbonamento, nel caso di un bene di consumo è il ripetersi della vendita di un determinato prodotto con una certa periodicità.
Verso l’acquisto ricorrente dei beni di consumo
Il broker indipendente Bernstein ha segnalato che le famiglie europee spendono mediamente 130 euro al mese, che corrispondono al 5% del budget delle spese, per comprare abbonamenti non solo per l’intrattenimento ma anche per i beni di consumo.
Questo significa, ad esempio, canali televisivi a pagamento, software, musica, giochi. E, assieme, cialde di caffè, lamette da barba, frutta fresca e chissà quanti e quali altri prodotti provenienti da negozi e supermercati.
La tendenza è in crescita e non è un caso, bensì il risultato di una strategia che ha l’obiettivo di un maggior coinvolgimento (e una maggiore fidelizzazione) del consumatore.
Gli esempi sono svariati, e comprendono davvero molte categorie merceologiche. La multinazionale Procter & Gamble, attiva anche in Italia, gestisce una serie di grandi marchi. Che ultimamente consegna a domicilio anche con la formula dell’abbonamento mensile: dalle lamette Gillette ai pannolini Pampers.
Oggi non si affittano solo le automobili ma anche gli elettrodomestici.
Per quanto riguarda il mercato del caffè, è stata Nestlé ad aprire la stagione dell’abbonamento a capsule e cialde con consegna a domicilio, subito seguita da Illy. I piani sono modificabili ed è possibile prendere in affitto anche la macchina per il caffè.
I dati di due studi: numeri in crescita
Zuora, società di software, segnala che a livello globale nel 2020 il 78% degli adulti ha almeno 3 abbonamenti. La cifra sale all’89% in Cina, ed è all’82% non solo negli Usa ma, sorprendentemente, anche in Italia. Si pensi che due anni prima, nel 2018, eravamo al 73%.
Un altro studio, stavolta di Subscription Trade Association, ci dice che l’acquisto di forniture periodiche nel mondo è salita a 650 miliardi di dollari nel 2020 (contando sia servizi di intrattenimento che beni di consumo). Si calcola che la cifra è destinata a crescere del 18% all’anno nei prossimi cinque anni, sino a triplicare nel 2025.
E in Inghilterra, durante il primo lockdown, ben il 22% di chi ha un esercizio al dettaglio ha introdotto anche la formula per abbonamento.
E in Italia?
Enrico Cosio, partner di Deloitte ed esperto di settore, spiega che “In Italia la spesa media delle famiglie per gli abbonamenti è di poco inferiore rispetto a UK e nord Europa ma è diverso il tipo di beni che consumiamo.
Noi spediamo di più per l’intrattenimento, ma facciamo la spesa nei negozi di prossimità prediligendo i prodotti freschi. Una tendenza che è destinata a cambiare, perché il consumatore italiano con il lockdown ha provato la comodità della spesa al piano. Ora tocca alle insegne dei supermercati iniziare a proporre un’offerta interessante prima che Amazon conquisti i clienti. Intanto anche i grandi marchi dell’alimentare come Barilla, Scotti e Illy stanno iniziando a lanciare le loro formule in abbonamento”.
L’indagine di Zuora e Deloitte
Per quanto riguarda questo nuovo modo di acquistare i beni di consumo, qualche mese fa è uscita un’interessante indagine congiunta, condotta dalle già citate Zuora e Deloitte.
Lo studio si è concentrato sul food&beverage. I dati ci dicono che il 68% dei consumatori possessori di un abbonamento per i beni di consumo ne ha sottoscritto uno proprio in quel settore. Seguono l’elettronica con il +43%, pharma e beauty con il +37% e fashion con il +32%.
Negli ultimi tre anni gli abbonati in generale sono cresciuti del +16%, e chi sottoscrive un servizio è propenso ad attivarne altri.
È tuttavia un modo ancora nuovo di acquistare, come testimoniato dall’elevato tasso di abbandono.
Il grado di successo di una sottoscrizione è determinato essenzialmente da tre fattori: il risparmio di tempo nel 51% dei casi, la facilità di disdetta del servizio (48%) e, di segno opposto, la paura di essere vincolati (42%).
Ultimo aggiornamento 2024-10-06 / Link di affiliazione / Immagini da Amazon Product Advertising API
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