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La polizia usa il DNA per generare immagini 3D dei sospettati

L'azienda Parabon NanoLabs ha creato un identikit per la polizia canadese

La polizia di Edmonton, in Canada, ha condiviso un identikit di un sospettato con un’immagine 3D generata a partire dal DNA della persona. L’azienda Parabon NanoLabs ha utilizzato una tecnica chiamata DNA phenotyping, che analizza il materiale genetico per mostrare alcuni tratti del sospettato. L’uso di questa tecnica, utilizzata finora per ricerche archeologiche e antropoligiche, da parte della polizia ha messo subito in allarme gli esperti di privacy.

La polizia di Edmonton usa il DNA per creare un’immagine 3D del sospettato

L’immagine condivisa dalla polizia di Edmonton ha molti limiti, anche rispetto alla descrizione di un testimone poco attento. Infatti l’analisi del DNA non può rilevare elementi come l’età del sospettato, la sua corporatura. Così come tutti gli elementi ‘ambientali’ del suo aspetto: capelli e barba, tatuaggi, cicatrici.

Ma permette invece di mostrare alcuni elementi del fenotipo, ossia quegli elementi genetici che producono caratteristiche visibili e funzionali. In questo caso il fatto che fosse un uomo (è ricercato per violenza sessuale) e il fatto che sia di discendenza africana.

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La polizia di Edmonton ha dichiarato di aver pubblicato questa immagine perché rimasta senza ulteriori strategie investigative. Ma molti attivisti per la privacy si sono chiesti quale possa essere l’effettiva efficacia di condividere queste immagini.

Callie Schroeder dell’Electronic Privacy Information Center si chiede, come riporta Vice: “Anche se questo fosse una nuova informazione, che cosa dovremmo farci? Interrogare qualsiasi uomo nero di circa un metro e sessanta che vediamo? … e questo non è un suggerimento, assolutamente: non fatelo”.

Il DNA può davvero generare immagini 3D fedeli?

La vittima del caso ha solo una descrizione piuttosto vaga del sospettato di violenza sessuale. Riporta solo l’altezza di 5’4″ (circa 1,62 metri), il fatto che avesse un “berretto nero, pantaloni, maglione o felpa” e che “aveva un accento”.

Informazioni troppo vaghe per un profilo preciso. Ragione per cui la polizia ha fatto ricorso a Parabon NanoLabs, che utilizza quelli che definisce Snapshots per risalire a delle immagini partendo dal fenotipo del DNA. L’anno scorso ha fatto notizia il fatto che abbiano saputo dare un volto a una mummia dell’Antico Egitto. Ma in quel caso, nessuno è stato interrogato dalla polizia per assomigliare a un vecchio faraone.

In particolare, molti attivisti come Jennifer Lynch reputano irresponsabile pubblicare una immagine 3D “specialmente quando l’immagine implica una persona nera e un immigrato”. Infatti negli Stati Uniti le persone di colore sono fermate cinque volte più di quelle caucasiche senza una giusta causa. Secondo gli attivisti, vedere questa immagine, per forza di cose solo approssimata, potrebbe convincere le persone che il sospetto sia esattamente uguale all’identikit pubblicato. Quando spesso non è così.

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Come mostra questa immagine pubblicata da Parabon NanoLabs, l’imagine generata risulta tecnicamente nei parametri (in particolare il colore della pelle e la presenza eventuale di lentiggini). Ma il colore di capelli e occhi è ai limiti. Senza contare che il sospetto ha il doppio dell’età mostrata e una corporatura diversa.

Quindi, anche in questo caso, abbiamo soprattutto il colore della pelle, dei capelli e degli occhi per riconoscere il sospetto. È sufficiente?

Possibilità e rischi di usare il DNA per generare immagini 3D per le indagini di polizia

La dottoressa Ellen Greytak ha spiegato a Vice che “stiamo facendo predizioni solo dal DNA, quindi abbiamo solo un numero limitato di informazioni”. Ma che “se la polizia avesse un testimone, non avrebbero bisogno di noi”.

La scienziata spiega che questo metodo può: “ridurre il numero di chi potrebbe essere e eliminare le persone che non corrispondono alla descrizione. In questi casi, per definizione, c’è sempre il DNA, quindi non abbiamo rischi di prendere la persona sbagliata perché basta controllare il DNA“.

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Quindi, secondo Parabon NanoLabs, il rischio di far incarcerare la persona sbagliata non sussiste. Tuttavia, quello di portare sospetto verso un’intera etnia invece c’è, come riconosce lo stesso dipartimento di polizia.

Dopo le lamentele degli attivisti, il Capo del dipartimento Enyinnah Okere ha rimosso l’immagine. E ha dichiarato: “Sebbene la tensione che sentivo riguardo questo caso fosse reale, ho dato priorità all’indagine, che riguarda la ricerca di giustizia per la vittima, lei stessa parte di una minoranza, rispetto al danno potenziale per la comunità afroamericana. Questo non era accettabile e mi scuso per questo”.

Il futuro delle indagini di polizia?

Sul sito di Parabon Labs trovate diversi casi di crimini “risolti con questa tecnologia”. Mettiamo fra virgolette questa frase perché, analizzando meglio la situazione, vediamo che in ogni caso c’erano altre prove che hanno portato a restringere il campo di ricerca della polizia. Questo ha fatto sì che nessun giudice dovesse valutare l’effetiva efficacia di questi metodi, tale da poter giustificare mandati per interrogare un sospettato.

Sembra infatti che più di un esperto forense pensi che queste tecniche non siano abbastanza precise da diventare uno strumento affidabile per le ricerche della polizia. Inoltre, nessuno di questi casi riporta il numero di persone innocenti che sono state interrogate o sospettate, né quanto i bias etnici influiscano su questo procedimento.

Quindi la domanda non è davvero se ‘funzionano’, ma quanto sono efficienti. In altre parole, bisogna capire il tasso di successo in base al costo: sia per le indagini che per la privacy delle popolazioni locali. Le vittime dei casi risolti utilizzando l’aiuto un’immagine 3D generate dal DNA saranno di certo liete del successo. Ma servirebbero degli studi scientifici sull’effettiva efficacia di questi metodi per trovare colpevoli e discussioni a livello legislativo per commisurare i rischi per la privacy.

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Source
Vice

Stefano Regazzi

Il battere sulla tastiera è la mia musica preferita. Nel senso che adoro scrivere, non perché ho una playlist su Spotify intitolata "Rumori da laptop": amo la tecnologia, ma non fino a quel punto! Lettore accanito, nerd da prima che andasse di moda.

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